La bomba atomica del male
L’incipit delle considerazioni che seguiranno non vuole essere né drammatico né estremamente pessimistico; tuttavia, non può oscurare l’immagine di una virtuale stazione aerospaziale, che sta facendo cadere sulla Terra la bomba atomica del male e che con moltissime probabilità potrebbe determinare l’estinzione delle specie viventi del nostro Pianeta. Questa “bomba” è l’attuale catastrofe intellettuale, ossia la bancarotta della ragione, il fallimento di quello che di più umano sappiamo che è assolutamente necessario: il dialogo, utile, opportuno, assolutamente indicato fra soggetti diversi, contrapposti, e, quindi, anche fra nemici incallititi. Di qui, come dimostra ampiamente Roberta De Monticelli nella postfazione del volume J’accuse – Ed. Fuori Scena, 2023 – (sul conflitto israelo/palestinese di questi ultimi tre mesi orrendi) di Francesca Albanese e Christian Elia, ci troviamo di fronte ad una “violenza epistemica”, ad una spietata e raffinata ferocia; ad una brutale, scientifica crudeltà la cui rappresentazione fotografica potrebbe essere quella immagine duale e speculare dell’amico/nemico. Se non ci si sente amico di qualcuno, subito ci vestiamo dei panni del nemico. E punti d’incontro, anche tra diversi, non sono più immaginabili, neppure perseguibili in nessun modo.
Di qui, la violenza feroce; di qui, anche la sua stessa banalizzazione, come se il male e, quindi, la feroce prevaricazione dell’ altro fossero legittimati dalla inesistenza di ogni altra strategia, come, tra altre, quella dell’ incontro con l’altro, del dialogo con il diverso da noi. E la guerra che Israele sta portando contro una organizzazione della Palestina, che non è Stato nazione – cioè Hamas, per un verso estremistica e terroristica, per un altro politica ed amministrativa, questa guerra, dicevamo, lo sta dimostrando a chiare lettere con la distruzione delle ragioni della vita e, pertanto, anche del dialogo. Ci sono, però, consistenti, forti e tenaci riferimenti al dialogo fra opposte fazioni, ma anche cruenti e speculari visioni della Storia, come sta capitando nella guerra dolorosa, infausta, distruttiva che Israele ha scatenato contro tutto il popolo palestinese, supposto come alleato di Hamas e, di conseguenza, considerato anch’esso terrorista da eliminare, da estirpare – come si fa con la “mala erba” – dai territori considerati falsamente solo di appartenenza al popolo ebraico, come la lettura sionista recita da moltissimi decenni a questa parte. Un esempio di questo atteggiamento, che dovrebbe avere per base fondante il dialogo e l’incontro con l’altro diverso da noi, ci viene ricordato e proposto da Luigi Ferrrajoli, sia attraverso il suo volume Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, 2022 – fondamentale dinanzi alla prospettiva della catastrofe intellettuale e planetaria -, come pure attraverso un suo articolo apparso su Il Manifesto il 22 ottobre 2023 dal titolo “Per un atto di umanità e di lungimiranza politica”.
Luigi Ferrajoli sostiene che la guerra scatenata da Israele, per il tramite dell’attuale governo razzista e stragista che governa quel paese, è comportamento assolutamente contrario al diritto internazionale umanitario anche perché – ed io concordo con lui – Hamas è una organizzazione che non rappresenta tutti i palestinesi, ma solo una loro minoranza e, di conseguenza, il conflitto armato è assolutamente non solo illogico ma anche ferocemente brutale e contrario alla Carta dell’ ONU. E continuando a leggere il suo articolo si arriva al punto nodale del suo intervento sull’attuale guerra, alla quale contrappone un ragionamento che qualsiasi ceto politico in questi delicatissimi frangenti di violenza tribale (pensiamo alla guerra scatenata dal governo israeliano, ma anche alle azioni terribilmente offensive dell’umanità – crimini contro l’umanità – perpetrate il 7 ottobre ’23 da Hamas su una popolazione israeliana inerme) avrebbe dovuto e dovrebbe esporre al proprio paese: “ (…) Se avessi potuto agire al posto di Netanyhau la cosa veramente essenziale sarebbe stata sottolineare l’asimmetria radicale tra disumanità incivile e civile umanità delle istituzioni pubbliche. Sarebbe stato aprire un varco nel confine con Gaza, onde consentire l’ingresso in Israele a tutti i palestinesi chiaramente disarmati, primi fra tutti i bambini e le donne, ricoverare i malati e i feriti negli ospedali e offrire agli sfollati, sia pure provvisoriamente, cibo, acqua, medicinali e assistenza”.
Questa ipotesi progettuale sarebbe apparsa, come in effetti appare alla luce della catastrofica condizione in cui versano i due milioni e mezzo di palestinesi nella Striscia di Gaza, come un suggerimento, una indicazione responsabile ed equilibrata; come un atteggiamento che, suppongo senza smentite, soltanto una percentuale minuta del popolo israelita avrebbe perorato e spinto nella sua attuazione. Ma è proprio a questo universo di sensazioni e di umanità che dobbiamo tornare, se vogliamo la sopravvivenza delle tante, innumerevoli culture che sono, pur tra mille contraddizioni e incompatibilità, alimento e tensione ideale all’ incontro con l’altro. Dobbiamo augurarci che sia il diritto internazionale umanitario e le deliberazioni del Consiglio delle Nazioni Unite a prevalere sull’arbitrio e sulla prepotenza neocolonialistica (non solo israeliana, naturalmente!).
Tuttavia, la realtà delle cose è completamente differente: il governo israeliano, e le forze politiche di maggioranza nella Knesset che lo sostengono con forte convinzione, continua a perpetuare la politica colonialistica e razzista nei confronti dei Palestinesi non solo di Gaza ma anche di quelli della Cisgiordania, dove il movimento politico dei cosiddetti “coloni” sta prevalendo sulla popolazione palestinese con azioni di prepotenza selvaggia e di discriminazione razziale. I coloni, con la complicità dell’attuale governo israelita di estrema destra, sono coloro che mettono in pratica la prepotenza e l’arbitrio impuniti e sono quelli che possiamo definire in un certo senso come i “mazzieri” dell’attuale leadership israeliana.
Ma qualche lucciola nell’assoluto buio civile di oggi fa vedere ancora il suo brillio: mi riferisco agli 840 e più funzionari dissenzienti a Bruxelles che hanno ricordato alla presidente della Commissione europea – Ursula von der Leyen – che il suo ruolo, nonché quello del Parlamento europeo, era (ed è!) di chiedere l’immediato cessate il fuoco e la protezione dell’intera popolazione civile di Gaza, richiamando alla sua memoria il Trattato istitutivo dell’Unione Europea: “(…) Nelle sue relazioni con il resto del mondo, l’Unione (…) contribuirà alla pace, alla sicurezza,, allo sviluppo sostenibile della terra, alla solidarietà e al mutuo rispetto tra i popoli, al commercio libero ed equo, allo sradicamento della povertà e alla protezione dei diritti umani, in particolare i diritti del bambino, come all’osservanza rigorosa e allo sviluppo del diritto internazionale, compreso il rispetto dei princìpi della Carta delle Nazioni Unite”.
Ma che ha fatto il Parlamento europeo su proposta della presidenza della Commissione europea? Ha partorito l’ASAP, acronimo di Act in support of ammunition production, cioè l’aumento sconsiderato e demenziale del sostegno – ossia del finanziamento – pubblico alle industrie private di diverse nazioni, produttrici di armi, allo scopo di incrementarne la produzione e da mandarle sui vari prosceni delle guerre che sono in corso. Ed anche con le risorse finanziare del PNRR si possono alimentare gli armamenti e le industrie che li fabbricano. Immensa vergogna! Ecco, dunque, un elemento pericolosissimo che alimenta la “bomba atomica del male” (lessema in J’accuse, postazione, pp. 127/128).☺
