La città vecchia, il selciato deformato da gobbe, l'odore di umido e, d'inverno, l'aroma avvolgente di legna che brucia; la notte una cadenza di passi, e poi altre, a distanza, attraversava il silenzio della strada; mi piaceva abitare quel luogo.
Di giorno l'atmosfera quasi privata, domestica, scompariva e i rumori si fondevano in un unico caotico fastidio mitigato però dall'aspetto dimesso, da giorno feriale, dei personaggi consueti per il quartiere: gli avventori del bar, beoni e ladri, le signore anziane di ritorno dal mercato, le mamme sulla soglia di quella età incerta tra il vigore e la resa.
Al mattino era una sorta di percorso intimo, pieno di simboli, quello che mi conduceva al lavoro. I luoghi di quel paesaggio urbano corrispondevano a spazi evocati dove avevo accumulato, riposto, custodito con la stessa avidità e circospezione di un avaro.
* * *
Era un giorno di cielo basso e di quel freddo immobile che fissa tutte le cose e fa pensare alla finzione di un proscenio. La strada, la piccola piazza erano quiete, svoltai trovandomi davanti al vecchio teatro e d'improvviso lo stupore mi costrinse ogni movimento. File di sedie accatastate, rigide, inermi, aspettavano una conclusione e le porte, malamente aperte, sostavano in una smorfia deforme.
Quel cinema precario, provvisorio, scomodo, mi aveva accolto per anni, per anni aveva ospitato le mie imprudenze, le emozioni di una età di passaggio, improbabili sogni. Rimasi a lungo ferma a guardare mentre smembravano pezzi della mia vita. Conosco questo piccolo disagio, ogni volta, appena si spengono le luci è così. Mi punge uno smarrimento minimo come una piccola apnea. Eppure si sta bene in questo buio soffice, galleggio in un acquario silenzioso. Le mani, i polpacci, la pancia non hanno più peso. Sono un cono di luce che assorbe immagini e suoni. Elaboro e ingoio, dove mai andranno pensieri ed emozioni se non sono che energia fluttuante?
Ma di chi è il profilo che si gira e mi sorride? Ha un buon odore. Come è lento il gesto che lo riporta nella posizione corretta. Non si muove più, si è arreso al buio. Posso vedere la sua mano, lunga, ne indovino il calore, non mi sembra segnata, è abituata al movimento. Sarà un musicista. Mi irrita questa luce improvvisa, è inopportuna e invasiva. Uffa devo salutare quei due imbecilli, che palle questo film!
Quella foto lasciata, persa come tanti frammenti. Curioso quanta importanza possiamo dare a piccole cose, a particolari. Perchè era così nitida, perchè un ricordo così preciso? Una foto a colori di tanti anni prima, lei ripresa nell'atto di scendere la scalinata del parco Guell, calze colorate, le sue famose scarpe, tanti capelli; rideva. Era in procinto di fare lo stesso viaggio. Probabilmente qualcuno le avrebbe scattato una foto nel medesimo posto. Capiva: le sarebbe piaciuto confrontare le due immagini. Non voleva cogliere le differenze, niente paragoni, banalità. Voleva ricordare, voleva che la vecchia foto le raccontasse. Voleva recuperare frammenti, riappropriarsi di cose lasciate e quindi perse.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo solo perché anni addietro, da giovani, si è stati capaci di rivolta. Solo perché, anni addietro, da giovani, si è fatto delle scelte contro corrente e ad esse ci si è attenuti. Solo perché non si è stati capaci di adeguarsi ad un – ben misero – sistema e si è finiti col rinnegare la vita.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando ci si chiude ad ogni possibilità di condivisione pretendendo trasparenza e affetto. Anche quando ci si nasconde dietro menzogne per garantirsi la sopravvivenza e al diavolo chi verrà calpestato e travolto quando solo la nostra mera convenienza imporrà la verità.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando si rifiuta il confronto col passato confondendo la disponibilità col rancore.☺
cristina.muccilli@gmail.com
La città vecchia, il selciato deformato da gobbe, l'odore di umido e, d'inverno, l'aroma avvolgente di legna che brucia; la notte una cadenza di passi, e poi altre, a distanza, attraversava il silenzio della strada; mi piaceva abitare quel luogo.
Di giorno l'atmosfera quasi privata, domestica, scompariva e i rumori si fondevano in un unico caotico fastidio mitigato però dall'aspetto dimesso, da giorno feriale, dei personaggi consueti per il quartiere: gli avventori del bar, beoni e ladri, le signore anziane di ritorno dal mercato, le mamme sulla soglia di quella età incerta tra il vigore e la resa.
Al mattino era una sorta di percorso intimo, pieno di simboli, quello che mi conduceva al lavoro. I luoghi di quel paesaggio urbano corrispondevano a spazi evocati dove avevo accumulato, riposto, custodito con la stessa avidità e circospezione di un avaro.
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Era un giorno di cielo basso e di quel freddo immobile che fissa tutte le cose e fa pensare alla finzione di un proscenio. La strada, la piccola piazza erano quiete, svoltai trovandomi davanti al vecchio teatro e d'improvviso lo stupore mi costrinse ogni movimento. File di sedie accatastate, rigide, inermi, aspettavano una conclusione e le porte, malamente aperte, sostavano in una smorfia deforme.
Quel cinema precario, provvisorio, scomodo, mi aveva accolto per anni, per anni aveva ospitato le mie imprudenze, le emozioni di una età di passaggio, improbabili sogni. Rimasi a lungo ferma a guardare mentre smembravano pezzi della mia vita. Conosco questo piccolo disagio, ogni volta, appena si spengono le luci è così. Mi punge uno smarrimento minimo come una piccola apnea. Eppure si sta bene in questo buio soffice, galleggio in un acquario silenzioso. Le mani, i polpacci, la pancia non hanno più peso. Sono un cono di luce che assorbe immagini e suoni. Elaboro e ingoio, dove mai andranno pensieri ed emozioni se non sono che energia fluttuante?
Ma di chi è il profilo che si gira e mi sorride? Ha un buon odore. Come è lento il gesto che lo riporta nella posizione corretta. Non si muove più, si è arreso al buio. Posso vedere la sua mano, lunga, ne indovino il calore, non mi sembra segnata, è abituata al movimento. Sarà un musicista. Mi irrita questa luce improvvisa, è inopportuna e invasiva. Uffa devo salutare quei due imbecilli, che palle questo film!
Quella foto lasciata, persa come tanti frammenti. Curioso quanta importanza possiamo dare a piccole cose, a particolari. Perchè era così nitida, perchè un ricordo così preciso? Una foto a colori di tanti anni prima, lei ripresa nell'atto di scendere la scalinata del parco Guell, calze colorate, le sue famose scarpe, tanti capelli; rideva. Era in procinto di fare lo stesso viaggio. Probabilmente qualcuno le avrebbe scattato una foto nel medesimo posto. Capiva: le sarebbe piaciuto confrontare le due immagini. Non voleva cogliere le differenze, niente paragoni, banalità. Voleva ricordare, voleva che la vecchia foto le raccontasse. Voleva recuperare frammenti, riappropriarsi di cose lasciate e quindi perse.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo solo perché anni addietro, da giovani, si è stati capaci di rivolta. Solo perché, anni addietro, da giovani, si è fatto delle scelte contro corrente e ad esse ci si è attenuti. Solo perché non si è stati capaci di adeguarsi ad un – ben misero – sistema e si è finiti col rinnegare la vita.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando ci si chiude ad ogni possibilità di condivisione pretendendo trasparenza e affetto. Anche quando ci si nasconde dietro menzogne per garantirsi la sopravvivenza e al diavolo chi verrà calpestato e travolto quando solo la nostra mera convenienza imporrà la verità.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando si rifiuta il confronto col passato confondendo la disponibilità col rancore.☺
La città vecchia, il selciato deformato da gobbe, l'odore di umido e, d'inverno, l'aroma avvolgente di legna che brucia; la notte una cadenza di passi, e poi altre, a distanza, attraversava il silenzio della strada; mi piaceva abitare quel luogo.
Di giorno l'atmosfera quasi privata, domestica, scompariva e i rumori si fondevano in un unico caotico fastidio mitigato però dall'aspetto dimesso, da giorno feriale, dei personaggi consueti per il quartiere: gli avventori del bar, beoni e ladri, le signore anziane di ritorno dal mercato, le mamme sulla soglia di quella età incerta tra il vigore e la resa.
Al mattino era una sorta di percorso intimo, pieno di simboli, quello che mi conduceva al lavoro. I luoghi di quel paesaggio urbano corrispondevano a spazi evocati dove avevo accumulato, riposto, custodito con la stessa avidità e circospezione di un avaro.
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Era un giorno di cielo basso e di quel freddo immobile che fissa tutte le cose e fa pensare alla finzione di un proscenio. La strada, la piccola piazza erano quiete, svoltai trovandomi davanti al vecchio teatro e d'improvviso lo stupore mi costrinse ogni movimento. File di sedie accatastate, rigide, inermi, aspettavano una conclusione e le porte, malamente aperte, sostavano in una smorfia deforme.
Quel cinema precario, provvisorio, scomodo, mi aveva accolto per anni, per anni aveva ospitato le mie imprudenze, le emozioni di una età di passaggio, improbabili sogni. Rimasi a lungo ferma a guardare mentre smembravano pezzi della mia vita. Conosco questo piccolo disagio, ogni volta, appena si spengono le luci è così. Mi punge uno smarrimento minimo come una piccola apnea. Eppure si sta bene in questo buio soffice, galleggio in un acquario silenzioso. Le mani, i polpacci, la pancia non hanno più peso. Sono un cono di luce che assorbe immagini e suoni. Elaboro e ingoio, dove mai andranno pensieri ed emozioni se non sono che energia fluttuante?
Ma di chi è il profilo che si gira e mi sorride? Ha un buon odore. Come è lento il gesto che lo riporta nella posizione corretta. Non si muove più, si è arreso al buio. Posso vedere la sua mano, lunga, ne indovino il calore, non mi sembra segnata, è abituata al movimento. Sarà un musicista. Mi irrita questa luce improvvisa, è inopportuna e invasiva. Uffa devo salutare quei due imbecilli, che palle questo film!
Quella foto lasciata, persa come tanti frammenti. Curioso quanta importanza possiamo dare a piccole cose, a particolari. Perchè era così nitida, perchè un ricordo così preciso? Una foto a colori di tanti anni prima, lei ripresa nell'atto di scendere la scalinata del parco Guell, calze colorate, le sue famose scarpe, tanti capelli; rideva. Era in procinto di fare lo stesso viaggio. Probabilmente qualcuno le avrebbe scattato una foto nel medesimo posto. Capiva: le sarebbe piaciuto confrontare le due immagini. Non voleva cogliere le differenze, niente paragoni, banalità. Voleva ricordare, voleva che la vecchia foto le raccontasse. Voleva recuperare frammenti, riappropriarsi di cose lasciate e quindi perse.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo solo perché anni addietro, da giovani, si è stati capaci di rivolta. Solo perché, anni addietro, da giovani, si è fatto delle scelte contro corrente e ad esse ci si è attenuti. Solo perché non si è stati capaci di adeguarsi ad un – ben misero – sistema e si è finiti col rinnegare la vita.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando ci si chiude ad ogni possibilità di condivisione pretendendo trasparenza e affetto. Anche quando ci si nasconde dietro menzogne per garantirsi la sopravvivenza e al diavolo chi verrà calpestato e travolto quando solo la nostra mera convenienza imporrà la verità.
Il coraggio è cosa ben strana, si pensa di averlo anche quando si rifiuta il confronto col passato confondendo la disponibilità col rancore.☺
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