Si continua, in televisione e sui giornali, ad utilizzare l’aggettivo “fascista” per riferirsi a persone che, principalmente in politica, non si preoccupano di misurare i loro atti e le loro parole, presentandosi in modo aggressivo e violento. Sicuramente il fascismo è stato violento. Ma non ci si può limitare a questo: certamente il fascismo ha portato frutti positivi su determinate problematiche, nessuno può negarlo.
Ma qual è la specificità di un regime che vuole essere totalitario? Io la individuerei in un controllo che ambisce ad estendere il suo campo d’azione nella maggior parte degli spazi potenzialmente gestibili. Un controllo, appunto, totale, capace di conferire all’autorità imperante la possibilità di attuare i piani che si propone senza incontrare ostacoli. La mente delle persone governate può essere un valido ostacolo. Per questo il regime mira principalmente e primariamente a spegnere lo spirito critico degli individui, per far sì che essi vengano plasmati secondo le direttive volute. Il controllo totale, anche sulle menti degli uomini.
Nel regime fascista questo processo era attuato in modo brillante, quasi geniale: si tendeva per prima cosa a svuotare le parole dei significati profondi, in una sorta di eccessiva (quindi distruttiva) semplificazione. Le parole venivano usate in modo semplice e immediato, il linguaggio subiva uno snellimento notevole. Per rendere l’idea di cosa questo significhi (c’è una vasta bibliografia sull’argomento) si può pensare a termini grammaticalmente astratti, come ad esempio la parola “libertà”: il regime la semplifica rendendola concreta, utilizzando l’aggettivo “libero” nel suo significato più pratico (“oggi sono libero da impegni”). La complessità del termine, quindi, è trattenuta dai gestori del potere, al popolo resta un termine ormai vuoto del suo significato radicale, di cui deve rimanere assolutamente all’oscuro, altrimenti il rischio della formazione di posizioni critiche sarebbe nocivo per uno sviluppo indisturbato del regime.
Semplificazione del linguaggio, una dinamica apparentemente innocua, ma terribilmente funzionale. I nostri governanti lo sanno, per questo quando da loro viene utilizzato il termine “fascista” mi allarmo: se lo si usa come sinonimo di “violento” la parola subisce una semplificazione eccessiva e pericolosa, in quanto perde quella parte del suo significato che è invece fondamentale, ovvero quella descritta sopra: il fascista non è semplicemente chi usa un linguaggio violento, il fascista vuole un controllo totale sulla tua persona, sulla tua testa.
Se si continua ad usare superficialmente l’aggettivo “fascista”, si cade nella trappola che, paradossalmente, è contenuta in questo stesso termine: ci permette di utilizzare un linguaggio più semplice, ma ci espone al controllo di coloro che ne conoscono la complessità. Certo, il linguaggio che tiene conto della complessità dei termini, del loro reale significato e della loro etimologia è poco attraente, anzi, è noioso, difficile e faticoso; a tratti può diventare oscuro, e per fare chiarezza si dovrebbe addirittura aprire il vocabolario.
E se invece è più oscuro il linguaggio semplice e piacevole, in cui non guasta ogni tanto anche qualche parolaccia, quel linguaggio che la televisione vuole insegnarci? Se la risposta è positiva, come temo, allora c’è urgente bisogno di capire quando la semplicità è sinonimo di controllo. Per fare ciò, non ci resta che acquisire quel senso critico che ai potenti fa così paura, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. ☺
luca903@gmail.com
Si continua, in televisione e sui giornali, ad utilizzare l’aggettivo “fascista” per riferirsi a persone che, principalmente in politica, non si preoccupano di misurare i loro atti e le loro parole, presentandosi in modo aggressivo e violento. Sicuramente il fascismo è stato violento. Ma non ci si può limitare a questo: certamente il fascismo ha portato frutti positivi su determinate problematiche, nessuno può negarlo.
Ma qual è la specificità di un regime che vuole essere totalitario? Io la individuerei in un controllo che ambisce ad estendere il suo campo d’azione nella maggior parte degli spazi potenzialmente gestibili. Un controllo, appunto, totale, capace di conferire all’autorità imperante la possibilità di attuare i piani che si propone senza incontrare ostacoli. La mente delle persone governate può essere un valido ostacolo. Per questo il regime mira principalmente e primariamente a spegnere lo spirito critico degli individui, per far sì che essi vengano plasmati secondo le direttive volute. Il controllo totale, anche sulle menti degli uomini.
Nel regime fascista questo processo era attuato in modo brillante, quasi geniale: si tendeva per prima cosa a svuotare le parole dei significati profondi, in una sorta di eccessiva (quindi distruttiva) semplificazione. Le parole venivano usate in modo semplice e immediato, il linguaggio subiva uno snellimento notevole. Per rendere l’idea di cosa questo significhi (c’è una vasta bibliografia sull’argomento) si può pensare a termini grammaticalmente astratti, come ad esempio la parola “libertà”: il regime la semplifica rendendola concreta, utilizzando l’aggettivo “libero” nel suo significato più pratico (“oggi sono libero da impegni”). La complessità del termine, quindi, è trattenuta dai gestori del potere, al popolo resta un termine ormai vuoto del suo significato radicale, di cui deve rimanere assolutamente all’oscuro, altrimenti il rischio della formazione di posizioni critiche sarebbe nocivo per uno sviluppo indisturbato del regime.
Semplificazione del linguaggio, una dinamica apparentemente innocua, ma terribilmente funzionale. I nostri governanti lo sanno, per questo quando da loro viene utilizzato il termine “fascista” mi allarmo: se lo si usa come sinonimo di “violento” la parola subisce una semplificazione eccessiva e pericolosa, in quanto perde quella parte del suo significato che è invece fondamentale, ovvero quella descritta sopra: il fascista non è semplicemente chi usa un linguaggio violento, il fascista vuole un controllo totale sulla tua persona, sulla tua testa.
Se si continua ad usare superficialmente l’aggettivo “fascista”, si cade nella trappola che, paradossalmente, è contenuta in questo stesso termine: ci permette di utilizzare un linguaggio più semplice, ma ci espone al controllo di coloro che ne conoscono la complessità. Certo, il linguaggio che tiene conto della complessità dei termini, del loro reale significato e della loro etimologia è poco attraente, anzi, è noioso, difficile e faticoso; a tratti può diventare oscuro, e per fare chiarezza si dovrebbe addirittura aprire il vocabolario.
E se invece è più oscuro il linguaggio semplice e piacevole, in cui non guasta ogni tanto anche qualche parolaccia, quel linguaggio che la televisione vuole insegnarci? Se la risposta è positiva, come temo, allora c’è urgente bisogno di capire quando la semplicità è sinonimo di controllo. Per fare ciò, non ci resta che acquisire quel senso critico che ai potenti fa così paura, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. ☺
Si continua, in televisione e sui giornali, ad utilizzare l’aggettivo “fascista” per riferirsi a persone che, principalmente in politica, non si preoccupano di misurare i loro atti e le loro parole, presentandosi in modo aggressivo e violento. Sicuramente il fascismo è stato violento. Ma non ci si può limitare a questo: certamente il fascismo ha portato frutti positivi su determinate problematiche, nessuno può negarlo.
Ma qual è la specificità di un regime che vuole essere totalitario? Io la individuerei in un controllo che ambisce ad estendere il suo campo d’azione nella maggior parte degli spazi potenzialmente gestibili. Un controllo, appunto, totale, capace di conferire all’autorità imperante la possibilità di attuare i piani che si propone senza incontrare ostacoli. La mente delle persone governate può essere un valido ostacolo. Per questo il regime mira principalmente e primariamente a spegnere lo spirito critico degli individui, per far sì che essi vengano plasmati secondo le direttive volute. Il controllo totale, anche sulle menti degli uomini.
Nel regime fascista questo processo era attuato in modo brillante, quasi geniale: si tendeva per prima cosa a svuotare le parole dei significati profondi, in una sorta di eccessiva (quindi distruttiva) semplificazione. Le parole venivano usate in modo semplice e immediato, il linguaggio subiva uno snellimento notevole. Per rendere l’idea di cosa questo significhi (c’è una vasta bibliografia sull’argomento) si può pensare a termini grammaticalmente astratti, come ad esempio la parola “libertà”: il regime la semplifica rendendola concreta, utilizzando l’aggettivo “libero” nel suo significato più pratico (“oggi sono libero da impegni”). La complessità del termine, quindi, è trattenuta dai gestori del potere, al popolo resta un termine ormai vuoto del suo significato radicale, di cui deve rimanere assolutamente all’oscuro, altrimenti il rischio della formazione di posizioni critiche sarebbe nocivo per uno sviluppo indisturbato del regime.
Semplificazione del linguaggio, una dinamica apparentemente innocua, ma terribilmente funzionale. I nostri governanti lo sanno, per questo quando da loro viene utilizzato il termine “fascista” mi allarmo: se lo si usa come sinonimo di “violento” la parola subisce una semplificazione eccessiva e pericolosa, in quanto perde quella parte del suo significato che è invece fondamentale, ovvero quella descritta sopra: il fascista non è semplicemente chi usa un linguaggio violento, il fascista vuole un controllo totale sulla tua persona, sulla tua testa.
Se si continua ad usare superficialmente l’aggettivo “fascista”, si cade nella trappola che, paradossalmente, è contenuta in questo stesso termine: ci permette di utilizzare un linguaggio più semplice, ma ci espone al controllo di coloro che ne conoscono la complessità. Certo, il linguaggio che tiene conto della complessità dei termini, del loro reale significato e della loro etimologia è poco attraente, anzi, è noioso, difficile e faticoso; a tratti può diventare oscuro, e per fare chiarezza si dovrebbe addirittura aprire il vocabolario.
E se invece è più oscuro il linguaggio semplice e piacevole, in cui non guasta ogni tanto anche qualche parolaccia, quel linguaggio che la televisione vuole insegnarci? Se la risposta è positiva, come temo, allora c’è urgente bisogno di capire quando la semplicità è sinonimo di controllo. Per fare ciò, non ci resta che acquisire quel senso critico che ai potenti fa così paura, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. ☺
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