ipocrisia e guerra    di Franco Novelli
2 Settembre 2012 Share

ipocrisia e guerra di Franco Novelli

 

Intorno alla prima metà del mese di luglio scorso, alcuni cacciabombardieri Amx del 51° stormo, dispiegato ad Herat, in Afganistan, hanno bombardato massicciamente il “nemico” talebano. La conferma di tale attacco militare di guerra è venuta dalle dichiarazioni del comandante del contingente italiano nonché dagli inviati delle testate giornalistiche non solo italiane.

Ebbene, quale la reazione dell’opinione pubblica nel suo insieme? Quasi nessuna, forse perché distratta dalle fatue e sciocche trasmissioni radio-televisive o perché indirizzata, senza che ne possa comprendere il filo interpretativo, sull’onda delle notizie ogni giorno più scioccanti e pessimistiche dello spread, del default, della crisi economica, questa, sì, in carne ed ossa! Sulla guerra, dunque, soltanto una silente indifferenza ed una colpevole ipocrisia, che l’uso distorto o illecito delle comunicazioni alimenta. Prendiamo un esempio, quello del falso massacro di Racak, in Albania – 15 gennaio 1999 – durante il conflitto fra i kosovari e i serbi – 26 aprile 1996/10 giugno 1999 -, dove sono stati trovati una cinquantina di cadaveri, che non erano affatto i tragici resti di una esecuzione di massa di civili innocenti – ad opera dei serbi belgradesi -, ma il frutto di una sceneggiata allestita dall’Uck, che in quel periodo godeva di un ampio sostegno internazionale, delle diplomazie di molti paesi e dei loro servizi segreti. Incolpare i serbi di gratuito “eccidio” e invalidare i colloqui di Rambouillet (presso Parigi, 6 febbraio 1999, i serbi e i kosovari si sono incontrati per raggiungere un accordo che mettesse fine al conflitto civile e indicasse la strada della soluzione che prevedeva la concessione dell’autonomia amministrativa del Kosovo e non l’indipendenza dalla madrepatria Serbia), colloqui grazie ai quali si poteva immaginare una soluzione pacifica dei conflitti fra i kosovari e la madrepatria serba – Belgrado -, è stato non solo facile ma è apparso come uno strumento che ha giustificato l’atteggiamento ostile delle diplomazie occidentali verso Belgrado e la sua politica di mantenimento del Kosovo in seno alla “piccola” Jugoslavia, ossia la Serbia. In una notte una cinquantina di corpi di combattenti e di civili uccisi negli scontri con le milizie serbe sono stati messi nelle fosse di Racak ed è stato fatto credere che quei cadaveri fossero stati uccisi dai serbi.

In effetti, è molto difficile frenare la deriva civile che si fonda sull’ipocrisia: ipocriti sono gli stati e i loro governi, che mentono sulle vere ragioni dei conflitti armati e ipocrita è la gran parte della società civile (la “massa grigia”!), che, pur di essere in pace con se stessa, mente accettando le varie argomentazioni ufficiali che predispongono gli animi all’inerzia, all’accettazione passiva di quanto viene dichiarato dai mass media (ricordiamoci della provetta – con l’urina – e delle bustine – con il borotalco – di Colin Powell, segretario di stato sotto Bush, in occasione dello scatenamento del feroce conflitto bellico contro l’Afganistan e Saddam Hussein). L’ipocrisia è la ricerca della normalità e oggi, in una situazione così particolarmente delicata dal punto di vista economico, le persone pretendono la normalità della vita, non vogliono pensieri o preoccupazioni, e la guerra, purtroppo, fa parte di questa quotidianità nella quale si fanno strada la deroga e l’abbandono di qualsiasi altra idea, pur eticamente elevata e civilmente necessaria. Questa normalità è segno di grande smarrimento civile ed etico e così ci rendiamo conto che l’ethos e il pathos politico-ideologico di qualche decennio fa sono soltanto ricordi. Altro esempio rilevante potrebbe essere quello relativo alla figura del “soldato”, utilizzato non più soltanto nelle missioni di guerra nel mondo ma anche per l’ordine pubblico in Italia, cosa che ce lo fa apparire come un soggetto che ormai fa parte della quotidianità di una città né più né meno che come un vigile, come il tram che ci porta allo stadio, quindi come parte di un arredo cittadino che abbiamo accettato quasi subito soltanto con qualche sporadica contrapposizione, diciamolo pure, ad opera dei soliti “rompi-coglioni” civilmente impegnati a riflettere sulle modificazioni economiche, giuridiche e comportamentali che riguardano la nostra società. In questo modo finiamo di comportarci – e non ce ne rendiamo conto nemmeno! – come quell’animale kafkiano che si scava la tana, pensando di difendersi dagli altri che lo molestano, cementandola dall’interno con il suo stesso sangue e finendo in questo modo con il rifiutare ogni contatto con gli altri, con il mondo esterno.☺

bar.novelli@micso.net

 

 

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