
L’istanza
Si presentò al cancello alle cinque di un gelido mattino nel cuore dell’inverno. Pensava di essere la prima della fila, trovò invece quattro fagotti scuri sul marciapiede, davanti ad ognuno un thermos e una scatola di biscotti. Il suo ‘buongiorno’ squillò nell’oscurità.
‘Lei è la quinta’, le parole provenivano da un ammasso di piumino, sciarpe e cappello che si rivelò essere una donna di cui spuntavano solo occhi e naso. ‘Da che ora siete qui?’ chiese sorpresa la donna.
‘Loro due dall’una’ e indicò con lo sguardo due sacchi a pelo all’inizio della fila. ‘Io e mio figlio dalle quattro’. Silenzio, immobilità e freddo pungente. Dalle poche parole pronunciate lei riconobbe l’amato accento e chiese: ‘Argentinos?’ I primi due sacchi a pelo si aprirono e rivelarono due volti giovanissimi, fratello e sorella, spiegarono sorridenti nella loro lingua. Per il documento di cui avevano bisogno ne accettavano due al giorno, erano andati nel cuore della notte per avere la certezza di poter presentare l’istanza. ‘Dalla nostra fila invece potranno entrare solo i primi venti’ aggiunse la madre nella lingua che ormai fluiva nel gruppo in attesa. Ognuno dei primi quattro bevve dal thermos, mangiò un biscotto e rientrò nel cumulo di indumenti o nel sacco a pelo. Lei, però, afferrò un filo che era rimasto nell’aria e in pochi secondi tutto cambiò.
La donna e il figlio si alzarono, avevano le gambe anchilosate per essere stati seduti sul marciapiede freddo, ma sorridevano. Tutti e cinque si presentarono e si strinsero le mani. Battevano i piedi per il freddo, ma ridendo e parlando tutti la stessa lingua. La quinta arrivata si trovò immersa in un flusso veloce e multiforme: le raccontavano storie del loro Paese, della loro vita appena lasciata, del futuro che vedevano davanti, ma al contempo si scambiavano informazioni utili per le pratiche burocratiche da svolgere in vista della permanenza nel nuovo Paese. Arrivarono una sesta e una settima persona, conterranee dei primi quattro e si unirono al gruppo vociante. La quinta arrivata era diventata una di loro. Il discorso toccò, ovviamente, l’albero genealogico, ognuno aveva un nonno o una nonna che nel passato aveva varcato l’oceano dando, senza saperlo, a un nipote la speranza di una nuova vita. L’albero della fortuna, pensò la quinta.
Il cancello restava immobile, mancava ancora molto per l’ingresso agli uffici dei primi fortunati. L’ottava arrivò con gli occhi gonfi di sonno. ‘Sembra di essere in Sudamerica’ disse alla quinta arrivata.
I racconti continuarono: storie di disoccupazione, di povertà, di tracolli economici, ma anche di famiglie forti e di videochiamate cariche di nostalgia. Storie di paura e di ansia per il futuro, ma anche di ottimismo e di voglia di darsi da fare.
Quando il cancello venne aperto i primi venti entrarono in fretta, i racconti si dispersero tra gli sportelli dell’ufficio.
La quinta arrivata presentò l’istanza, ma mentre stava per andare via si sentì toccare il braccio. Era la madre con il figlio. Senza il viluppo degli abiti la donna era una ragazza dai lunghi capelli biondi e dal sorriso smagliante, il figlio un ragazzo alto e dinoccolato dall’aria timida. Le due donne si abbracciarono d’istinto. ‘Suerte!’ disse la ragazza, ‘Suerte!’ rispose la donna.
Li vide andare via, la giovane madre, vibrante di vita e scattante, pose una mano protettiva sulla schiena del figlio. Avevano presentato l’istanza, l’inizio della loro avventura.☺