L’amaro…in bocca
12 Marzo 2022
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L’amaro…in bocca

La conoscenza del rafanistro va molto indietro nel tempo. Come dimostrano alcuni ritrovamenti avvenuti in Grecia, in Cina e in Egitto, era infatti nota, sotto varie forme colturali, già da millenni.

In Italia è conosciuto anche come ramolaccio, rafano, ravanello selvatico e, nella nostra zona, col nome ’i mar’júme, per le ragioni che saranno spiegate più oltre. Il binomio scientifico attualmente accettato, Raphanus raphanistrum, è stato proposto da Carlo Linneo, il famoso biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi. Il nome del genere, Raphanus, che comprende questa unica specie, deriva dalla voce greca rháphanos e successivamente da quella latina raphanus, che, secondo alcuni, sono a loro volta collegate alla radice greca di rhaphís, “rafide” o “ago”, con riferimento alla forma sottile e allungata di alcune radici di questa pianta.

Si tratta di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Brassicacee o Crucifere, la cui altezza varia da 20 a 80 cm. Il rafanistro è inoltre munito di asse fiorale eretto con poche foglie che divengono più grandi verso la punta. Queste sono peloso-ispide con margini dentati. Il fiore è quello tipico della famiglia delle Crucifere, con 4 sepali e 4 petali, bianchi, a volte con delle venature violacee, disposti in croce. Il frutto è una siliqua contenente diversi semi, da 3 a 11.

Essendo questa specie a ciclo biologico annuale, supera la stagione avversa proprio sotto forma di seme. Il rafanistro fiorisce talora per tutto l’inverno nei campi coltivati a graminacee, per i quali è un’erba infestante. È di assai difficile eliminazione: i semi caduti nel terreno (all’incirca 160 per pianta), oltre che capaci di germinare in superficie, conservano per lunghissimo tempo questa loro facoltà germinativa. Per questo, pur essendo originario dell’Europa Meridionale, si è rapidamente diffuso con la coltivazione del grano in tutta Europa, in Asia Minore, nell’Africa del Nord, e in breve ovunque sia possibile coltivare il grano. Tuttavia è facilmente presente anche nei vigneti, negli oliveti e nei frutteti, e può crescere anche fra le macerie, lungo i sentieri e in luoghi abbandonati. Predilige in genere terreni sabbiosi e limosi, ricchi di elementi nutritivi e senza calcare, tanto che è considerato un indicatore del grado di acidità dei terreni.

La medicina popolare considera questa pianta stimolante della funzione gastrica e antireumatica. I semi, dal sapore piccante, contengono il 30% di un olio, di sapore non sgradevole, utilizzabile nell’industria. Se in mancanza di meglio, le mucche mangiano il rafano, il loro latte prende un insopportabile gusto di aglio.

Le parti usate sono prevalentemente le foglie, che risultano essere aromatizzanti, digestive, diuretiche e depurative. In cucina possono essere mangiate in minestre, zuppe, succo, salse e ancora in insalata insieme ad altre verdure crude; i gambi teneri si prestano ad essere cotti nella minestra campestre. Il gusto è molto pungente o un po’ amaro, cosa che giustifica il nome col quale è conosciuta la pianta nel nostro dialetto.

Agli amanti e ai raccoglitori delle verdure campestri suggeriamo questa pasta verde: si prendono le foglie centrali, quelle della rosetta basale che sono le più tenere, si lavano e si tagliuzzano finemente. Si scola la pasta e subito dopo si uniscono le foglie miscelando a lungo. Si condisce con olio extra vergine di oliva e formaggio grattugiato.☺

 

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