L’aquila: 10 mesi di silenzio
13 Maggio 2020
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L’aquila: 10 mesi di silenzio

Si dice che l’Italia non goda di un sincero apprezzamento per quanto attiene alla verità dei fatti sui mezzi di comunicazione; ma è in buona compagnia per quel che riguarda l’essere al servizio di chi gestisce il potere e vuole influenzare le coscienze e controllare il pensiero della gente. I mezzi di comunicazione sono bugiardi: servono il potere e non il bene comune. Tv e giornali: che disastro! E mi pare che la vita sia dura per quei pochi giornalisti o testate giornalistiche che danno una corretta e seria informazione.
Dall’ospedale de L’Aquila dopo circa 50 giorni dal ricovero per il “trattamento” MRgFUS (Magnetic Resonance guided Focused Ultrasound Surgery = chirurgia a base di ultrasuoni focalizzati e guidati dalla risonanza magnetica) è stata inviata una cartella clinica impeccabile: la firma del paziente è sempre ovunque per scongiurare eventuali responsabilità di altri… se si sapeva che c’erano rischi, perché non mi sono stati comunicati prima direttamente e a voce? Dopo 5 ore di risonanza magnetica ho firmato, ma ero così smarrito e confuso che non riuscivo neppure a leggere e capire ciò che firmavo. Ho sottoscritto l’ autorizzazione a procedere prima del trattamento, ma l’ho fatto con un cerchio inchiodato alla testa… ho acconsentito, ma ricordo che ero come disorientato e stranito. Certo è che le firme dei pazienti solitamente servono per tutelare gli operatori, non per preservare i pazienti stessi.
La pubblicità racconta le parole di uno che è sottoposto al trattamento con un risultato positivo “Ho preso per la prima volta il caffè al bar”; ma perché per un caffè si deve affrontare tanta mortificazione? Ho conosciuto una sola persona che mi ha raccontato dei problemi sorti dopo il trattamento, dicendomi che il casco con lui non ha funzionato. G.D.I., dopo 4 ore e mezza dentro la risonanza magnetica, ne è uscito frastornato e tuttora con problemi. Sulla cartella c’era semplicemente scritto “Il paziente chiede di interrompere il trattamento”, lui dice che non è vero… ma che fine hanno fatto tutti gli altri che hanno subìto tale trattamento o, forse esperimento? Nessun senso di colpa per i fautori del casco, che, noto, non esprimono preoccupazione o inquietudine; la pubblicità, pur se è illusoria, li gratifica.
Un amico mi ha confessato di aver inoltrato il mio primo articolo ad un giornale locale, la cui risposta è stata la semplice pubblicità sul “casco che elimina il tremore nell’ ospedale de L’Aquila”. Un’amica l’ha mandato al suo giornale: non l’ha pubblicato, come tanti altri giornali.
Alla mia amica ho suggerito di non mandare più articoli ad un giornale di parte: i giornali, il più delle volte, sono servitori del sistema e fanno gli interessi dei più potenti. È opportuno scrivere per la gente comune, scrivere quello che nasce dal cuore e non essere succubi di un apparato che tiene conto dei propri interessi e non della salute dei deboli. Questa considerazione non elude la consapevolezza che non è facile trovare una testata giornalistica libera da vincoli o condizionamenti; ci sono e di questo sono certo.
Tuttavia, quando si deve affrontare il problema della sanità, a me pare che i mezzi di comunicazione ci vadano con i piedi di piombo. Allora mi chiedo se il denaro sia più importante della vita di un cittadino e se la giustizia debba proteggere la proprietà o l’uomo con tutte le sue problematiche e criticità…
Il costo del casco è di 8 milioni di euro: ma deve valere più della vita e della salute delle persone? Non sono riuscito a reperire nessuna pubblicazione documentaria e scientifica sui risultati del trattamento. Le persone, che per necessità patologica vi fanno ricorso, non sono per caso soggetti meritevoli di attenzione e solidarietà, alla luce delle sofferenze alle quali, magari, sono sottoposti quotidianamente? Bisogna realizzare ospedali che siano strutture socio-sanitarie funzionali, dove tutti concorrano al bene comune che è la guarigione dalla malattia e la salute, come benessere.
Le crisi ospedaliere, dovute alla politica dei tagli alla sanità e al recente blocco delle assunzioni (turnover) non favoriscono l’esigenza di rinnovare al meglio gli ospedali, ma provocano piuttosto conflitti tra poveri: dissidi tra operatori sanitari e malati; tra parenti e amici da una parte, e istituzione e burocrazia dall’altra… E sui giornali racconti di aggressioni agli operatori sanitari o nei Pronto Soccorso o nei locali delle guardie mediche… Cosa è più importante nella sanità: la complicità dei mezzi di comunicazione o la costruzione di rapporti più umani con i malati? I tagli alla sanità pubblica alimentano sicuramente nei reparti nervosismo e stanchezza.
Il malato ha spesso davanti ai propri occhi volti e comportamenti che i dirigenti dell’ASREM non vedono e su cui non possono, di conseguenza, intervenire. Chi soffre ha pure diritto ad esprimere impazienza e agitazione, auspicando di essere compreso dagli operatori sanitari!
Non posseggo tutte le carte per capire cosa sia avvenuto nell’ospedale de L’Aquila, né i mezzi di comunicazione mi aiutano a capire: manca spesso l’autenticità delle notizie e la preminenza dei valori. Infatti, sono pienamente convinto che il silenzio sia un valore, ma ritengo pure che a volte possa essere dannoso oltre che svantaggioso, specialmente quando non denunci ingiustizie e falsità.
Di qui, l’auspicio che rivolgo agli operatori della sanità che non siano come gli scribi e i farisei del Vangelo “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”.
La storia è un bene comune: raccontarla è per salvaguardare altri da un trattamento ospedaliero che a volte potrebbe più nuocere che risolvere problemi, ma anche per ricordare le ferite ricevute, non facili da curare definitivamente.☺

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