Insorgere per irrompere
13 Dicembre 2022
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Insorgere per irrompere

Credo che sia abbastanza facile darci una spiegazione dei motivi del consenso incassato tra le classi popolari dalle destre reazionarie, odiose e odiatrici, aggressive e crudeli.

La “stagnazione secolare” a cui si aggiungono l’inflazione, la fine della crescita esponenziale (almeno in Occidente) hanno creato tra i perdenti della globalizzazione, tra i ceti medi impoveriti, tra i giovani precarizzati una “antropologia dell’insicurezza”. In tale contesto sociale, il materiale ideologico più facile da reperire, con cui agglutinare il risentimento contro il tradimento delle élite non poteva che tornare ad essere la patria, il rosario e il moschetto. Con buona pace per le rivoluzioni verdi e digitali, per il capitalismo resettato, sostenibile, inclusivo e dal “volto umano”. Gli Obiettivi dello sviluppo dell’ ONU, l’Accordo di Parigi e pure l’Economy of Francesco possono aspettare tempi migliori. Le chiacchiere tornano a zero.

Meno facile, invece, è capire cosa e come dovremmo fare noi per rovesciare il malcontento (e la rabbia) in un vero movimento di emancipazione e di liberazione dalla riduzione a merce del lavoro e della natura.

La mia banalissima tesi (mi rendo conto di non dire nulla di nuovo) è che soffriamo la mancanza di un grande progetto di trasformazione sociale, ecologico, pacifista nonviolento che sappia prendersi in carico i bisogni pratici, quotidiani, fondamentali delle persone, ma anche che sia capace di dare una risposta “di cornice” alla crisi di civilizzazione del capitalismo.

Mi immagino un nostro doppio movimento: che sappia agire sia nel campo sociale sia in quello delle idee. Creare spazi di libertà “fuori mercato”, presìdi permanenti di “contro-potere”, anche limitati, locali, ma generatori di relazioni comunitarie solidali e responsabili, da una parte, e, contemporaneamente, recuperare una dimensione valoriale, simbolica, culturale, etica dell’agire politico trasformativo. Senza sogni la politica muore, diventa mera amministrazione dell’esistente.

Dovremmo avere il coraggio (e l’ambizione) di concretizzare e dare un nome all’Altro mondo nuovo immaginato vent’anni fa a Seattle, a Porto Alegre, a Genova, a Firenze … Un mondo disarmato, smilitarizzato, un’economia della cura, fuori mercato, fuori da ogni forma di colonialismo e di eurocentrismo, un pianeta vitale, delle istituzioni politiche fondate su comunità solidali, aperte, inclusive, confederate.

Capisco bene che termini come sinistra, progressismo, socialismo, comunismo … hanno bisogno di essere profondamente risignificati a causa degli “slittamenti semantici” (per essere generosi) che i loro stessi fautori hanno assecondato nel corso della storia reale. Ma quando vedo i risultati delle deputate della “The Squad” del gruppo neosocialista del Democratic Socialist of America (DSA), o, ancor più, le realizzazioni del comune di Barcellona grazie alle compagne e ai compagni di  Barcelona En Comù e altre esperienze in campo, allora mi rincuoro.

Penso insomma che ogni insorgenza sociale debba essere accompagnata anche da una irruzione nelle istituzioni politiche. La politica è troppo importante – ha detto il giovane danese del movimento per i diritti delle minoranze – per delegarla e professionalizzarla. Va praticata, contesa, negoziata direttamente, in prima persona dai movimenti sociali.☺

 

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