Lettera di sylvia plath
8 Maggio 2021
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Lettera di sylvia plath

Cosa ci attira di uno scrittore? Perché l’amiamo? Ovviamente per la scrittura ma lasciatemi dire anche per la vita: più conosco della vita di uno scrittore più amo leggere fra le pieghe delle sue opere. Proprio per cercare quella segretezza che, secondo Roland Barthes, sta fra lo spazio di un rigo nero e l’altro. E Sylvia Plath ha scritto nella sua breve vita tanto: poesie perfette e fulminanti saggi, romanzi, racconti. E diari, lettere. Ma da tanta scrittura possiamo dedurre la verità sulla sua vita e soprattutto sul suo suicidio? Sylvia nasce il 27 Ottobre 1932 in un sobborgo di Boston. Trascorre l’infanzia in famiglia, all’interno di un ambiente colto e conservatore. Il padre Otto, a causa di un diabete mal curato che successivamente sfocia in una cancrena alla gamba, muore. Sylvia ha nove anni, il dolore per la morte del padre si mescolerà ad un senso di colpa. Si riversa sulla parola, scrivendo pagine di diario che accompagneranno la sua breve vita. Alla madre Sylvia scriverà sempre lettere minuziose che raccontano la vita brillante. La carriera scolastica di Sylvia è assolutamente fulgida e grazie ai suoi scritti, consegue molti premi. Uno di questi la conduce a New York. Il rientro a casa è sempre accompagnato da gravi crisi. In quegli anni, siamo nel 1953, già si parla per Sylvia di cure psichiatriche, primi ricoveri in manicomio, tentato suicidio ed elettroshock.

Da una parte l’aspetto solare, indipendente della giovane donna perfetta, incarnazione del sogno americano, dall’altra l’ombra della depressione che oscura tutte le pagine, anche quelle della grande felicità trovata nella relazione con Ted Hughes. Sylvia e Ted si conoscono a una festa, si piacciono. Lei, ossessionata dall’eccellenza, può amare solo un genio e lui, per lei, lo è.

Sylvia non ha mai dubbi sulla loro vita insieme: scriveranno, si sosterranno, creeranno la famiglia perfetta, lei sarà una grande poetessa e scrittrice, lui il più grande poeta di lingua inglese del mondo. Si sposano con entusiasmo, scrivono con regole rigide portate da Ted e da lei accettate, in attesa del primogenito; lei intenta nella composizione di quello che sarà il primo libro, Il Colosso, e nella continua correzione, sostegno e promozione delle opere di Ted che, prima di lei, conoscerà il successo. La figlia Frieda e il libro vedono la luce a breve distanza uno dall’altra, a Londra, nel 1960. Nel Devon, dove gli Hughes acquistano una fattoria, ogni fatto della vita quotidiana, intima o sociale, trova uno specchio e un esito nella poesia e nella narrativa della Plath. Mentre Ted va sempre più spesso a Londra per partecipare a presentazioni e reading radiofonici, Sylvia vive la vita della casalinga di campagna che le va sempre più stretta. Neanche la nascita del secondo figlio Nicholas può rinsaldare la coppia. Ted si invaghisce di Assia Wevill, (che si suiciderà anche lei mettendo la testa nel forno, insieme alla figlia Shura), Sylvia lo caccia di casa. Tra la fine di settembre e i primi di dicembre del ‘62, scrive le quaranta poesie di Ariel, il suo capolavoro. Così ne parla ad un’amica: “Vivo come una spartana, scrivo in preda a una febbre e produco quello che per anni avevo chiuso a chiave dentro di me. Mi sento stordita e molto fortunata. Continuavo a dirmi che ero il tipo che riusciva solo a scrivere quando era tranquilla e in pace, ma non è vero, la musa è venuta qui, adesso che Ted se n’è andato”. Il ritorno a Londra coincide con l’inverno più freddo del secolo che fa gelare l’acqua nelle tubature, Sylvia ha continue influenze e attacchi di depressione.

L’11 febbraio, dopo avere messo al riparo i figli nella loro cameretta, con la finestra socchiusa e pane e latte vicino, la bambina che voleva essere Dio, si inginocchia davanti al forno, poggia il capo sul piano e muore.

Tutto sembra semplice: alcuni o molti accusano Ted di averla abbandonata e spinta al suicidio, altri pensano che Sylvia soffra di disturbo bipolare e quindi aveva un destino predestinato. Come capire?

La sua ultima raccolta Ariel viene pubblicata nel 1965 dal marito, che ricompone l’ordine delle poesie di Sylvia: ne leva alcune, ne mette altre precedenti dando quindi un altro aspetto alla raccolta. Ted distrugge i diari del ‘62, diari che sarebbero i più importanti per comprendere lo stato d’animo di Sylvia. Ted spadroneggia sugli scritti di Sylvia essendone sempre il curatore. Solo nell’81 vengono pubblicate tutte le poesie di Sylvia che riceve il premio Pulitzer.

In più dopo 35 anni di feroce silenzio Ted Hughes scrive Lettere di compleanno un libro dedicato a Sylvia che potrebbe essere considerato un canzoniere come quello di Petrarca per Laura o le rime di Dante per Beatrice ma che a mio avviso, come scrive la Wagner in una biografia di Sylvia, sono solo una bomba per sminuire la figura della scrittrice e per autoassolversi dalle accuse pesanti che per anni lo avevano perseguitato.

Ma abbiamo anche altre versioni: c’é Nadia Fusini, anglista esperta, che nell’ introduzione a Lettere di compleanno scrive “Ted racconta, non urla non grida… c’è una parola inglese endurance che spiega come la durata, la resistenza al dolore coincida con la forza di sopportarlo, come se il dolore e chi lo soffre fossero tutt’uno”. E Sylvia davvero ci sembra folle e lui vittima.

Poi nel 2013 improvvisamente vengono messe in vendita alcune lettere di Sylvia alla sua psichiatra. Bloccate e ricomprate dalla famiglia, vengono pubblicate dalla figlia Frieda. Leggiamo alcuni stralci:

Sabato 22 settembre 1962 “Ted mi ha picchiato un paio di giorni prima dell’aborto: il bambino che ho perso avrebbe dovuto nascere il giorno del suo compleanno. È stata un’aberrazione”.

Sabato 29 settembre 1962 “…risme di versi d’ amore appassionati a questa donna, a quest’ unica donna alla quale stava diventando sempre più fedele, versi in cui descriveva i loro orgasmi, il suo corpo d’avorio… molte di queste poesie sono di ottimo livello… lei è così bella, mentre io mi sento una megera, con i miei capelli sfatti e questo naso enorme”

Ed odiamo Ted, che non ha capito nulla. Nell’ultima poesia Limite Sylvia scrive La donna ora è perfetta/ il suo corpo morto ha sorriso della compiutezza/ l’illusione di una necessità greca/ fluisce nei volumi della sua toga/ i suoi piedi/ nudi sembrano dire/ siamo arrivati fin qui, è finita (5 febbraio 1963).

Dove sta dunque la vera Sylvia? Dobbiamo ancora spezzettarla, ingoiarla, vomitarla per carpirne il senso? Forse ha ragione Nadia Fusini che scrive, parlando del suicidio “alludo ad un modo di essere della Poesia, ad una richiesta imperiosa del suo demone che ad alcuni eletti impone, richiede quella devozione, quel rischio che Sylvia accettò”.☺

 

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