Io, caterina
11 Febbraio 2021
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Io, caterina

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

Caterina nasce nel 1347 nella numerosa famiglia (la madre Lapa avrà 25 gra­vidanze) di Jacopo Benincasa, tintore. La madre, donna di carattere molto deciso, atea, ha da sempre con Caterina un rapporto fortemente competitivo. Il legame intenso pare dovuto al fatto che fu l’unica figlia ad essere da lei allattata. Caterina scrive: “Ho desiderato di un desiderio grande di vedervi madre vera non solo del mio corpo ma anche della mia anima”. A sette anni, dopo la visione del Cristo, decide di “togliere a questa carne ogni altra carne, per quanto ne sia possibile”. All’insistenza della madre per farla mangiare, inizia a gettare di nascosto la carne sotto al tavolo. Come sostiene Bell (La Santa Anoressia, 1987, Laterza Ed.) questa conflittualità con la madre segnala come “Caterina, pur essendo ancora una bambina, cominciava già a sviluppare la capacità di attinge­re la propria forza interiore soltanto dalla sua personale relazione con Dio”. Caterina è combattuta tra l’essere una brava figlia o ribellarsi. Finge, come poi sosterrà, di accettare. Ha 15 anni quando la sorella Bonaventura muore di parto; Lapa vuole che Caterina sposi il vedovo della sorella che, da ricco tintore, può garantire l’economia di tutta la famiglia. È in questa cir­costanza che si aggrava lo “scompenso anoressico”. Caterina inizia una battaglia contro la famiglia, perde metà del proprio peso e si oppone con un digiu­no che conferma la propria decisione a Dio e la rinuncia alla propria “corpo­reità”. “Oggi sarebbe più facile rendere una pietra molle come cera che strapparmi dal cuore questa determinazione. Perdete il vostro tempo a combatterla. Se poi vorrete consentirmi di con­tinuare a vivere in questa casa, fate di me la vostra umile serva, sarò felice di pre­starmi al mio meglio. Se invece mi allontanerete da voi a causa del mio voto, non  cambierete per questo il mio intendimento. Il mio Sposo è sufficientemente ricco e potente da non privarmi di nulla, da provvedere alla mia persona”. Dopo due anni il padre Jacopo la asseconda. Caterina si rinchiude nella sua piccola cella, inizia a flagellarsi, non si nutre e non dorme tra la rabbia e la disperazione della madre che conferma la sua incomprensione. Caterina riesce ad entrare, malgrado la sua giovane età, nell’ordine delle Mantellate. È un ordine militante per cui può avere un suo ruolo nell’assistere i malati, pur restando in famiglia.

A 21 anni Caterina allarga il suo campo di battaglia e si dedica alla Chiesa. Il suo obiet­tivo è il ritorno del papa Gregorio XI da Avignone a Roma. Continua quindi a pensare “così tanto alla salvezza degli uomini che non ha tempo per pensare a se stessa o a toccare alcun nutrimento terreno”. “Per non dare scandalo prendeva talvolta un poco d’insalata e un po’ d’altri legu­mi crudi e di frutta e li masticava, poi si voltava per sputarli. E se per caso ne inghiottiva anche un solo minuzzolo, lo stomaco non le dava requie finché non l’avesse rigettato”.

Difende il nuovo papa Urbano V contro lo scisma avignonese di Clemente VII sempre con una militanza energica e decisa contro chi vuole opporsi. Più penitenza e più digiuno sono la sua forza e le modalità per far valere le sue ragio­ni. Aumentano in Caterina i dubbi e decide di non alimentarsi più implorando che le sia concesso di “caricarsi sulle spalle gli errori e i mali della Chiesa e di coloro che la governano”. Il pensiero di essere delusa dagli altri o essere lei a deludere Dio aumenta i suoi conflitti e accentua l’anoressia. Per tre mesi si rinchiude in cella nutrendo­si solo di qualche goccia d’acqua col dubbio che la sua vita possa essere stata costellata da una serie di errori. Muore il 29 Aprile 1380 a 33 anni!

Oggi Caterina verrebbe curata per anoressia e forse si salverebbe. Io la scelgo per la determinazione e il carisma. La lotta con la madre la pone al centro di uno spazio tutto per sé. Dopo 500 anni Virgina Woolf parlerà della stanza tutta per sé.

Con la mancanza dello stimolo della fame ottiene due effetti: non si vive di solo pane e il distacco dal cibo materiale invita ad una lucida fame di Dio. Dichiara di essersi misticamente sposata con Gesù. Lui le ha regalato un magnifico anello. Dichiara che Gesù le ha aperto il petto per scambiare il suo cuore con quello di lei. Lo testimonia una cicatrice che rimarrà per sempre sul suo costato. Vede i peccati a distanza, non percepisce freddo perché fornita di una veste invisibile, che dichiara essere stata donata da Gesù. Distribuisce vino da una botte inesauribile, moltiplica la farina per fare il pane, risolve i dolori e le malattie. Quando a Siena scoppia la peste e il panico, Caterina assiste i malati e per vincere la ripugnanza si dice che beva l’acqua che ha lavato il pus delle ferite.

Semianalfabeta, impara a leggere e scrivere e scrive 381 lettere. Si pone come obiettivo la pacificazione della Chiesa. Sarà la consigliera di papi in un periodo dove era impensabile immaginare lo scambio di lettere fra una donna e il papa, Caterina ci riesce. Imponendosi (hoc volo et numquam recedam hinc nisi reddas eam mihi). Firmandosi io umilissima serva, l’ultima delle sue ancelle, ordina e convince.

Vissuta in un’epoca in cui alle donne si imponeva il silenzio e l’obbedienza, fuori dagli schemi sociali, Caterina ha parlato, ha viaggiato, ha vinto.☺

 

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