laicismo o nichilismo?
17 Aprile 2010 Share

laicismo o nichilismo?

 

Nel cammino già compiuto, abbiamo potuto verificare, per sommi capi, come il percorso storico e semantico delle parole “laico – laicità” accompagna e attraversa dall’interno tutto il tempo del processo culturale del cristianesimo occidentale e della cultura ad esso contemporanea. Provenienti da antiche radici greche e configuratesi come problematiche dapprima all’interno del mondo cristiano, nel tempo moderno sono state foriere di un pensiero nuovo capace di una visione dell’uomo, della vita e della morale, denominata “cultura laica” o “pensiero laico” proprio in quanto distinte e via via contrapposte alla cultura religiosa. Dio è messo tra parentesi, si ragiona e si decide non più in obbedienza a Dio ma come se Dio non ci fosse e solo a partire dal  soggettivo giudizio di ogni persona.

L’ultimo approdo di questo lungo percorso che distingue, separa e antepone i due interlocutori spingendoli talvolta fino al conflitto, o, comunque, a misurare la distanza dall’altro è rappresentato dai molteplici significati racchiusi nella parola «laicismo». Un modello di vita autonomo, separato, totalmente altro e antagonista a ogni modello religioso e a qualsiasi credenza. Queste rappresenterebbero un atavico oscurantismo rispetto alla potenza della ragione, unica fonte del conoscere, del decidere, unico fondamento della verità. Tutto è racchiuso nel microcosmo del soggetto individuale che si riconosce misura di ogni cosa, sostenuto sempre più dal potere della conoscenza scientifica, la quale permette di disporre di ogni cosa: della natura e delle stesse fonti della vita di  cui si conoscono i segreti più reconditi.

Il dibattito odierno continua a confrontarsi e, talvolta, a lacerarsi dentro questa terminologia, mentre occorre riconoscere che tale dibattito accade in un contesto in cui un ospite inquietante, di cui non sempre si fa il nome, si è incuneato profondamente: il nichilismo. In esso, forse, più che nel discorso sul laicismo, si condensa la crisi in cui si dibatte la modernità. Proclamata la “morte di Dio” o, in modo più  sfumato, come qualcuno afferma, riconosciuto il  “il ritiro di Dio dal mondo”, all’uomo soggetto assoluto di sé, senza più vincoli e limiti dovrebbe aprirsi il tempo della pienezza di ogni sua possibilità. In parte sembra vero per l’accrescersi del potere della “ragione strumentale” e dell’abbattimento di ogni confine all’agire poiché è riconosciuta degna solo la morale autonoma che nasce dal progetto individuale di ogni soggetto.

Si prospettava il trionfo dell’uomo; purtroppo, assaporiamo l’amara espulsione dal paradiso sognato. Non è un dio che ci espelle, è l’individuo idolatra di sé che si colloca in una terra vasta ma “vuota di senso”, perché vuota di volti che lo costringano ad uscire da sé per divenire interlocutore e compagno di viaggio. Uccisa la trascendenza e con essa la relazione vincolante con l’altro,  l’individuo moderno non riesce più a poggiare i piedi in nessuna terra stabile: ogni territorio sembra  “liquido”; ogni viaggio risulta un vagare; ogni spostamento per luoghi non propri trova sempre meno ospitalità: i territori dell’umano tendono a promuovere “pulizie” rigenerative che ben conteggia quanti riesce ad escludere (gli scarti o gli esuberi), mentre non annota con piacere quanti finisce per ospitare. Ogni rapporto tra individui é segnato più da rivalità mercantile che non dal riconoscersi “rivieraschi” dell’unico fiume della vita alle cui rive ognuno approda per dissetarsi. Tra coloro che si proclamano servitori di un Dio, molti ne fanno un idolo nelle loro mani perché, separato nel mondo il regno del male e del bene, ognuno si senta autorizzato, con eserciti regolari o bande di combattenti, a seminare morte perché il nemico (il rivale) non va accostato ma eliminato, neppure vale lo sforzo di provare ad intendersi.

Siamo testimoni di un laicismo nichilista che si proclama in conflitto con il mondo religioso, mentre, idolatra di sé, si misura volentieri solo col mondo religioso parimenti idolatra, quello fondamentalista, e rifugge dogmaticamente il dialogo con chi è “altro” e non omologo al proprio dogmatico pensiero disimpegnato in una autarchica libertà.

Dopo  Auschwitz e Hiroshima, dopo il crollo del muro di Berlino e l’emergere di un nuovo potere disumanizzante e manipolatore come quello della globo-colonizzazione economica e finanziaria, molti si chiedono dove sia Dio di fronte a tutto ciò. Forse la domanda più vera – visto che Dio era con le vittime e lo sarà con quelle di tutti i tempi e luoghi – è chiedersi dov’é l’uomo. “Adamo dove sei?” chiede la voce di Dio all’inizio della storia; “Caino, dov’è Abele, tuo fratello?” chiede al protagonista dei primi passi incerti dell’umanità. Troppo tempo ed energie abbiamo consumato a definire il “chi siamo” o il chi “non siamo”, poco il “dove siamo”? “Verso dove andiamo?” “Quale via di umanità nuova intraprendere?”

La duplice crisi, in occidente, del mondo moderno e del mondo cristiano, vissuta reciprocamente nella dimensione dell’uno nemico dell’altro, ha finito per separare, contrapporre e guardare con sospetto religiosità e laicità, le due dimensioni spirituali capaci di trascendere il sé e di assumere il coraggio e la libertà di rispondere. Non perché misura di ogni cosa, ma solo misura della propria coscienza aperta e ospitale, stupita della presenza dell’altro.

Il fenomeno della globalizzazione selvaggia e antiumana che sta logorando finanche la capacità della terra a rimanere luogo di vita, perché minacciata da insostenibilità e squilibri, reclama l’emergere di un pensiero nuovo, di una nuova creatività culturale. Il futuro dell’umanità e la sua crescita saranno possibili attraverso una profonda “revisione e rigenerazione”della figura di umanità che risulta dagli esiti nichilistici della civiltà cristiano-occidentale-moderna.

Il pensiero della nuova figura di umanità non trova collocazione definita dentro il sistema dei saperi dell’era antropologica che si sta compiendo; si può dire che “non è di questo mondo”.  Nasce in luoghi, anzi in non-ancora-luoghi, in zone franche in cui le parole tornino ad essere poetiche, a generare stupore e meraviglia (paradosso), ai crocevia dei vari linguaggi destabilizzati e  rimessi in movimento. Luoghi umani in cui le parole ritornino ad essere  invenzioni, illuminazioni, scoperte, lampi, sintesi… progetti di umanità e di mondo. Questo comporta corposi rischi comunque ci si autorappresenti, perché si sarà soggetti ad approssimazioni e ad errori che non si potranno evitare con gli strumenti concettuali del passato. Dismesso ogni abito rituale di autocelebrazione e autodefinizione, possiamo sperare solo di concepire quasi al buio tale nuovo progetto, e, con stupore, di seguirne fedelmente e umilmente le fasi, a volte rischiose, della gravidanza. Il discepolo di Cristo è già edotto che la creazione “geme nelle doglie del parto, attendendo la manifestazione dei figli di Dio”. ☺

 

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