Le donne di dante
9 Novembre 2022
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Le donne di dante

Dedicato alle donne iraniane che lottano anche a costo della vita per i diritti civili e per la nascita di uno stato democratico.

La grandezza di un’opera letteraria non è data solo dal contenuto artistico e dal saper rappresentare il tempo in cui è stata prodotta, ma dalla capacità di attraversare i tempi e di essere sempre attuale, nel senso che in ogni tempo ha qualcosa di nuovo da far scoprire. La Divina Commedia è ancora una volta al vertice, anche per la questione dei diritti delle donne. Dante non rivendica anacronisticamente tali diritti ma il modo in cui rappresenta la donna e descrive le donne ne fanno uno dei maggiori interpreti della questione.

E pensare che la sua Commedia è stata tramandata, commentata, insegnata in ambienti accademici e religiosi dove non si è minimamente scalfito il dominio patriarcale, e questo la dice lunga su quanto ancora c’è da imparare da questo capolavoro. Nulla ha imparato da Dante l’Italia, dove persino inventandosi il perverso meccanismo delle quote rosa nelle liste elettorali si riempie il parlamento di maschi (e proprio la sinistra è campione in questo gioco truccato); nulla ha imparato la chiesa, dove persino nel grande Concilio che doveva aggiornare le sue istituzioni, le donne non hanno partecipato nelle prime fasi ed appena 23 donne, senza diritto di parola, hanno potuto assistere negli ultimi due anni. E invece il ruolo della donna è già pienamente esaltato in un’opera classificata come “medievale”, anche in senso peggiorativo.

Per necessità di spazio farò una veloce carrellata di alcune figure femminili della Commedia presentate in una luce positiva in tutte e tre le cantiche, persino nell’Inferno dove giganteggia la tragica figura di Francesca da Rimini, nel V canto. Ma vorrei partire dalle due donne che troviamo all’inizio e alla fine della Commedia: innanzitutto Maria, la madre di Gesù: su di lei conosciamo certamente l’inno “Vergine madre figlia del tuo figlio”. Mi piace però sottolineare che lei incarna il vero potere: a lei basta uno sguardo per ottenere ciò che vuole. E la più potente descrizione che si ha di questo potere è nel secondo canto dell’Inferno: “Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo impedimento ov’io ti mando, sì che duro giudicio là su frange” (II,94-96). Tradotto: Maria si è mossa in favore di Dante con una tale forza che ha fatto spezzare il duro giudizio di Dio su di lui.

Subito dopo Maria certamente si trova Beatrice: è lei che chiede a Virgilio di accompagnare Dante nel suo cammino di introspezione ma soprattutto è lei che, con una “terapia d’urto” fatta di rimproveri che mettono a nudo la sua coscienza, permette a Dante di poter passare dal Purgatorio alla visione del Paradiso dove Beatrice non assume il semplice ruolo di “hostess” che accompagna Dante nei vari cieli, ma è una teologa che illustra i contenuti della fede. Se pensiamo che fino a non molti anni fa le donne non potevano né studiare né insegnare teologia, possiamo capire quanto sia ottuso chi trova mille impedimenti e appigli giuridici e persino biblici per impedire alla donna di avere un ruolo pari all’uomo nella chiesa. Dante aveva risolto già secoli fa la questione: verso Dante Beatrice assume il ruolo di “confessore” dei suoi peccati e di docente di teologia.

Altrettanto significativo è il ruolo della mitica Matelda, una misteriosa donna che Dante incontra nel paradiso terrestre, alla fine del Purgatorio e che lo fa immergere nell’acqua per essere purificato, richiamando il battesimo, svolgendo quindi ancora una volta un ruolo che nella chiesa è stato sempre esclusivamente maschile.

Ma veniamo ad alcune icone femminili che si incontrano nella Commedia sottolineando che, persino nell’Inferno, alle donne non è mai riservato un giudizio radicalmente negativo. Mentre gli uomini per Dante possono essere eccelsi o tizzoni d’inferno, le donne da lui descritte guadagnano la sua totale empatia. In ogni “regno” ultraterreno c’è almeno una di queste donne non famosissime ma che dicono tutta l’ammirazione di Dante: nel Paradiso incontriamo Piccarda Donati, che dà forse la più bella e sintetica definizione della sintonia che dovrebbe esserci tra l’uomo e Dio, meglio di tanti trattati di spiritualità: “E’n la sua volontade è nostra pace: ell’è quel mare al qual tutto si move ciò ch’ella cria o che natura face” (Par. III,85-87). Tradotto: noi troviamo pace nel seguire il suo volere (un’eco di sant’Agostino); Dio è quel mare verso cui tutto tende, sia ciò che lui crea direttamente, sia ciò che fa tramite la natura. Ancora una volta è una donna che dà una delle più alte definizioni di Dio.

Non si può non nominare Pia dei Tolomei nel Purgatorio, che crea la più breve autobiografia della letteratura mondiale: “Ricorditi di me che son la Pia. Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma” (Purg. V,133-136).

E voglio chiudere tornando alla donna forse più famosa della Commedia: Francesca da Rimini. Lei si presenta a Dante in coppia con Paolo, suo cognato e amante che però non parla come ci si aspetterebbe da un uomo: lui piange e sta zitto, forse perché sa che è proprio la sua prevaricazione da maschio ad aver innescato la tragedia. Francesca, come purtroppo accade in tante tragedie di cui la cronaca ci offre lo spietato conteggio, è messa tra due fuochi e ciascuno a modo suo le fa violenza. Ma Dante la presenta come una donna che non si è fatta sconfiggere dalla violenza dei maschi: è lei che prende la parola, si riappropria della sua dignità di persona e rilegge il suo dramma. Al maschio violento, chiunque esso sia, Dante toglie il diritto di parola. Mi piace sottolineare che per tre volte Francesca inizia le frasi con la parola ‘Amor’, che è nient’altro che uno dei nomi con cui Dante (e la bibbia) chiama Dio e con cui chiude il suo capolavoro: “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Come a dire: non c’è posto in cui Dio non possa stare, solidale con i drammi dell’umanità: anche nel profondo dell’inferno. Ed è ancora una volta una donna a dircelo.☺

 

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