Indice del numero 176 – Novembre 2020
Nel numero di Novembre 2020
– il vangelo dell’unità
di Rosalba Manes
– dal sisma al covid (lettera aperta ai sindaci perché prenda piede la medicina sul territorio)
di Antonio Di Lalla
– il vangelo assente
di Michele Tartaglia
– gareggiare onestamente
di Dario Carlone
– pittura:”25 novembre 1932/33″
di Antonio Scardocchia
– vicinanza sociale
di Rossano Pazzagli
– la medicina sul territorio ai tempi del covid (a cura di: La fonte, Diocesi Termoli-Larino, Chiese Battiste di Campobasso e Ripabottoni e varie associazioni molisane.
di Redazione
– un vigneto distrutto
di Cantine D’Uva
– respirami ancora
di Enzo Bacca
– la regione dei perditempo
di Antonio Celio
– il nostro amico carlin
di Rodolfo Di Martino
– disegno su tela: “SPACE 1”
di Leo Antonio Di Pietro in arte Acidselzart
– andrà tutto bene?
di Tina De Michele
– e ora, è necessaria la cura
di Marcella Stumpo
– tela: “graffiti”
– cristina di belgioioso
di Loredana Alberti
– ricordi autunnali
di Christiane Barckhausen-Canale
– basta poco
di Lucia Berrino
– pittura:”il virus in agguato”
di Ana Maria Erra Guevara
– né dolcetto né scherzetto
di Filomena Giannotti
– bellezza e tormento
di Gaetano Jacobucci
– il conflitto quotidiano
di Gabriella de Lisio
– lina pietravalle
di Fabio Vanni
– il posto dei santi
di Marco Branca
– libri: “LARINO Il progetto di recupero” di Enzo Di Maria
recensione di Pasquale Di Lena
– all’indomani del referendum
di Franco Novelli
– capitale e ideologia
di Antonio De Lellis
– il tempo
di Nicola Paciullo
– mobilità e comunicazione
di Angelo Sanzò
– verranno a prendermi
di Enzo Bacca
– noi che…
di Franco Pollutri
– una mela al giorno…
di Gildo Giannotti
– pioveranno miliardi
di Rodolfo Di Martino
– continuità nella novità
di Silvio Malic
– crisi dell’economia e della sanità
di Famiano Crucianelli
– dal sisma al covid (lettera aperta ai sindaci perché prenda piede la medicina sul territorio)
di Antonio Di Lalla a pag.3
È davvero triste, dopo 18 anni, dover parlare ancora di quel terremoto che il 31 ottobre 2002 lacerò in modo indelebile le nostre comunità ma lo dobbiamo ai soggetti più deboli, a quelli che vivono ancora l’attesa esasperante della ricostruzione. Non è un rituale, per noi è un obbligo continuare ad alimentare la speranza indignata perché ci sia giustizia per tutti.