La lingua inquieta di pasolini
10 Dicembre 2025
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La lingua inquieta di pasolini

Campobasso, fine ottobre. L’ autunno che avvolge l’Università del Molise ha avuto quest’anno un respiro diverso, più denso, come se dalle colline intorno fosse arrivata l’eco di voce remota, quella di Pier Paolo Pasolini. Per tre giorni infatti, dal 28 al 30 ottobre, l’Ateneo ha ospitato il convegno “L’eredità linguistica di Pier Paolo Pasolini” in un programma denso di interventi che hanno messo in risalto una volta ancora, una parola, quella del poeta, che non ha mai smesso di interrogare il presente. Non un semplice appuntamento accademico, ma un incontro vivo fin dall’apertura, con l’ intervento di Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, attraverso il quale si è capito che il convegno sarebbe stato qualcosa di più di una banale commemorazione, bensì un tentativo collettivo di capire cosa resta, oggi, della lingua di Pasolini, del suo coraggio linguistico, della sua capacità di rendere il verbo una ferita civile.
In tre giornate, studiosi e studiose hanno ripercorso i molteplici linguaggi pasoliniani, dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla scuola, scoprendo come in ognuno di essi si nasconda un gesto di libertà: Pasolini non “usava” le parole: le interrogava, le sporcava, le amava. Ogni sua espressione, come è emerso dalle relazioni, è stata una forma di resistenza all’omologazione: che fosse il friulano contadino o il romanesco delle borgate, la lingua sacra del latino o quella aggressiva, invasiva e pervasiva della televisione, in tutte si respirava la stessa tensione verso un’autenticità ormai perduta. La summa emersa è stata quella di un’immagine corale, viva, di un autore che continua a parlarci con una necessità che a volte sorprende.
Si è discusso della lingua come corpo politico, come strumento di conoscenza e di dissenso, ma anche come luogo di compassione, di cura. E nelle parole dei relatori, tra le riflessioni sulla lessicografia e la voce poetica, si avvertiva una comune consapevolezza: quella per cui la lingua di Pasolini non appartiene solo ai libri, ma alla vita quotidiana, alla scuola, ai dialetti, alle nostre discussioni di oggi. Chi era presente, studenti e docenti insieme, hanno avvertito quella unità di intenti, rara in questi casi, che solo certi incontri sono in grado di generare: “il momento in cui la cultura smette di essere citazione e torna esperienza”.
E così, nel silenzio finale che ha concluso la tre giorni di lavori, è rimasta una domanda sospesa, la stessa che Pasolini suggeriva ai suoi contemporanei: “Che cosa ne abbiamo fatto, noi, delle parole?” Durante il convegno, la risposta sottesa è sembrata essere: le parole possono ancora essere un atto d’amore e di resistenza.
Forse non è un caso che questo evento, omaggio al poeta, abbia avuto luogo proprio in Molise, terra apparentemente marginale e silenziosa, eppure vicina, per natura e sensibilità, al mondo pasoliniano. Le sue colline spoglie, i paesi dove la lingua conserva ancora inflessioni antiche e spesso provenienti da terre al di là dell’Adriatico, i rari volti di chi resta e dei tanti di chi parte: sono immagini che avrebbero parlato al Pasolini antropologo, quello che cercava nei dialetti la purezza originaria della lingua italiana. In una regione che ancora conosce il valore della parola data e del silenzio, Pasolini avrebbe trovato forse un riflesso della sua Italia “vera”, fragile ma autentica, lontana dai clamori delle grandi città e vicina all’essenza vera delle cose.
Probabilmente, anche se Pasolini in Molise non è mai venuto, qui lo si sente come se ci fosse stato da sempre, perché questa terra, con la sua discrezione e la sua forza antica, custodisce ancora quell’Italia che lui cercava: un’Italia non scenografica ma vera, dove la lingua è identità, dove ogni voce conserva un accento, un respiro, una memoria. In fondo, il Molise rappresenta proprio ciò che Pasolini ha amato per tutta la vita: la resistenza silenziosa delle periferie, la dignità delle cose semplici, la parola che nasce dal popolo e non dal potere.
Ed è forse per questo che, pur senza averla mai attraversata, la sua ombra poetica sembra appartenere anche a questa terra.☺

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