La sovversiva mafalda
9 Novembre 2021
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La sovversiva mafalda

Per il compleanno mia nipote mi ha regalato un segnalibro con l’immagine di Mafalda che, in equilibrio precario su un mappamondo, uno dei piedi appena poggiato sulla sfera, dice: “Come sempre, appena uno mette i piedi per terra, il divertimento è finito”.

Lì è iniziato il mio divertimento, non solo perché l’adorata nipotina mi ha pensato, racimolando per me i pochi spiccioli che per solito ha, ma perché Mafalda mi piace tanto, mi mette allegria, anzi è una delle persone – poco importa se fittizia -, che riesce a farmi ridere in maniera immediata e naturale, come mi capita coi bambini veri, assai più che con gli adulti: sarà che sono autentici, dunque irriverenti ma senza posa, e saggi ma senza presumerlo, i bambini spesso colgono l’aspetto comico o, per farla con Pirandello, tragi-comico della vita, svelandoci le contraddizioni che ci sostengono, i paradossi che alimentiamo, i pregiudizi dietro i quali ci barrichiamo, fino ad occultare l’anima, quando siamo “grandi”. Donde la risata, per amara che possa essere.

Nata dalla penna del fumettista argentino Joaquìn Salvador Lavado, meglio noto come Quino, scomparso poco più di un anno fa, Mafalda debutta in Argentina nel 1964, quando fa la sua comparsa sulle pagine del giornale di Buenos Aires Primera Plan; forte di un successo ormai internazionale, Mafalda in Italia appare nel 1968 per un’antologia di Feltrinelli, mentre Bompiani ne pubblica il primo albo col titolo di Mafalda la contestataria, prefazione di Umberto Eco.

Proprio Eco colse tra i primi la natura scomoda, sovversiva, della comicità di Mafalda, personaggio in cui si riflettevano, a suo avviso, “le tendenze di una gioventù irrequieta”, che in Mafalda avrebbero assunto “l’aspetto paradossale di un dissenso infantile, di un eczema psicologico da reazione ai mass media, di un’orticaria morale”, tanto più dirompenti – sosteneva il semiologo bolognese, tenendo una sorta di confronto tra i Peanuts e Mafalda – perché, mentre i primi parrebbero “adulti in miniatura”, Mafalda col mondo degli adulti non vuole affatto integrarsi.

In effetti, nelle strisce di Mafalda si riflettono le aspirazioni idealiste, finanche utopiste della cultura giovanile degli anni ‘70, allo stesso modo in cui nelle venature di umorismo “nero” del fumetto si riflette l’ angosciosa situazione politica dell’Argentina del tempo, stretta tra golpe militari e dittatura.

Tuttavia, per il suo sguardo acuto e indagatore, per la sua curiosità, per lo spirito critico che la contraddistingue, per le sue domande, ficcanti, dirette, disarmanti che provocano crisi di nervi agli adulti che la circondano, quella strana bambina di sei anni, fuori dalle righe fin nell’aspetto fisico, con quei capelli neri, ispidi, imprendibili, è un personaggio che supera la barriera del tempo storico, tanto più quella dell’anagrafe.

Io la vorrei tenere nel taschino, uno spiritello, un folletto, affinché, quando corro il pericolo di essere troppo adulta e auto-centrata, troppo rigida e compresa di me, lei, balzando su all’improvviso e puntandomi contro il suo celebre indice, mi ammonisca a non riposare sui finti allori, a non rinunciare ad intendere la realtà, nella sua profondità o nella sua ovvia evidenza, a non smettere di cercare e inseguire le idee belle, anche quando so che idee rimarranno.

Gabriel Garcia Marquez scriveva che la Quinoterapia è una strada diretta alla felicità.

Lo penso anche io, mentre guardo la piccola Mafalda su una sediolina, in posa da perfetto oratore, che proclama: “Da questa umile seggiolina lancio un commosso appello per la pace mondiale!”.

A presto☺

 

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