la grande stagnazione
1 Ottobre 2011 Share

la grande stagnazione

 

La crisi del 1929 ha insegnato che una politica monetaria non prontamente accomodante abbandona l’intero sistema economico in una fase di tracollo lungo e duraturo, la Grande Depressione.

Sulla scorta del passato, di fronte alla recente crisi del 2008, le maggiori Banche Centrali hanno intrapreso forti azioni di alleggerimento quantitativo (quantitative easing) con ripetuti e consistenti tagli dei tassi ufficiali, fino a portarli in prossimità dello zero. Esse hanno saputo spostare la loro attenzione dal controllo dell’inflazione al sostegno della liquidità nei sistemi economici entrati in crisi.

Questo corretto approccio monetario espansivo ha però trovato due grandi ostacoli. Da subito, gli effetti di trasmissione della politica monetaria si inceppavano a livello interbancario per via di una repentina “avversione al rischio” tra controparti finanziarie (cfr. Crisi di fiducia sul mercato interbancario – Ianniello e Di Cienzo – Novembre 2008) così che le forti iniezioni di liquidità non riuscivano a defluire fino all’economia reale. Successivamente è sceso lo spettro dell’incertezza che oggi finisce per influenzare ed inibire, molto di più di una pura variabile macroeconomica, i comportamenti di scelta di imprese, lavoratori e famiglie.

Ad appesantire questa coltre di incertezza è la vulnerabilità degli attuali sistemi economici e delle Istituzioni (Banche, Stati e Banche Centrali) chiamate a fronteggiare una serie di rischi che si susseguono a catena: i mutui tossici cartoralizzati sono stati asportati e “fagocitati” dai debiti pubblici degli Stati, i debiti pubblici si sono ulteriormente appesantiti per le indispensabili politiche di sostegno alla disoccupazione post-crisi, i debiti pubblici hanno così raggiunto livelli insostenibili e, in mancanza di reali prospettive di risanamento, sono stati declassati di fatto dal mercato; infine le Banche Centrali hanno dovuto, loro malgrado, iniettare ulteriore liquidità per “digerire” i titoli di debito pubblico giudicati eccessivamente rischiosi. Effettivamente con un indebitamento eccessivo non si può né stimolare né sorreggere l’economia in una fase così delicata in cui essa stessa, da sola, non ha la forza di ripartire e creare quella ricchezza che, almeno in parte, dovrebbe alleggerire i debiti del passato.

 Siamo quindi riusciti ad evitare una Grande Depressione come nel 1929 ma, a tre anni dalla crisi del 2008, ci troviamo oggi in una difficile fase di Grande Stagnazione caratterizzata da un insieme di criticità a livello macroeconomico che, come mai in passato, affliggono simultaneamente i sistemi economici globali: politiche monetarie paralizzate, politiche fiscali ingessate ed incertezza diffusa tra gli agenti economici. In questa fase di Grande Stagnazione tutti gli strumenti di politica economica sono già ampiamente utilizzati e per questo non si intravedono nuove soluzioni macroeconomiche (Euro Union Bond?) per risollevare l’economia, non si intravedono spiragli di luce alla fine del tunnel.

Ad acuire quest’incertezza, purtroppo, contribuiscono le Istituzioni Politiche che hanno dimostrato in questi ultimi trent’anni, almeno in Italia, di non saper spendere produttivamente la finanza pubblica e nemmeno saper creare un contesto socio-economico e giuridico efficiente in grado di consentire agli operatori privati di ritrovare almeno quel coraggio o pizzico di follia necessari ad investire nel futuro. È vero che per definizione gli Stati non possono fallire (anche se tecnicamente in molti lo sarebbero già!) però dobbiamo purtroppo rilevare che è fallita la missione di tutta la classe politica di questi ultimi trent’anni. Essa ha lasciato correre il debito pubblico fino a livelli critici tali da arrecare grave pregiudizio alla stabilità finanziaria nazionale ed oggi senza alcuna prospettiva credibile di risanamento. Solo dopo il crollo della domanda di titoli di stato italiani, che ha visto schizzare in alto lo spread dei nostri Btp rispetto ai Bund tedeschi, il Governo e l’Opposizione hanno approvato di corsa la “manovra del secolo” da 55.000.000.000 (cinquantacinque miliardi) di euro, secondo la quale in soli due anni l’Italia raggiungerà il pareggio di un bilancio martoriato da trenta! L’importante per loro è aver trovato i colpevoli: questi sono i mercati, anzi gli speculatori! È bello e troppo facile dare la colpa a “uomini senza un nome e senza una faccia” e non a se stessi. Se così fosse allora è doveroso osservare che la speculazione si innesta quando un sistema raggiunge una posizione limite, non più sostenibile, per cui si espone a facili attacchi dall’esterno.

La situazione limite dell’Italia si chiamava, già da molti anni, debito pubblico ed era ben nota a tutti gli addetti ai lavori e ancor di più alla Classe Politica stessa che in questa situazione è arrivata da sola e ancor peggio c’è rimasta fin quando ha potuto, fin quando i mercati si sono stancati. Infatti, quando poi si legge che è crollata la domanda di titoli di stato italiani, ad esempio una banca tedesca non ha rinnovato 7.000.000.000 (sette miliardi) di euro di scadenze di nostri Btp (tamponati dall’intervento della BCE), allora si capisce chiaramente che questa non è speculazione ma vera e propria asset allocation volta ad alleggerire i rischi dei propri portafogli.

In una Grande Stagnazione fatta di sistemi economici debilitati e sempre più vulnerabili ora servono solo fatti concreti e non se ne può più di ascoltare certi tipi di discorsi politici che, incuranti degli equilibri economici dell’Italia in bilico, vorrebbero perpetuare come sempre la difesa di interessi di singole classi o minoranze ristrette. In questi ultimi tre anni si è persa prima la fiducia sul mercato interbancario, poi nei confronti dei debiti pubblici, poi verso gli Stati e le Istituzioni incapaci anche di creare un contesto di riforme indispensabili per una benché minima prospettiva. A questo punto, resta solo la fiducia in noi stessi, la predisposizione obbligata, e che sia di tutti, a fare sacrifici per un futuro migliore, il nostro. ☺

www.iannielloconsult.com

 

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