l’acqua un bene pubblico di tutti (seconda parte)
25 Aprile 2010 Share

l’acqua un bene pubblico di tutti (seconda parte)

 

 

continuazione

il valore dell’acqua nella legislazione italiana

In sintesi si può dire che la normativa  italiana sull’uso delle acque è passata dal considerare l’acqua un normale bene di consumo a considerarla una risorsa pubblica da tutelare e salvaguardare con criteri di solidarietà e risparmio: un lungo cammino, dall’unità d’Italia fino all’attuale codice dell’ambiente (Dl 152/2006 che ha introdotto principi da non poter trascurare nella gestione della risorsa idrica).

Già il Codice Albertino (codice civile del Regno d’Italia) del 1865 parla di natura pubblica dell’acqua (art. 425 e seguenti): I beni dello Stato vengono suddivisi in demanio pubblico e beni patrimoniali. Il demanio pubblico comprende fiumi e torrenti che sono per loro natura inalienabili. Qualsiasi altro bene appartenente allo Stato fa parte del suo patrimonio inalienabile. Tal principio scorre e si conserva nell’attuale codice civile.

Globalmente la legislazione ha considerato l’acqua come patrimonio pubblico capace di produrre vantaggi a beneficio degli interessi politici ed economici dominanti. Le leggi di regolamentazione si ispirarono a due principi fondamentali:

– la tutela dell’uso pubblico dell’acqua da considerare prioritario rispetto a possibili usi privati, ma non si prevede ancora nessuna pianificazione di corretta utilizzazione della risorsa;

– la protezione di eventuali calamità legate all’acqua; non a caso le principali norme che regolano il rilascio di concessioni trovano collocazione nel settore dei “lavori pubblici” (cfr legge 2248 del 20 marzo 1865, allegato F, legge sulle opere pubbliche).

Una nuova semplificazione procedurale avviene con il Regio Decreto 9 ottobre 1919 n. 2161 per rispondere all’incremento di domanda di energia e alle richieste di concessioni ad uso idroelettrico. Accade uno spostamento di interesse: il beneficio sociale  derivante dall’uso pubblico dell’acqua diviene poca cosa rispetto alle utilizzazioni private a scopi industriali e agricoli; la “concessione” diviene lo strumento principale di amministrazione del bene. Il limite è ancora una legislazione puntuale e frammentata  ma senza una visione di sistema  di tale gestione.

Il primo intervento sistematico è del 1933 con il Testo Unico n. 1775, dove l’acqua, più che come un “bene comune” per l’intera collettività, destinato alle primarie esigenze, è individuata come una “risorsa” necessaria a sostenere la politica energetica nazionale; rappresenta l’indispen-sabile «carbone bianco» per la produzione di energia idroelettrica in una nazione povera di combustibili fossili. Gli usi fondamentali dell’acqua vengono fissati, nell’ordine: produzione idroelettrica, acqua potabile, irrigazione. Fondamentalmente  tale impostazione sistemica è rimasta in vigore fino ai nostri giorni.

La svolta avviene con la legge Galli del 1994 in cui si afferma chiaramente all’art.1 che tutte le acque, superficiali o sotterranee “ancorché non estratte dal sottosuolo” sono pubbliche, a prescindere dalla loro attitudine a divenire pubbliche a seguito della iscrizione negli appositi elenchi, previsti dalle leggi precedenti. Si introduce la peculiarità del “bene acqua” progressivamente meno disponibile, che non può essere oggetto di dominio ma solo di uso e come tale deve essere tutelato nel quadro di una ottimizzazione della risorsa e di una gestione dei servizi idrici locali efficiente sotto il profilo funzionale ed economico. L’acqua diventa una “risorsa” (non più un bene) e come tale deve essere tutelato per le generazioni future. Si ha uno spostamento del baricentro verso un regime di utilizzo piuttosto che sul regime di proprietà. La legge, infatti istituisce gli strumenti di gestione e di utilizzo dei Servizi Idrici Integrati (sorgenti, fiumi, laghi, acquedotti, acque di scarico e depurazione): vengono costituiti bacini idrografici, gli Ambiti Territoriali Ottimali (insiemi dei comuni) le Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (ATO) indicazioni di  Il codice dell’ambiente (DECRETO LEGISLATIVO 3 aprile 2006, n. 152 – Norme in materia ambientale) nell’abrogare la legge Galli modifica ulteriormente la definizione di acque pubbliche, affermando che “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono allo Stato”.

 

proposta di legge

di iniziativa popolare

Il testo, che porta come titolo “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del Servizio Idrico”, è stato sottoposto alla discussione collettiva e definitivamente approvato nell’assemblea nazionale del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua il 7 ottobre 2006 a Firenze e per i primi sei mesi del 2007 è stato al centro di una campagna nazionale di raccolta firme in tutto il Paese, durante la quale più di 400.000 persone hanno deciso di sottoscriverlo.

 Luglio 2007 erano state consegnate le 406.626 firme a sostegno della legge d’iniziativa popolare “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”.

  Il 22 Gennaio 2009 è iniziato formalmente l’iter parlamentare della legge. In questa data si è svolta la seduta della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati presso la quale è assegnata in sede referente la proposta di legge e l’On. Domenico Scilipoti (IdV), in qualità di relatore, ha tenuto la relazione introduttiva.

Il 23 Aprile 2009 si è svolta l’audizione del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua presso la Commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Hanno esposto una relazione: Paolo Carsetti (Segreteria del Forum Nazionale) Antonia Guerra (Consigliera della Provincia di Bari a nome degli Enti Locali per l’Acqua Pubblica), Alberto De Monaco (Comitato Acqua Pubblica Aprilia a nome dei comitati territoriali). 

             Tutto è fermo da quell’ultima data.☺

 

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