la strega e il pan pepato
21 Marzo 2010 Share

la strega e il pan pepato

 

A un certo punto si smette di credere alle favole. Viene il tempo in cui quel mondo di principesse bellissime, principi azzurri col cavallo bianco, streghe brutte e cattive, inizia a far sorgere in noi alcuni sospetti. Perché le principesse sono sempre belle? Perché le streghe sono tutte brutte? Perché i belli sono sempre buoni e i brutti sempre cattivi? Ma quello che per molti è solo un sospetto per alcuni si trasforma in oggetto di studio e di approfondimento e questo è quello che è successo, all’inizio del secolo, a un professore tedesco. Questo signore ha aperto una vera e propria indagine i cui risultati sono raccontati in un curiosissimo libro dal titolo “La vera storia di Hansel e Gretel”.

Tutti ricordiamo la favola ma, per i più distratti, vale la pena, forse, riassumerla brevemente.

Hansel e Gretel figli di una povera famiglia vengono abbandonati in un bosco e, cammina cammina, arrivano a una casetta di marzapane nella quale abita la malefica strega Rosicchia che li imprigiona cercando di farli ingrassare per poi mangiarseli. Alla fine però i bambini riescono a liberarsi e la uccidono facendola cadere nel forno. Fin qui tutto normale. I buoni vincono, e la strega viene sconfitta. Il nostro archeologo delle favole, professor Osseg, però non si ferma all’apparenza. E dopo aver individuato, da alcune illustrazioni d’epoca, il bosco della favola inizia a cercare tracce. E, infatti, trova una casetta. Di mattoni però non di marzapane. Fa scavare nei dintorni e trova alcuni forni e utensili di pasticceria. E poi, sorpresa delle sorprese, in uno dei forni rinviene lo scheletro di una donna. Il luogo è quello giusto! Prima incongruenza, il corpo non è quello di una vecchia deforme, bensì di una giovane slanciata. A quel punto il caso si fa davvero interessante. Studiando le carte dei fratelli Grimm ritrova una lettera in cui parlano della scrittura di quella storia e, appunto, decidono di imbruttire la donna per rendere tutto più credibile.

Risalendo, attraverso i reperti, al periodo esatto della morte scopre gli atti di un processo per stregoneria, che sembrano calzare con il caso. L’accusata era una certa Catarina strega Pastizzera, portata in tribunale da un signor Hans, cuoco di corte. Con l’accusa appunto di praticare l’arte del diavolo.

Frugando ancora tra le carte si scopre che questa Catarina, che viveva appunto ai margini di un bosco, era diventata in poco tempo famosa per la ricetta di una focaccia che nei mercati andava allora per la maggiore. Il professor Osseg, infatti, aveva trovato tra i mattoni della casa anche una scatola di metallo, chiusa da un lucchetto, nella quale era conservata una ricetta. Provando a realizzarla aveva scoperto trattarsi del classico Pan Pepato. Stiamo parlando del diciassettesimo secolo, e proprio in quel tempo per la prima volta questa pietanza appare sulle tavole europee.

Quel processo finì con l’assoluzione di Caterina, che poté tornare a vendere i suoi dolci al mercato. Ma pochi anni dopo davanti allo stesso tribunale troviamo proprio Hans, accusato dell’omicidio della donna. Chiaramente la fece franca e purtroppo non solo davanti alla legge, ma anche davanti alla storia che trasformò un cruento omicidio a scopo di furto nella giusta punizione del malvagio. Ora, riflettendo sul fatto che molte delle favole dove appaiono le streghe sono state scritte alla fine dell’inquisizione e, alla luce della ricerca di Osseg, molte cose paiono più chiare. Pare chiaro soprattutto quando la mitopoietica di un popolo sia a disposizione del suo senso di colpa. Quanto è facile trasformare le vittime in carnefici. Un genocidio in un complesso di storie edificanti. Negando agli innocenti anche il bene della compassione.

paolapresciuttini@virgilio.it

 

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