
Lodato sii, per coloro che sostengono infermitate et tribolazione
Perché c’è il male al mondo piuttosto che solo il bene? “Perché il male?” è la vera domanda ontologica, teologica ed esistenziale; meglio ancora: “Perché le vittime del male, dei mali? ”. Una domanda al cospetto della quale si devono commisurare tutte le altre e sono proprio le vittime i veri depositari di questa domanda, una domanda che non dovrebbe lasciar dormire tranquillo nessuno, nemmeno chi è al riparo dalla fatica, dal freddo e dalla fame. Non sono possibili di fronte al male né una educazione che voglia far finta che non esista, né una pedagogia rassegnata. L’uomo e la donna soffrono, così come soffrono gli animali e le piante. Forse uno dei ruoli che gli esseri umani devono attribuirsi nel Creato è proprio quello di provare a porre la domanda di senso a proposito del male, di non lasciare il male inspiegato o ingiustificato.
La natura ci propone ancora e sempre la domanda che sbalordì Agostino: unde malum? Una domanda che grida da Nord a Sud, che rimbomba dove giace ammassata un’umanità da sterminare, dall’Ucraina a Gaza, dalle donne umiliate e offese ai bambini martoriati; una domanda che trasuda dai cimiteri improvvisati nelle campagne devastate dai bombardamenti e dalle corsie degli ospedali di guerra… e di pace: “Perché il male?”
Una possibile risposta, ovviamente del tutto insufficiente, potrebbe essere quella di provare ad abitarlo, cercando di resistere ad esso e soprattutto in esso; chissà, forse porterà a far riscoprire la debolezza come risorsa, di fronte al male del mondo, della natura e degli uomini, riportando a galla appunto quei gesti deboli che sanno di cura, quei linguaggi deboli fatti di silenzi. Sì silenzi, soprattutto silenzi, qualcosa che dovremmo imparare per educare: non silenzio come resa, no, ma come atto essenziale per essere accanto… dentro. Scegliamo l’accompagnamento, condividendo questo silenzio, stringendo mani, detergendo una fronte e senza porre domande, senza chiedere parole, lamentazioni. Una pedagogia fatta di pochi e difficilissimi gesti (o non-gesti), una educazione che diventa sfida per l’uomo con tutto il suo peso di gioia ma anche di dolore, quel dolore a proposito del quale il più alto e nobile gesto consiste forse o certamente, nel non smettere mai di chiedersi “perché”.☺