La settima onda
15 Ottobre 2022
laFonteTV (3191 articles)
Share

La settima onda

Le onde del mare non avanzano, né corrono mai, da sole. A onda segue onda. È sempre così: la massa d’acqua sussulta, il vento ne plasma la superficie, le maree fanno il resto. Onda su onda, le onde accarezzano spiagge e litorali.

Quel giorno, quel curioso giorno d’inverno, le cose andarono in maniera un po’ complicata. M’alzai a forza, avendo ancora una gran voglia di rimanere sotto le coperte. Girai la manopola della doccia nel tentativo di scuotermi. Prima d’infilarmi sotto il getto, aspettai che l’acqua uscisse calda, come solitamente accadeva. Aspettai invano. Quella mattina l’acqua uscì indubitabilmente fredda. Niente doccia, non era proprio il caso. Mi limitai a sciacquarmi mani e viso con l’acqua fredda, l’unica disponibile. “Consoliamoci con un buon caffè” pensai a voce alta, avviandomi in cucina.

Presi in mano la caldaietta della caffettiera Moka, la riempii d’acqua, versai abbondanti cucchiaini di caffè nel cestello porta-caffè. Avvitai diligentemente la metà superiore della caffettiera alla caldaietta, ponendo il tutto sul fornello del gas. Aprii l’erogatore del gas. La fiamma si sprigionò sprizzando tutta l’allegria che può esprimere una fiammella di gas in una fredda mattina d’inverno. Sciacquai, con più energia del solito, il consueto bicchiere della prima colazione. L’idea di un buon caffè mi confortava, dopo il fallimento della doccia. Mi sedetti. Versai il consueto mezzo cucchiaino di miele nel bicchiere, aspettando tranquillo il borbottìo amico della caffettiera. La caffettiera tuttavia, quella mattina, era in vena di capricci. Sfiatava petulante dalla valvolina laterale, mentre goccioline d’acqua trasudavano dalla filettatura della caldaietta, cadendo una ad una sulla fiammella e facendola sfrigolare. Dopo aver atteso il doppio del tempo solitamente impiegato dal caffè per salire in superficie, constatai che, della nera bevanda, era salita appena una mezza tazzina, invece delle tre che solitamente la stessa caffettiera era in grado di erogare. “Peccato!” mormorai. Svitai con pazienza la caldaietta, pulii il cestello, smontai la guarnizione di gomma. Sostituii la vecchia guarnizione con una nuova, lasciando il tutto a scolare sul pianale metallico adiacente il lavandino. “Va be’”, dissi a me stesso, “vuol dire che stamattina mi fermerò al bar”.

Uscii di casa, dopo essermi vestito alla meno peggio. Ero talmente scocciato per com’era iniziata la giornata, da infilare, distrattamente, un calzino blu ed uno color avana. Non sono tipo da bar, ma quella mattina entrai volentieri nel Caffè Milan vicino casa, anche se del Milan non m’importava nulla. Tifavo per la squadra di calcio del Napoli, non perché del Napoli m’importasse più di tanto, ma perché mi stanno simpatici i napoletani, abituati da sempre a convivere – come me stesso quella mattina – con emergenze e precarietà, a prendere la vita con quella particolare filosofia che consente loro di sorridere anche di fronte a giornate come questa che mi stava capitando. Così, decisi di prendermela comoda, perciò non mi limitai ad ordinare un caffè al banco. Mi sedetti ad un tavolino, aspettando che la ragazza del bar s’avvicinasse: “Che cosa ordina?” “Un caffè con la panna”.

Roba di lusso, quella mattina: caffè con la panna! In tal modo, cercavo una sorta di gratificazione gustativa che compensasse sia la mancata doccia calda, sia il malfunzionamento della caffettiera. La ragazza servì il caffè con la panna richiesto. Notai che, nel posare il vassoio sul tavolino, costei aveva lasciato andare lo sguardo sui miei calzini, fissandoli a lungo. “Che c’è? Qualcosa non va?”,interloquii. La ragazza sorrise senza dir nulla, poi tornò verso il banco. “Accidenti!”, commentai ad alta voce nel rendermi conto del calzino blu e del calzino color avana.

Uscii dal bar con una strana sensazione addosso. La giornata non era iniziata nel … migliore dei modi: prima la caldaia guasta, poi la caffettiera … anarchica. Ed ora i calzini … bicolore. Sicché, decisi che era il caso di prendersi una pausa. Avvisai i colleghi di lavoro che avevo problemi, chiedendo un giorno di ferie. Calmo calmo, mi avviai dunque, a piedi, verso la Marina, passando da Porta Palazzo.

Un’ora dopo, avevo raggiunto il lungomare nord, là dove inizia la scogliera. Le nuvole del giorno precedente s’erano diradate, un sole timido faceva capolino tra i cirri residui che se ne stavano lì a bighellonare sulla linea dell’orizzonte.

Sollevai il bavero della giacchetta, mi sedetti su uno scoglio basso, i piedi penzoloni sull’acqua. M’ero messo in tasca una manciata di sassolini raccolti al limitare dell’arenile sabbioso. Erano tutti sassolini piatti. Presi a tirare i sassi come tante volte avevo fatto da ragazzo, imprimendo ai sassi la rotazione necessaria a farli scivolare, di piatto, sulla superficie dell’acqua. I sassolini sbattevano contro il fronte delle onde capricciose, finendo subito a fondo. Mi misi ad osservare con attenzione la tipologia d’onda, per capire dov’è che sbagliassi e perché non riuscivo a far rimbalzare i sassi a pelo d’acqua, come avvenuto in passato. Notai che le onde arrivavano in serie. La natura non è sciocca, in natura ogni cosa ha i suoi ritmi e tutto ha una logica puntuale. Notai che le onde arrivavano rincorrendosi in serie di sette, poi la corrente marina si prendeva una pausa e per una decina di secondi la superficie cessava d’incresparsi, restando piatta. Così da consentire ai sassi di rimbalzarvi sopra, prima che si generasse una nuova serie di onde dirette verso riva.

Avendo così riflettuto, iniziai a tirare sassi in maniera mirata, non più a casaccio. Contavo fino alla settima onda, poi tiravo. Lanciavo sassolini piatti allo spuntar della settima onda, cercando di sorvolarne la cresta. Sicché, giocherelloni, i sassi prendevano a piroettare sulla superficie liscia del mare nell’intervallo tra due serie di onde. Rimbalzavano a pelo d’acqua, poi, sempre roteando, compivano altri salti. E scivolavano sull’acqua fino a perdere energia, prima di finire ingoiati da una nuova serie di onde in arrivo. Soddisfatto, dilatai le guance in un largo sorriso. La breve felicità delle piccole cose! Quei minimi attimi (attimi …) di felicità che, comunque, ci danno una piccola spinta per andare avanti.☺

 

laFonteTV

laFonteTV