Liberare la bibbia
11 Ottobre 2025
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Liberare la bibbia

La violenza verbale e fisica di personaggi appartenenti al fondamentalismo ebraico che attualmente “governano” Israele, con la sadica tracotanza nel mostrare un inerme e denutrito Barghouti in carcere vessato dalle parole violente di un ministro israeliano (che non merita neppure di essere citato per nome) mi porta, come cristiano che crede nella santità della Parola di Dio, a chiedermi se realmente l’Antico Testamento è solo un polpettone di esaltazione del popolo ebraico che può essere neutralizzato solo alla luce della venuta di Gesù Cristo e attraverso l’interpretazione universalista che ne dà il Nuovo Testamento e l’esegesi cristiana. Posso affermare tranquillamente che non è così: la bibbia ebraica è piena di riferimenti alla cura che Dio (il Dio unico che si è rivelato a Israele ma che è il creatore di tutti) ha per tutta l’umanità, anzi, per tutta la creazione. Basti leggere il libro di Giobbe, dove il personaggio principale è un non ebreo al quale Dio rivela i misteri della creazione e la cura che ha per ogni creatura vivente (Gb 38-42) per farsi un’idea della vocazione universalista della fede ebraica, ben prima della venuta di Cristo. Accanto a Giobbe ci sono poi tanti Salmi (il 104 che è una meditazione poetica sulla creazione o il 148 dove solo alla fine si fa riferimento a Israele, popolo oppresso ma ricordato da Dio proprio perché oppresso) che riflettono sul rapporto tra Dio e l’umanità.
Ma se cominciamo dall’inizio la bibbia porta in sé una dimensione universale: la creazione dell’uomo e della donna, la chiamata di Abramo nel quale saranno benedette tutte le nazioni della terra (Gen 12). Giuseppe che è venduto dai suoi fratelli ebrei e diventa fonte di benedizione per il popolo egiziano, oltre che per i popoli (compresi gli ebrei) che vedono nell’Egitto l’unica speranza di sopravvivenza. La pagana Rut che sceglie il Dio d’Israele ma non è ebrea di nascita e diventa l’antenata di Davide. La figura di Salomone, che accoglie la regina di Saba, che viene dai confini della terra e che insegna una sapienza universale. E poi ci sono i profeti che, mentre rimproverano i capi e i maggiorenti di Israele per non aver rispettato la Legge che insegna la giustizia, la presa in carico dei deboli, compresi gli stranieri (“amerai lo straniero che dimora presso di te come te stesso”, dice Levitico 19) sognano un futuro in cui tutti i popoli si ritrovano sul monte di Dio per onorare Dio e vivere da fratelli. Il profeta Amos, innanzitutto, che è campione di denuncia delle ingiustizie commesse verso i deboli denuncia la mancanza di empatia dei ricchi che “distesi su letti d’avorio, sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide, improvvisando su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano” (6,4-6); ogni riferimento alla Gaza sognata da Trump e dal capo d’Israele è puramente voluta. Lo stesso Amos afferma in modo esplicito che Dio si prende cura di tutti i popoli, non solo d’Israele che, anzi, per l’abbandono della giustizia, ha perso la benedizione di Dio: “Non siete voi per me come gli Etiopi, figli d’Israele? Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese di Egitto, i Filistei da Caftor e gli Aramei da Kir?” (9,7). Si può inoltre vedere il bel racconto di Giona, dove il profeta si offende perché Dio ha perdonato la città di Ninive e Dio gli replica con la domanda con cui finisce il libro stesso, a cui ogni lettore, ogni ebreo innanzitutto, deve rispondere: “Io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra (pensiamo ai bambini di Gaza!!), e una grande quantità di animali?” (4,11).
Di fronte a un Dio che si preoccupa anche degli animali di Ninive, cosa pensare di quelli che ritengono i palestinesi solo degli animali? Il vertice della riflessione profetica di Israele è rappresentato dal libro di Isaia, scritto in un arco di tempo di almeno quattro secoli, il libro profetico per eccellenza, spesso l’unico presente anticamente nelle sinagoghe accanto alla Torah e considerato dai cristiani un quinto vangelo, per le sue allusioni alla nascita e alla morte di Gesù Cristo, oltre che al suo messaggio di consolazione per i poveri e gli ultimi. Tutto ciò che si dice di Gesù nel Nuovo Testamento riecheggia nel profeta Isaia che però è e resta la più grande opera poetica oltre che profetica del popolo ebraico. Scorrendolo dall’inizio alla fine esso è pieno di riferimenti all’universalità del messaggio di giustizia e speranza di un Dio che non è legato a un solo popolo, ma è il Dio di tutti. Riporto solo due passi tra i tanti che si potrebbero citare: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte (cioè, a Gerusalemme), un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni” (25,6-7). E ancora, alla fine del libro: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria” (66,18).
In un testo Guccini canta: “Da crociati e crociate, da ogni scrittura, da fedeli invasati d’ogni tipo e natura, libera nos Domine”. Io aggiungerei che è necessario liberare la Scrittura, cioè la bibbia, da ogni fondamentalismo ebreo o cristiano per farla tornare ad essere il testo con cui si identificano le vittime di ogni ingiustizia, nazionalismo omicida e violenza, come hanno detto e fatto Gesù e tutti i profeti vissuti prima e dopo di lui.☺

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