20 anni di Libera
3 Giugno 2015 Share

20 anni di Libera

Quando nasce Libera nel marzo del 1995, siamo dentro un’età critica e difficile, perché, tra le altre cose, un paio di anni prima si era conclusa la stagione delle stragi, ma anche perché si stava esaurendo un’epoca “pione- ristica” dell’antimafia, una stagione che possiamo definire della “prima stagione dell’antimafia” e durante la quale muoiono personaggi appartenenti all’establishement istituzionale e a quello della società civile. Nomi ce ne sono, purtroppo, tanti, ma in questo contesto accenniamo, a mò di esempio, solo a qualcuno: a Boris Giuliano, a Cesare Terranova, al presidente della regione Sicilia, Piersanti Mattarella, a Gaetano Costa, al comandante dei carabinieri di Monreale Emanuele Basile, a Pio La Torre, a Carlo Alberto dalla Chiesa. In questa fase storica – fine anni Sessanta e prima metà di quelli Ottanta del secolo scorso -, caratterizzata dal terrorismo “rosso” e “nero”, nasce un movimento antimafia, che si sviluppa inizialmente in Sicilia e in Campania (ricordiamo la Nuova camorra napoletana di Raffaele Cutolo) e che subito dopo si insedia, irrobustendosi, anche in altre realtà regionali. Il risultato politico più sorprendente di questo periodo oscuro è sicuramente la legge Rognoni-La Torre – settembre 1982 -, che ha introdotto il reato di associazione mafiosa e che nell’ articolo 416/bis, tra l’altro, così recita; “(…) L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza intimidatoria del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquistare in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche (…) di appalti e servizi pubblici per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per gli altri (,,,) “.

È, comunque, la prima volta che l’aggettivo “mafioso” compare in una legge dello Stato. Questa legge, voluta con ostinata caparbietà da Pio La Torre, viene approvata all’ unanimità in commissione senza passare nell’aula di Montecitorio. In questo modo il 416/bis oggi costituisce una pietra miliare della giurisprudenza antimafia e di una condivisa strategia di repressione della criminalità mafiosa.

Ma è nel periodo che intercorre dal 1995 ad oggi che si esprime tutta la consistente robustezza della 2^ stagione dell’antimafia, che trova la sua piena espressione nei multiformi segmenti di un vasto movimento di risoluta contestazione delle istituzioni, considerate (alla luce di Tangentopoli e della crisi verticale dei partiti politici) corrotte e comunque estranee ai più elementari bisogni delle fasce popolari, emarginate dalla rude affermazione del capitalismo finanziario. All’interno di questo movimento trova la sua collocazione anche un’associazione di associazioni come Libera contro le mafie.

La prima grande battaglia civile che Libera promuove – grazie alla raccolta di un milione di firme tra il 1995 e il 1996 – è la legge n. 109/1996 sull’utilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata. La legge 109/96 appare immediatamente importante ed essenziale anche per rafforzare l’opera di sensibilizzazione e di supporto alla gestione innovativa dei beni confiscati alle mafie, incentivando in tal modo l’utilizzazione di metodologie per la diffusione dell’idea della redistribuzione sociale delle risorse illecitamente sottratte alla collettività, promuovendo così la restituzione al territorio delle sue potenzialità di crescita economica e di occupazione sociale. Ma è anche sul terreno squisitamente istituzionale che Libera si muove, come quando sempre nel 1996 con Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie concorre alla costituzione del primo nucleo di amministrazioni locali, inteso come nuovo fronte dell’antimafia istituzionale. Negli anni successivi – tra la fine del XX secolo e i primissimi anni del XXI -, a fronte di un clima di ostilità generale, di diffidenza e di disinteresse che si è venuto esprimendo nell’ambito del sistema politico, sempre più corrotto, grigio e complice delle illegalità criminose, riprende vigore e forza l’ostilità e la ribellione al racket e alle sue prassi intimidatorie. Di qui, la nascita a Palermo di un’associazione giovanile nel 2004 che si chiama Addio pizzo e che dà consistenza alla prima esperienza di consumo critico antimafioso, dal momento che i prodotti si comprano nelle botteghe e nei piccoli esercizi commerciali che dichiarano di non pagare il pizzo. Da questa esperienza palermitana la Confindustria siciliana trae la forza di espellere quegli imprenditori che si sottopongano al pagamento del pizzo, contribuendo a fare strada ad una nuova cultura imprenditoriale, la cui espressione più compiuta è la presenza operosa di imprese cooperative che cominciano a sostenere Libera Terra impegnata sui terreni confiscati alla criminalità organizzata.

Poi nel 2006, su iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione e della Fondazione Falcone, nasce l’ esperienza della “nave della legalità” che ogni 23 maggio porta a Palermo da tutto il territorio metropolitano le scolaresche che hanno realizzato i migliori percorsi formativi sui temi delle mafie.

Nel 2010, poi, il governo, su spinta del variegato universo antimafioso (in primis di Libera) istituisce l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, primo anello operativo (anche se per ora non correttamente funzionale per motivi che esporremo in altra circostanza) di congiunzione fra un bene confiscato e il mondo cooperativistico che intende così restituire alla collettività quello che le mafie hanno estorto con la violenza sopraffattrice, anche grazie alla complicità della cosiddetta massa grigia. ☺