L’Ebbio è una pianta erbacea perenne, della quale, in inverno, sopravvive solo la parte sotterranea; in primavera, quando si rinnova la vegetazione, si sviluppano i fusti erbacei, eretti e non ramificati, che possono raggiungere i 150 cm di altezza.
Questa specie, nota anche come Sambuco ebbio (Sambucus ebulus) appartiene alla stessa famiglia, le Caprifoliacee, e addirittura allo stesso genere, Sambucus, del sambuco nero (vedi la fonte n. 7 del 2005). Ma le infiorescenze dell’ebbio si distinguono da quelle del sambuco proprio perché sono erette e non pendenti. Il nome generico pare derivare dal latino sambuca (= strumento musicale a fiato) ed è dovuto al fatto che lo strumento veniva fabbricato con i rami di sambuco svuotati del midollo. Anche il nome specifico deriva dal latino ebŭlus (= ebbio), che era il nome di questa pianta.
È comunissimo lungo i bordi di strada e nei luoghi incolti, ma, fino ad alcuni decenni fa, era possibile trovarlo anche nei terreni coltivati ed era anzi considerato dai contadini un indicatore della fertilità dei terreni, perché è proprio lì che cresceva rigoglioso. Poi, dopo l’avvento della meccanizzazione con le lavorazioni profonde, è praticamente scomparso da questi terreni.
Le foglie dell’ebbio emanano un odore intenso e disgustoso. I fiori sono bianchi, piccoli e riuniti in infiorescenze ad ombrello rivolti verso l’alto anche dopo la fruttificazione. I frutti sono delle bacche nere a maturità e lucenti, purgative e molto velenose, di 4-6 mm di diametro, contenenti ognuno 3 semi. Da queste bacche, che a settembre si presentano rigonfie di un succo rosso, si ricava una tintura, usata nell’antichità e citata anche da Virgilio, con la quale il dio Pan si colorava il viso. Le bacche infatti sono usate per preparare repellenti, inchiostri e coloranti.
In erboristeria si utilizzano invece le radici, i fiori e le foglie essiccate. Nella pianta sono presenti infatti olio essenziale, glucidi, tannino, pigmenti antocianici. All’ ebbio vengono riconosciute proprietà cicatrizzanti, purgative, sudorifere, per cui si utilizza nelle contusioni traumatiche, negli edemi, nella stitichezza. Soprattutto la radice è lassativo-purgativa; è un efficace diuretico ed è antiedematoso; le foglie invece mitigano i dolori reumatici; i fiori vengono impiegati nelle affezioni bronchiali e dell’apparato respiratorio. I principi attivi dell’ebbio sono più intensi di quelli del sambuco nero, e i suoi frutti, come già accennato, sono tossici; perciò occorre prestare molta attenzione ed evitare di confonderli con quelli del sambuco nero, che è utilizzato nella confezione di liquori e marmellate, e come colorante di vini. Tutta la pianta, comunque, usata in dosi forti e a lungo, può causare avvelenamento.
Nel dialetto bonefrano, l’ebbio è conosciuto col nome di ’u múnn’le. In passato, con questo termine, si voleva indicare uno straccio o un vecchio sacco di iuta o di t’rlíce tenuto costantemente a mollo in acqua, che veniva strofinato per eliminare la cenere della paglia o di altro combustibile legnoso che si depositava sul piano di cottura del forno dove veniva cotto il pane. Molto probabilmente, in alcune occasioni, lo straccio o il sacco veniva sostituito dalle foglie dell’ebbio. Io stesso ho visto eseguire questa operazione ma con le foglie del carciofo precedentemente immerse nell’acqua.
È possibile preparare un infuso dalle proprietà sudorifere e antireumatiche con 100 g di fiori dell’ ebbio, utilizzando un cucchiaio per tazza e bevendone da una a tre tazze al giorno, lontano dai pasti.
Un altro infuso, indicato in caso di infiammazioni delle vie aeree superiori, va preparato con 40 g di fiori di ebbio mescolati a 40 g di fiori di sambuco e a 200 g di fiori con brattea di tiglio; l’infuso si può consumare, lontano dai pasti, sempre dosando un cucchiaio per tazza, per un massimo di tre tazze al giorno. ☺
L’Ebbio è una pianta erbacea perenne, della quale, in inverno, sopravvive solo la parte sotterranea; in primavera, quando si rinnova la vegetazione, si sviluppano i fusti erbacei, eretti e non ramificati, che possono raggiungere i 150 cm di altezza.
Questa specie, nota anche come Sambuco ebbio (Sambucus ebulus) appartiene alla stessa famiglia, le Caprifoliacee, e addirittura allo stesso genere, Sambucus, del sambuco nero (vedi la fonte n. 7 del 2005). Ma le infiorescenze dell’ebbio si distinguono da quelle del sambuco proprio perché sono erette e non pendenti. Il nome generico pare derivare dal latino sambuca (= strumento musicale a fiato) ed è dovuto al fatto che lo strumento veniva fabbricato con i rami di sambuco svuotati del midollo. Anche il nome specifico deriva dal latino ebŭlus (= ebbio), che era il nome di questa pianta.
È comunissimo lungo i bordi di strada e nei luoghi incolti, ma, fino ad alcuni decenni fa, era possibile trovarlo anche nei terreni coltivati ed era anzi considerato dai contadini un indicatore della fertilità dei terreni, perché è proprio lì che cresceva rigoglioso. Poi, dopo l’avvento della meccanizzazione con le lavorazioni profonde, è praticamente scomparso da questi terreni.
Le foglie dell’ebbio emanano un odore intenso e disgustoso. I fiori sono bianchi, piccoli e riuniti in infiorescenze ad ombrello rivolti verso l’alto anche dopo la fruttificazione. I frutti sono delle bacche nere a maturità e lucenti, purgative e molto velenose, di 4-6 mm di diametro, contenenti ognuno 3 semi. Da queste bacche, che a settembre si presentano rigonfie di un succo rosso, si ricava una tintura, usata nell’antichità e citata anche da Virgilio, con la quale il dio Pan si colorava il viso. Le bacche infatti sono usate per preparare repellenti, inchiostri e coloranti.
In erboristeria si utilizzano invece le radici, i fiori e le foglie essiccate. Nella pianta sono presenti infatti olio essenziale, glucidi, tannino, pigmenti antocianici. All’ ebbio vengono riconosciute proprietà cicatrizzanti, purgative, sudorifere, per cui si utilizza nelle contusioni traumatiche, negli edemi, nella stitichezza. Soprattutto la radice è lassativo-purgativa; è un efficace diuretico ed è antiedematoso; le foglie invece mitigano i dolori reumatici; i fiori vengono impiegati nelle affezioni bronchiali e dell’apparato respiratorio. I principi attivi dell’ebbio sono più intensi di quelli del sambuco nero, e i suoi frutti, come già accennato, sono tossici; perciò occorre prestare molta attenzione ed evitare di confonderli con quelli del sambuco nero, che è utilizzato nella confezione di liquori e marmellate, e come colorante di vini. Tutta la pianta, comunque, usata in dosi forti e a lungo, può causare avvelenamento.
Nel dialetto bonefrano, l’ebbio è conosciuto col nome di ’u múnn’le. In passato, con questo termine, si voleva indicare uno straccio o un vecchio sacco di iuta o di t’rlíce tenuto costantemente a mollo in acqua, che veniva strofinato per eliminare la cenere della paglia o di altro combustibile legnoso che si depositava sul piano di cottura del forno dove veniva cotto il pane. Molto probabilmente, in alcune occasioni, lo straccio o il sacco veniva sostituito dalle foglie dell’ebbio. Io stesso ho visto eseguire questa operazione ma con le foglie del carciofo precedentemente immerse nell’acqua.
È possibile preparare un infuso dalle proprietà sudorifere e antireumatiche con 100 g di fiori dell’ ebbio, utilizzando un cucchiaio per tazza e bevendone da una a tre tazze al giorno, lontano dai pasti.
Un altro infuso, indicato in caso di infiammazioni delle vie aeree superiori, va preparato con 40 g di fiori di ebbio mescolati a 40 g di fiori di sambuco e a 200 g di fiori con brattea di tiglio; l’infuso si può consumare, lontano dai pasti, sempre dosando un cucchiaio per tazza, per un massimo di tre tazze al giorno. ☺
L’Ebbio è una pianta erbacea perenne, della quale, in inverno, sopravvive solo la parte sotterranea;
L’Ebbio è una pianta erbacea perenne, della quale, in inverno, sopravvive solo la parte sotterranea; in primavera, quando si rinnova la vegetazione, si sviluppano i fusti erbacei, eretti e non ramificati, che possono raggiungere i 150 cm di altezza.
Questa specie, nota anche come Sambuco ebbio (Sambucus ebulus) appartiene alla stessa famiglia, le Caprifoliacee, e addirittura allo stesso genere, Sambucus, del sambuco nero (vedi la fonte n. 7 del 2005). Ma le infiorescenze dell’ebbio si distinguono da quelle del sambuco proprio perché sono erette e non pendenti. Il nome generico pare derivare dal latino sambuca (= strumento musicale a fiato) ed è dovuto al fatto che lo strumento veniva fabbricato con i rami di sambuco svuotati del midollo. Anche il nome specifico deriva dal latino ebŭlus (= ebbio), che era il nome di questa pianta.
È comunissimo lungo i bordi di strada e nei luoghi incolti, ma, fino ad alcuni decenni fa, era possibile trovarlo anche nei terreni coltivati ed era anzi considerato dai contadini un indicatore della fertilità dei terreni, perché è proprio lì che cresceva rigoglioso. Poi, dopo l’avvento della meccanizzazione con le lavorazioni profonde, è praticamente scomparso da questi terreni.
Le foglie dell’ebbio emanano un odore intenso e disgustoso. I fiori sono bianchi, piccoli e riuniti in infiorescenze ad ombrello rivolti verso l’alto anche dopo la fruttificazione. I frutti sono delle bacche nere a maturità e lucenti, purgative e molto velenose, di 4-6 mm di diametro, contenenti ognuno 3 semi. Da queste bacche, che a settembre si presentano rigonfie di un succo rosso, si ricava una tintura, usata nell’antichità e citata anche da Virgilio, con la quale il dio Pan si colorava il viso. Le bacche infatti sono usate per preparare repellenti, inchiostri e coloranti.
In erboristeria si utilizzano invece le radici, i fiori e le foglie essiccate. Nella pianta sono presenti infatti olio essenziale, glucidi, tannino, pigmenti antocianici. All’ ebbio vengono riconosciute proprietà cicatrizzanti, purgative, sudorifere, per cui si utilizza nelle contusioni traumatiche, negli edemi, nella stitichezza. Soprattutto la radice è lassativo-purgativa; è un efficace diuretico ed è antiedematoso; le foglie invece mitigano i dolori reumatici; i fiori vengono impiegati nelle affezioni bronchiali e dell’apparato respiratorio. I principi attivi dell’ebbio sono più intensi di quelli del sambuco nero, e i suoi frutti, come già accennato, sono tossici; perciò occorre prestare molta attenzione ed evitare di confonderli con quelli del sambuco nero, che è utilizzato nella confezione di liquori e marmellate, e come colorante di vini. Tutta la pianta, comunque, usata in dosi forti e a lungo, può causare avvelenamento.
Nel dialetto bonefrano, l’ebbio è conosciuto col nome di ’u múnn’le. In passato, con questo termine, si voleva indicare uno straccio o un vecchio sacco di iuta o di t’rlíce tenuto costantemente a mollo in acqua, che veniva strofinato per eliminare la cenere della paglia o di altro combustibile legnoso che si depositava sul piano di cottura del forno dove veniva cotto il pane. Molto probabilmente, in alcune occasioni, lo straccio o il sacco veniva sostituito dalle foglie dell’ebbio. Io stesso ho visto eseguire questa operazione ma con le foglie del carciofo precedentemente immerse nell’acqua.
È possibile preparare un infuso dalle proprietà sudorifere e antireumatiche con 100 g di fiori dell’ ebbio, utilizzando un cucchiaio per tazza e bevendone da una a tre tazze al giorno, lontano dai pasti.
Un altro infuso, indicato in caso di infiammazioni delle vie aeree superiori, va preparato con 40 g di fiori di ebbio mescolati a 40 g di fiori di sambuco e a 200 g di fiori con brattea di tiglio; l’infuso si può consumare, lontano dai pasti, sempre dosando un cucchiaio per tazza, per un massimo di tre tazze al giorno. ☺
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