la pace in cammino di Cristina Muccilli | La Fonte TV
È un tempo, questo, in cui le parole sembrano superflue, le esperienze concluse; la sensazione più diffusa è lo sconforto, la frustrazione. Eppure in un incontro di preparazione della Marcia della Pace ti capita di ascoltare ciò che può ancora segnare una strada.
Sabato 21 settembre Flavio Lotti, coordinatore nazionale del Tavolo della Pace, ha introdotto le tematiche per la marcia del giorno successivo. Nessuna retorica sulla categoria in questione, ma un concetto di base limpido, di una semplicità impraticabile: ridare il giusto valore alle parole, riscoprire il rigore del linguaggio. In altri termini, acquisire credibilità attenendosi strettamente al significato.
Se parliamo di pace dobbiamo riferirci ad una condizione in atto e non già a qualcosa da raggiungere a seguito di un evento – e qui Lotti ha inserito una nota toccante dicendo che la pace “è una cosa che viene prima e non dopo”. E se usiamo questa parola non possiamo prescindere da altre che ne sono diretta conseguenza o strettamente collegate ad essa.
Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione non possiamo che parlare di giustizia, di equità sociale, di diritti, e ancora di accoglienza, di inclusione, di rispetto per la diversità. Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione ci accorgiamo di trattare dei conflitti in atto, non solo nella nostra società, ma in quella mondiale.
Attenersi al significato delle parole, quindi, vuol dire scoprire le carte: possiamo pensare, oggi, di cambiare il corso degli eventi (nefasti) usando il dizionario?
Potrebbe funzionare se fossimo in tanti a farlo, potrebbe funzionare se fossimo in tanti a recepire la diversità della trattazione, potrebbe funzionare se avessimo un apparato uditivo in grado di percepire le menzogne e un cervello capace di rifiutare le mistificazioni, potrebbe funzionare se avessimo un cuore generoso. Potrebbe fun- zionare se non fossimo anestetizzati e proni, se non delegassimo, se imparassimo a viaggiare insieme e costruirci il cambiamento senza sospetti invalidanti e pretese di controllo, se avessimo l’umiltà di ascoltare.
Potrebbe funzionare se comprendessimo che le difficoltà, le ingiustizie, le prevaricazioni, la corruzione, la mafia, la fame, la mancanza di lavoro, la guerra, non sono problemi singoli, da risolvere uno alla volta, bensì il prodotto di una determinata (sciagurata) visione delle cose e che su questa bisogna agire, contrapponendo una nuova etica, un nuovo sguardo, un nuovo mondo.
Eravamo pochi in cammino, pochi ad arrivare alla chiesa di Santa Maria della Strada, pochi ad ascoltare i relatori. Mi sono chiesta se bastassimo, mi sono interrogata sul senso della nostra partecipazione, sul significato delle defezioni. Non sono stata in grado di darmi delle risposte, né so cosa possa servire a cosa, ma sono arrivata ad una conclusione piccola piccola: se non ci svegliamo il nostro letargo diverrà mortale.☺
cristina.muccilli@gmail.com
È un tempo, questo, in cui le parole sembrano superflue, le esperienze concluse; la sensazione più diffusa è lo sconforto, la frustrazione. Eppure in un incontro di preparazione della Marcia della Pace ti capita di ascoltare ciò che può ancora segnare una strada.
Sabato 21 settembre Flavio Lotti, coordinatore nazionale del Tavolo della Pace, ha introdotto le tematiche per la marcia del giorno successivo. Nessuna retorica sulla categoria in questione, ma un concetto di base limpido, di una semplicità impraticabile: ridare il giusto valore alle parole, riscoprire il rigore del linguaggio. In altri termini, acquisire credibilità attenendosi strettamente al significato.
Se parliamo di pace dobbiamo riferirci ad una condizione in atto e non già a qualcosa da raggiungere a seguito di un evento – e qui Lotti ha inserito una nota toccante dicendo che la pace “è una cosa che viene prima e non dopo”. E se usiamo questa parola non possiamo prescindere da altre che ne sono diretta conseguenza o strettamente collegate ad essa.
Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione non possiamo che parlare di giustizia, di equità sociale, di diritti, e ancora di accoglienza, di inclusione, di rispetto per la diversità. Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione ci accorgiamo di trattare dei conflitti in atto, non solo nella nostra società, ma in quella mondiale.
Attenersi al significato delle parole, quindi, vuol dire scoprire le carte: possiamo pensare, oggi, di cambiare il corso degli eventi (nefasti) usando il dizionario?
Potrebbe funzionare se fossimo in tanti a farlo, potrebbe funzionare se fossimo in tanti a recepire la diversità della trattazione, potrebbe funzionare se avessimo un apparato uditivo in grado di percepire le menzogne e un cervello capace di rifiutare le mistificazioni, potrebbe funzionare se avessimo un cuore generoso. Potrebbe fun- zionare se non fossimo anestetizzati e proni, se non delegassimo, se imparassimo a viaggiare insieme e costruirci il cambiamento senza sospetti invalidanti e pretese di controllo, se avessimo l’umiltà di ascoltare.
Potrebbe funzionare se comprendessimo che le difficoltà, le ingiustizie, le prevaricazioni, la corruzione, la mafia, la fame, la mancanza di lavoro, la guerra, non sono problemi singoli, da risolvere uno alla volta, bensì il prodotto di una determinata (sciagurata) visione delle cose e che su questa bisogna agire, contrapponendo una nuova etica, un nuovo sguardo, un nuovo mondo.
Eravamo pochi in cammino, pochi ad arrivare alla chiesa di Santa Maria della Strada, pochi ad ascoltare i relatori. Mi sono chiesta se bastassimo, mi sono interrogata sul senso della nostra partecipazione, sul significato delle defezioni. Non sono stata in grado di darmi delle risposte, né so cosa possa servire a cosa, ma sono arrivata ad una conclusione piccola piccola: se non ci svegliamo il nostro letargo diverrà mortale.☺
È un tempo, questo, in cui le parole sembrano superflue, le esperienze concluse; la sensazione più diffusa è lo sconforto, la frustrazione. Eppure in un incontro di preparazione della Marcia della Pace ti capita di ascoltare ciò che può ancora segnare una strada.
Sabato 21 settembre Flavio Lotti, coordinatore nazionale del Tavolo della Pace, ha introdotto le tematiche per la marcia del giorno successivo. Nessuna retorica sulla categoria in questione, ma un concetto di base limpido, di una semplicità impraticabile: ridare il giusto valore alle parole, riscoprire il rigore del linguaggio. In altri termini, acquisire credibilità attenendosi strettamente al significato.
Se parliamo di pace dobbiamo riferirci ad una condizione in atto e non già a qualcosa da raggiungere a seguito di un evento – e qui Lotti ha inserito una nota toccante dicendo che la pace “è una cosa che viene prima e non dopo”. E se usiamo questa parola non possiamo prescindere da altre che ne sono diretta conseguenza o strettamente collegate ad essa.
Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione non possiamo che parlare di giustizia, di equità sociale, di diritti, e ancora di accoglienza, di inclusione, di rispetto per la diversità. Se riportiamo il termine nella sua giusta collocazione ci accorgiamo di trattare dei conflitti in atto, non solo nella nostra società, ma in quella mondiale.
Attenersi al significato delle parole, quindi, vuol dire scoprire le carte: possiamo pensare, oggi, di cambiare il corso degli eventi (nefasti) usando il dizionario?
Potrebbe funzionare se fossimo in tanti a farlo, potrebbe funzionare se fossimo in tanti a recepire la diversità della trattazione, potrebbe funzionare se avessimo un apparato uditivo in grado di percepire le menzogne e un cervello capace di rifiutare le mistificazioni, potrebbe funzionare se avessimo un cuore generoso. Potrebbe fun- zionare se non fossimo anestetizzati e proni, se non delegassimo, se imparassimo a viaggiare insieme e costruirci il cambiamento senza sospetti invalidanti e pretese di controllo, se avessimo l’umiltà di ascoltare.
Potrebbe funzionare se comprendessimo che le difficoltà, le ingiustizie, le prevaricazioni, la corruzione, la mafia, la fame, la mancanza di lavoro, la guerra, non sono problemi singoli, da risolvere uno alla volta, bensì il prodotto di una determinata (sciagurata) visione delle cose e che su questa bisogna agire, contrapponendo una nuova etica, un nuovo sguardo, un nuovo mondo.
Eravamo pochi in cammino, pochi ad arrivare alla chiesa di Santa Maria della Strada, pochi ad ascoltare i relatori. Mi sono chiesta se bastassimo, mi sono interrogata sul senso della nostra partecipazione, sul significato delle defezioni. Non sono stata in grado di darmi delle risposte, né so cosa possa servire a cosa, ma sono arrivata ad una conclusione piccola piccola: se non ci svegliamo il nostro letargo diverrà mortale.☺
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