La politica al tramonto
3 Maggio 2014 Share

La politica al tramonto

Era il titolo di un saggio apparso nell’editoria Einaudi che fece un certo clamore qualche decennio fa. Ma la questione riappare in diverse epoche della storia quasi a rappresentare un fenomeno normale nelle più diverse stagioni della vicenda umana d’ogni tempo. Forse non impareremo mai ad essere liberi nel senso più autentico. “Non c’è nulla di più allettante per l’uomo della libertà della sua coscienza, ma non c’è nulla di più tormentoso”. Una sollecitazione che appare in una pagina di Dostoevskij, persona e autore che non scriveva …a caso. Quasi a voler dire: continuiamo a ciarlare del più e del meno, ma è l’essenza della nostra vita che le lingue, e le azioni soprattutto, non riescono a cogliere.

Vi sono giorni che non meriterebbero di essere vissuti, in cui non appaiono stelle, non trillano uccelli, non profumano fiori.  È allora che la vita non respira, l’anima dorme e sonnecchia la speranza di intravedere orizzonti di luce. La terra pullula di formiche nere che procedono in processionaria informe senza slancio e senza vita. C’è intorno un monotono brulicare di insetti senza meta e senza senso. A che serve la vita se si riduce a questo piatto vegetare di forme senza volti e senza sguardi? Apriamo le ali e andiamo oltre. Si potrebbe morire vegetando nel bel mezzo del brusio che non parla, del brontolio che non comunica. E non appare neppure lo scontento… ma solo un fruscio diffuso di brontolii.

In ascolto di una testimone molto affidabile proviamo a toccare con la mente accorta una questione di piena attualità. Attingiamo dalla testimonianza di Simon Weil, donna di gran pregio, ebrea vissuta appena 34 anni a inizio 1900 e consumatasi nel lavoro operaio come manovale di impresa e poi contadina, per quanto segnata da precarie condizioni di salute. “Il fine primo, e in ultima analisi, l’ultimo fine di qualunque partito politico è la propria crescita senza alcun limite”.  Insomma il partito viene assunto dai suoi aderenti come “oggetto di fede”. È per questo che l’adesione porta all’affidamento che costituisce la soluzione di comodo che ci libera dalla fatica di cogliere il senso delle cose, ci scarica dalla responsabilità che ci riguarda su tutto ciò che accade intorno a noi… e non solo. La dimensione comunitaria del pensiero e dell’impegno da parte di ciascuno di noi deve sottrarci allo spirito di parte che conduce, da sempre, ad accomodarsi in un recinto che assicura la quiete, l’immobilismo e libera la persona dall’inquietudine che ci prende al momento in cui si è sollecitati a scendere in campo come singolo o gruppo coeso, per promuovere innovazione e movimentismo che ci possano liberare dalla  subordinazione a forzuti ben insediati sui troni del potere. Singoli o partiti che siano.

Il partito ti libera dalla preoccupazione del pensare e ti assicura il patrimonio di idee e di prassi operative di cui, come cittadino, devi farti carico. Senza troppo pensare.  Di questi tempi la politica, ben attingendo a procedure tipiche dell’economia, si è appropriata di uno strumento oggi indispensabile per acquisire potere: l’ informazione e con essa la comunicazione. Sostiene chi si conforma alle sue finalità e procedure e ignora chi osa porre interrogativi epocali, o esporre critiche al suo operare. Ed ecco allora che si adopera nel fornire notizie che le fanno comodo, occulta quelle che le causano questioni di responsabilità, di legalità, di etica e scarica del tutto la dimensione dialogica di antica provenienza. La civiltà greca aveva segnato per un mondo globale chiari traguardi di reciprocità e intesa volta anche a liberarci da tiranni  e falsi maestri.

È diffusamente presente nelle quotidiane sceneggiate dei mass media l’indisponibilità all’ascolto tra interlocutori di diversa provenienza, che non si curano affatto di quanto comunica il suo frontale che è notorio per la diversità di appartenenza o di opinione. I toni elevati della discussione sono molto più accentuati delle argomentazioni addotte. Ed è divenuto corrente lo stile comunicativo di sovrapporre la propria voce a quella dell’altro.  E questo accade anche all’interno di sistemi ben affermati in questo settore. Non a caso esperti come Oliviero Beha, nel recentissimo saggio “Grammatica dell’indignazione”, non ha freno a sostenere che “ogni persona ragionevole s’indigna di più o almeno sorride inorridito all’idea di chiamare ad esempio ancora la RAI “azienda di servizio pubblico”, prosperata com’è sotto spoglie neppure troppo mentite quale orto della partitocrazia”.

Squallidi segnali che costituiscono una prova del tutto consolidata che la democrazia è stata definitivamente esiliata.  E il popolo si è adattato a questo modello comunicativo. Guarda caso tali procedure le ritroviamo applicate in famiglia, a scuola, nell’associazionismo come pure nei gruppi impegnati anche nel sociale. È tempo di interrompere l’assuefazione al rapporto tra singoli e gruppi ai modelli di deciso squallore nella comunicazione e nei rapporti che registriamo giorno dopo giorno anche nella nostra vita quotidiana. ☺

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