La storia è vita
9 Marzo 2022
laFonteTV (3191 articles)
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La storia è vita

Mi è sempre piaciuta la Storia, così, quando i giovanissimi mi chiedono con tono di sfida “Ma a che serve la storia?”, di certo infastiditi dalla laboriosa necessità di cogliere della Storia gli inneschi plurimi, di memorizzarne date, eventi, protagonisti, di indagarne le remote connessioni, io rimango un po’ delusa: per me la Storia non può che essere amata, e non perché sia maestra di vita, ma perché è vita essa stessa, anzi è una trama fitta di vite. E poco importa che siano vite passate o trapassate: allo sguardo comprensivo sono sempre presenti, come l’acqua di un fiume, che non ha un prima e un poi e indistinta si mesce in un medesimo corso, ora irruente ora placido; in quanto vita è bello conoscere la Storia e provarsi a coglierne il senso e i sensi, la direzione e le brusche sterzate, l’aspetto palese e quello sotteso all’evidenza, le sorprese, gli smacchi, l’ondivago errare.

Qualche tempo fa, appena vista su un espositore della mia biblioteca del cuore una copertina nera con su stagliato il profilo elegante di Augusto in veste di pontefice massimo, di fianco in caratteri rossi e minuti la scritta Augustus, ho preso e portato a casa: né sapevo che si trattasse di un romanzo a fondo storico né conoscevo l’autore, John Williams, scomparso nel 1994, che poi ho scoperto essere uno dei più talentuosi scrittori americani del Novecento.

Una lettura avvincente, per me un piccolo colpo di fortuna: Augustus, pubblicato per la prima volta nel 1972, vincitore del premio National Book Award nel 1973 e in Italia da ultimo riedito per Fazi nel 2017, racconta di Ottaviano Augusto, dall’ascesa al potere, al governo del principato, alla morte, e lo fa in maniera tale, da trascinare il lettore all’indietro nel tempo, catapultarlo per forza di persuasione nella Roma augustea e lì farlo abitare fino a romanzo concluso. La voce narrante di Augustus è in realtà un coro di voci, che emanano da un intreccio di lettere private di amici, parenti, nemici di Augusto, da dispacci militari, da atti del Senato, spesso  contraffatti, parafrasati rispetto all’originale latino o del tutto inventati, come è di taluni personaggi, per una scelta deliberata e francamente dichiarata dall’autore, il quale nella sua prefazione avverte i lettori che, se nel suo lavoro sono presenti delle verità, esse sono le verità della narrativa più che quelle della Storia; nonostante ciò, la verità storica del principato augusteo non ne risulta alterata, anzi Williams, penetrando attraverso la finzione narrativa negli anfratti personali dei personaggi, senza peraltro mai rinunciare alla sostanza dei fatti storici realmente accaduti, consente al lettore di cogliere l’umanità di quei lontani attori della Storia romana, che risultano assai meno freddi di quanto paiano nei manuali di Storia, e permette, complice il coinvolgimento emotivo, una più agevole memorizzazione della storia in questione; infine, grazie a questa intrusione d’azzardo nel versante intimo dei personaggi e in virtù del fatto che nemmeno una riga della narrazione è riconducibile ad un narratore esterno, il lettore ha l’impressione di essere dentro agli avvenimenti narrati, di immergersi in una cronaca modernissima di avvicendamenti politici e guerre, di ambizione e fasti, di dissidi ideologici, certo, ma anche di amore e amicizia, di solitudine e sofferenza, di umanità.

Così i tanti personaggi più e meno illustri del periodo del principato augusteo, nell’ininterrotto incrocio di epistole, documenti ufficiali, diari privati diventano a poco a poco dei familiares per il lettore, che ne conosce sempre più nettamente il profilo umano, virtù e vizi, carisma, dall’ opportunismo di Cicerone, all’ironia di Orazio, alla sorniona libertà di Ovidio, alla saggezza coriacea di Marco Agrippa, alla raffinata intelligenza di Mecenate, all’inquietudine di Giulia, figlia amatissima dell’imperatore e donna colta e affascinante, strano mix di inclinazione agli eccessi e grazia irresistibile; soprattutto il lettore impara a conoscere la personalità multiforme e complessa di Augusto, uomo di Stato per antonomasia, ma anche marito ed amante, amico e padre affettuosissimo, eppure tragicamente costretto dal suo dovere di capo di Stato a farsi artefice della rovina della figlia. Il tutto a mezzo di una scrittura scorrevole, mai noiosa, sebbene elegante, ed efficace anche perché mimetica dello stile in cui verosimilmente si sarebbero espressi i protagonisti della vicenda.

Scrive Augusto in una lettera-testamento indirizzata, secondo la finzione di Williams, al suo amico Nicola di Damasco: “…di tutti i ruoli che dovetti intraprendere nella vita, quello di dio mortale fu senza dubbio il più sgradevole. Io sono un uomo debole, sciocco, come la maggior parte degli uomini; se ho un vantaggio sui miei simili, è quello di esserne consapevole, e quindi di aver compreso le loro debolezze (…) E questa consapevolezza  è stata una delle fonti del mio potere”. E a proposito di Giulia, la sua adorata figlia, tuttavia da Augusto dapprima indotta a sposarsi con tre uomini da lui stesso scelti in nome della “ragion di stato”, quindi relegata in esilio per aver infranto le leggi contro l’adulterio, delle quali Augusto in persona era stato ideatore: “… per più di quindici anni non volli vederla, né pronunciai il suo nome, né permisi che, in mia presenza, si parlasse di lei. Mi risultava troppo doloroso. E quel silenzio non fu che un’altra delle tante maschere che dovetti indossare”.

Qui e continuativamente nel corso del romanzo, la Storia di Roma, epigrafica, monumentale, non perdendo in nulla la sua maestà, diviene storia umana, come è sempre la Storia, e dentro, a venti secoli di distanza, ci siamo anche noi.

A presto.☺

 

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