Legge proporzionale e partecipazione popolare
17 Dicembre 2023
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Legge proporzionale e partecipazione popolare

Oggi il quadro politico e sociale in Italia, in UE e nel mondo è davvero spaventosamente preoccupante, perché in nuce preannuncia la distruzione completa del nostro pianeta.
Le guerre, che si sono scatenate in maniera illogica e delinquenziale in Ucraina e in Palestina (ma anche l’ingordigia sopraffattrice del turbocapitalismo occidentale e del nord del mondo), lo stanno dolorosamente dimostrando. Il super ammodernamento del programma militare programmato e a cui ha dato inizio Obama, seguito da Trump, scrive Noam Chomsky, ha aumentato di tre volte circa il programma di revisione e di svecchiamento della forza, cioè dell’efficacia distruttiva dell’armamento missilistico degli USA, procedimento sistemico che ha disintegrato il cosiddetto “equilibrio del terrore”, che, quest’ultimo, ha garantito per diversi decenni la non belligeranza fra il colosso nordamericano e l’universo sovietico. Questa considerazione potrebbe suggerire che tutte le altre questioni pendenti in Italia e nel resto del mondo possano apparire come piccola e misera cosa dinanzi alle distruzioni dei territori ucraini e all’ annientamento criminale, per esempio, del popolo palestinese. La ragione è che l’Europa rivolge altrove il suo sguardo, esprimendo chiaramente il dileggio per le povertà e per le altre culture non occidentali… Quindi, ci troviamo di fronte al tradimento dello spirito originario della UE, che andrebbe rifondata letteralmente su quel principio che è l’ “interindipendenza” degli Stati che compongono la comunità europea. Ma questo è davvero un altro discorso che ci porta lontano. Di qui, la necessità di lasciare tali argomentazioni e di affrontare un tema, che solo all’apparenza è minore, ma che, in relazione alla politica interna del nostro Paese, acquista un senso valoriale di grande spessore. Cerchiamo ora di porre le basi della questione che è evocata da più di venti anni e che si riferisce alla legge elettorale proporzionale da cui deriverebbe una differente morfologia, ossia una diversa conformazione strutturale del Parlamento nazionale e, di conseguenza, anche quella delle assemblee regionali e comunali.
Qual è la ragione fondamentale delle nostre riflessioni inerenti al ritorno alla legge elettorale proporzionale? Per prima cosa noi riteniamo che essa sia lo strumento che determinerebbe una maggiore compartecipazione popolare al voto, che in questi ultimi decenni vede un inarrestabile collasso partecipativo, soprattutto delle fasce popolari e medio/borghesi, letteralmente impoverite dalla politica economica dei governi degli ultimi tre decenni. L’espressione partecipativa al voto in questi ultimi anni è spaventosamente calata anche sotto il 50% dei cittadini aventi il diritto di voto. Perché allora un numero così cospicuo di cittadini non si reca più ai seggi elettorali per votare?
Ci saranno delle ragioni? E quali potrebbero essere le proposte per un riavvicinamento delle masse popolari alle vicende sociali, economiche, politiche, culturali del nostro Paese?
Cerchiamo con ragionevole sobrietà e nello stesso momento con rispettosa risolutezza le ragioni che sono alla base, per noi, di tale disaffezione popolare e in moltissimi casi anche di gravosa sofferenza sociale e politica. La prima grande illegalità, quella più marcatamente pericolosa ed esiziale per la nostra democrazia, è la non applicazione concreta della nostra Costituzione nei suoi articoli fondamentali, se così possiamo esprimerci. E quali sono questi? Innanzitutto l’articolo I in cui si dice che la nostra Repubblica democratica è fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo, che la deve esercitare nei modi, nelle forme e nei limiti che impone la Carta Costituzionale. In Italia negli ultimi decenni verifichiamo con dolorosa amarezza che migliaia di giovani lasciano i nostri paesi per poter trovare un lavoro più dignitoso in altre regioni europee, in particolare in Inghilterra, nei Paesi nordici e negli Stati Uniti d’America. Certo, ognuno è libero di andare a cercarsi il lavoro anche fuori dell’Italia; ma, se qui da noi all’assenza di una prospettica e rigorosa programmazione socio/economica aggiungiamo le abnormi regole legislative – per esempio, l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva la condanna del datore di lavoro nel caso di licenziamento immotivato del lavoratore dipendente, allora la precarietà diventa più dolorosa, amara, infausta. Ora, da un decennio più o meno, vige il Job act di renziana memoria che ha abolito fondamentalmente l’art. 18 e ha reso fortemente precaria la vita dei lavoratori, giovani e meno giovani. E il comportamento dei datori di lavoro si è ritorto precipuamente a danno delle donne, emarginate sia perché gli viene negato il trattamento economico/salariale che si riserva al maschio; ma, poi, anche per il fatto che vengono tenute in minor conto proprio in quanto donne, che, secondo la vulgata sessista e maschilista, dovrebbero occupare ruoli subalterni al maschio. Per non parlare, poi, della completa noncuranza e mancata applicazione dell’art.3 della Costituzione, che stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità e “che è compito della Repubblica la rimozione di tutti quegli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano nei fatti la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, come pure “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
A causa della scellerata politica economica dei governi degli ultimi trenta/quaranta anni che hanno proceduto alla privatizzazione dei beni patrimoniali della collettività nazionale, come, per esempio, l’acqua, il gas, la luce, la sanità e la scuola – queste ultime due in dirittura d’arrivo di quasi totale privatizzazione o di subalternità massiccia al libero mercato, al dio mercato, alla prassi della concorrenza aziendalistica, esattamente il contrario dello spirito e del ruolo sociale che esse hanno costituzionalmente – la precarietà sociale si è accresciuta e la partecipazione alla vita della polis e al “voto” si è letteralmente svuotata nel numero e sminuita nel suo valore civile, politico ed anche culturale.
Ma a cosa altro stiamo assistendo in questi ultimi due decenni, se non allo svilimento e, di conseguenza, all’affossamento dei doveri inderogabili di “solidarietà politica, economica e sociale”? Difatti, se il cittadino si sottrae ad alcuni doveri fondamentali come la partecipazione alla vita politica della comunità (solidarietà politica), alla contribuzione con il proprio lavoro al benessere comune e alle spese della comunità nazionale (solidarietà economica, cui si contrappongono volgarmente la corruzione e la viscerale evasione fiscale che affliggono il paese; se, poi, non in ultimo, verifichiamo l’ affievolimento della tensione civile ed etica nei confronti di quanti soffrono, perché non hanno un reddito dignitoso e sufficiente (solidarietà sociale), allora in questi casi precipitiamo letteralmente nel disordine sociale e nella tendenza dolorosa e spiacevole verso la disaffezione politica, quest’ultima causa, anch’essa rilevante, della crisi profonda nella quale è caduta la nostra società nazionale. La partecipazione, spontanea e disinteressata, di tutte/i le/i cittadine/i alla vita social-culturale del paese e alla gestione oculata delle varie amministrazioni dello Stato si è tinta ormai di grigio… e da questo colore scaturiscono sensazioni indigeste e presagi oscuri per la nostra democrazia.
Per queste ed altre ragioni torna prepotentemente sul proscenio della politica nazionale la questione della riforma elettorale in chiave proporzionale. ☺

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