il silenzio di zorro
22 Marzo 2010 Share

il silenzio di zorro

 

“C’è molto rumore e quando c’è molto rumore è meglio guardare in silenzio per poter ascoltare bene” affermò il Subcomandante Marcos, leader dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) prima di svanire. Il leader insorgente del Chiapas, conosciuto ultimamente come Delegato Zero, è scomparso. Nessuno sa dove possa trovarsi. Negli ultimi tempi la sua voce non riecheggia più nell’opinione pubblica messicana. Le sue parole, i comunicati, le performance si contrappongono ai silenzi, alle delusioni, ai fallimenti. La sua immagine ha perso d’interesse nel paese e quest’assenza, paradossalmente, rispecchia il periodo critico del neozapatismo. Lo ha dichiarato lui stesso alla stampa: “Siamo passati di moda”. Marcos è stato il personaggio più singolare della recente storia messicana, il ciberguerrigliero che ha trasformato un passamontagna nel simbolo di una lotta. Quando insorse contro il governo neoliberista di Salinas de Gortari sembrò la reincarnazione di Emiliano Zapata o quella di un nuovo Che Guevara. Ma Marcos non fu né l’uno né l’altro. È stata una comparazione ingiusta, come ha lui stesso detto, perché si trattava di un’altra epoca dell’America Latina e di un modo diverso di vedere il mondo. Il neozapatismo non si è identificato con una figura ribelle e ha cercato di costruire un’identità collettiva. Il passamontagna rappresentava, appunto, questo. “Marcos poteva essere chiunque, chiunque poteva essere Marcos”.

In uno dei suoi ultimi discorsi (Caracol della Garrucha 2 agosto 1998), il Delegato Zero ha ripercorso la parabola esistenziale del movimento. Tutto iniziò il primo gennaio 1994 quando “un piccolo gruppo illuminato” dichiarò guerra al governo messicano, occupando sei municipi indigeni, in concomitanza con l’entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio tra Messico, USA e Canada (NAFTA). Era un gruppo armato, “sopravvissuto alla caduta del Muro di Berlino, al crollo socialista, all'abbandono della guerriglia in Centroamerica”, che chiedeva la democrazia, la giustizia e la libertà per i popoli indigeni. Un movimento guerrigliero foquista e ortodosso che nelle comunità degli Altos si è convertito in un esercito al servizio degli indigeni. “Da un movimento che progettava di servirsi delle masse, dei proletari, degli operai, dei contadini, degli studenti per arrivare al potere e guidarli alla felicità suprema, ci convertimmo in un esercito che doveva servire le comunità indigene tzeltales”. L’insurrezione – secondo Marcos – fu la risposta all'acuirsi di un disagio sociale e alla povertà diffusa. In quel dimenticato luogo del paese i bambini morivano di malattie curabili. Il loro decesso cancellava il futuro e la speranza di quei popoli. “Non esisteva la democrazia e non potevamo proporre nulla per migliorare le nostre vite, né il diritto di educare i nostri figli ad un futuro migliore. Eravamo dimenticati dai cattivi governanti del nostro paese, dimenticati come indigeni, schiavi senza alcuna protezione fornita dalle leggi messicane” (Junta de Buen Gobierno de Morella, 9 agosto 2008). La rivolta armata durò poche settimane. In poco tempo si giunse alla trattativa col governo, alla promulgazione della “Legge per il Dialogo – norma, tuttora vigente, che congela durante il processo di dialogo, di conciliazione e di pace le azioni penali a carico degli zapatisti – e, dopo pochi anni, alla firma degli Accordi di Sant’Andrès. Appare evidente che il conflitto chiapaneco fu più mediatico che propriamente rivoluzionario. Le armi servirono per farsi ascoltare. Diedero visibilità alle etnie indigene, sensibilizzando l’opinione pubblica sul problema modernità.

Quando abbandonarono le armi, per la resistenza civile e pacifica, si aprì una nuova tappa del movimento. Una differente concezione del potere caratterizzò il nuovo corso zapatista: “Le soluzioni si costruiscono dal basso verso l’alto”. Tutta la proposta precedente, quella che dall’alto decideva per il basso, veniva ripudiata. Il rifiuto della violenza portò molti a ritenerli alleati con i partiti di sinistra. Tale disegno fu smentito in occasione delle presidenziali del 2006, quando Marcos si oppose al candidato di sinistra Lòpez Obrador e lanciò la “Otra Campaña”. Una mobilitazione, durante le presidenziali del 2006, orientata a criticare il sistema politico messicano e ad evidenziare l’alternatività dai candidati ufficiali. La campagna prevedeva, in una seconda fase, una serie d’incontri nel paese con i movimenti extraparlamentari nella definizione di un programma alternativo comune. Si voleva costruire un “modus operandi”, ossia un nuovo modo di fare politica, alternativo al “monologo a più voci di commedianti a tempo pieno, i politici, amplificato dai mezzi d’informazione”. Per El Universal, notizia poi ripresa da altri organi di stampa, la scomparsa di Marcos rappresenterebbe un “ripiego tattico” finalizzato alla definizione di nuova campagna parallela alle legislative del 2009. Ad oggi la “Otra Campaña” è stata un insuccesso, perché non è riuscita ad elaborare nessuna proposta politica consistente. Due furono i passaggi chiave nella storia dell’EZLN: la conversione alla causa indigena e l’abbandono della lotta armata per la resistenza civile e pacifica. Così definirono il loro cammino. “La sfiducia, la disillusione della gente verso la politica si sta convertendo in rabbia, quella che genera disperazione e che origina la violenza dal basso” affermava qualche tempo fa Marcos.

L’attuale silenzio coincide, da un lato, con la popolarità del leader di sinistra Lòpez Obrador e, dall’altro, con la presenza nel paese di altri gruppi armati, organizzazioni clandestine di tipo marxista-leninista o tipicamente indigene. Milizie come l’Ejèrcito Popular Revolucionario (EPR) o l’Ejèrcito Revolucionario del Pueblo Insorgente (ERPI) che lottano per il potere e per un radicale cambio di governo. Quello che in passato è stato l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e che oggi ha scelto di non essere. ☺

 pinobruno@yahoo.it

 

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