Albert Schweitzer il 13 ottobre 1905, all’età di trent’anni, spedisce un pacco di lettere a parenti e amici per annunciare che avrebbe intrapreso gli studi di medicina per andare poi a curare i malati del Gabon, in Africa. La reazione è di stupore e molti tentano di dissuaderlo nel vedere troncata una brillante carriera. “Nessuno di loro può capire, annota Schweitzer, che il desiderio di servire il prossimo predicato da Gesù, possa spingere qualcuno a mutare la sua vita. Eppure tutti leggono il vangelo e tutti credono in Gesù Cristo”.
Albert nasce in una famiglia protestante tedesca il 14 gennaio 1875. Il padre, pastore della locale comunità, non gli fa mancare niente. Due esperienze lo segnano irrimediabilmente: la povertà dei suoi coetanei che lo mettono in disparte per cui comincerà a rinunciare a cose anche importanti per essere solidale con chi ha avuto poco o niente dalla vita e l’impatto in città con un monumento che rappresenta un nero forte e dignitoso, ma con gli occhi terrorizzati: “E’ un negro del Gabon, gli dice il padre, il paese più desolato del mondo con la gente più miserabile della terra”.
Mentre sviluppa il suo eccezionale talento musicale che lo porterà a dare concerti in tutta Europa facendo conoscere finalmente Bach, si laurea in teologia prima e filosofia poi a Strasburgo. A 24 anni verrà chiamato ad insegnare nell’università dove da poco si è laureato.
È nella Pentecoste del 1899 che si sente interiormente illuminato a dedicare la vita ai suoi fratelli più disgraziati. Si dà sei anni di tempo per mettere in atto la vocazione maturata e frequentare medicina prima di partire. La sua ragazza alla notizia comprende e decide di fare un corso di infermiera per essergli utilmente a fianco in Africa.
A 38 anni raggiunge così Lambaréné, uno sperduto villaggio del Gabon, mentre il tam-tam annuncia nella foresta che è arrivato l’oganga, lo stregone bianco che curerà le loro malattie.
Già dalla mattina successiva si ritrova accerchiato da una folla di malati: lebbrosi, malarici, affetti da febbre gialla, ulcere, polmoniti. Tutti casi urgenti che attendono l’intervento del medico o la morte.
In mesi di estenuante lavoro combatte contro ogni malattia e dolore, ma soprattutto cerca di dare sicurezza perché scopre che la forza che imprigiona tantissimi, fino a farli impazzire, è la paura, la paura di violare i tabù. Un terrore tenuto vivo dagli stregoni, signori della vita e della morte.
Non mancano momenti di scoraggiamento come l’impatto con i cannibali che vanno tra le baracche adibite a ospedale in cerca di carne umana. “Gli indigeni sono pigri, bugiardi e ladri, persino assassini. Ma chi li ha ridotti così? La foresta, gli stregoni, i mercanti di schiavi. Se ce ne andiamo anche noi, gli dice la moglie, anche i migliori torneranno ad essere ladri e assassini”.
La prima guerra mondiale lo vede rimpatriato e prigioniero dei francesi: Ne approfitta per scuotere l’Europa con i suoi concerti e le sue conferenze. Si fa elemosiniere per i suoi malati. Finita la guerra torna in Gabon non più solo; altri cominciano a seguirlo per aiutarlo. Lambaréné non è più uno sperduto villaggio. Nel 1952 gli viene assegnato il premio Nobel per la pace. Einstein lo definisce “il più grande uomo vivente”.
Da vero patriarca, missionario per amore, muore nel 1965 a 90 anni tra i suoi malati.
Ha insegnato agli uomini a volersi bene, lui che è vissuto solo per il suo prossimo più povero e abbandonato. ☺
Albert Schweitzer il 13 ottobre 1905, all’età di trent’anni, spedisce un pacco di lettere a parenti e amici per annunciare che avrebbe intrapreso gli studi di medicina per andare poi a curare i malati del Gabon, in Africa. La reazione è di stupore e molti tentano di dissuaderlo nel vedere troncata una brillante carriera. “Nessuno di loro può capire, annota Schweitzer, che il desiderio di servire il prossimo predicato da Gesù, possa spingere qualcuno a mutare la sua vita. Eppure tutti leggono il vangelo e tutti credono in Gesù Cristo”.
Albert nasce in una famiglia protestante tedesca il 14 gennaio 1875. Il padre, pastore della locale comunità, non gli fa mancare niente. Due esperienze lo segnano irrimediabilmente: la povertà dei suoi coetanei che lo mettono in disparte per cui comincerà a rinunciare a cose anche importanti per essere solidale con chi ha avuto poco o niente dalla vita e l’impatto in città con un monumento che rappresenta un nero forte e dignitoso, ma con gli occhi terrorizzati: “E’ un negro del Gabon, gli dice il padre, il paese più desolato del mondo con la gente più miserabile della terra”.
Mentre sviluppa il suo eccezionale talento musicale che lo porterà a dare concerti in tutta Europa facendo conoscere finalmente Bach, si laurea in teologia prima e filosofia poi a Strasburgo. A 24 anni verrà chiamato ad insegnare nell’università dove da poco si è laureato.
È nella Pentecoste del 1899 che si sente interiormente illuminato a dedicare la vita ai suoi fratelli più disgraziati. Si dà sei anni di tempo per mettere in atto la vocazione maturata e frequentare medicina prima di partire. La sua ragazza alla notizia comprende e decide di fare un corso di infermiera per essergli utilmente a fianco in Africa.
A 38 anni raggiunge così Lambaréné, uno sperduto villaggio del Gabon, mentre il tam-tam annuncia nella foresta che è arrivato l’oganga, lo stregone bianco che curerà le loro malattie.
Già dalla mattina successiva si ritrova accerchiato da una folla di malati: lebbrosi, malarici, affetti da febbre gialla, ulcere, polmoniti. Tutti casi urgenti che attendono l’intervento del medico o la morte.
In mesi di estenuante lavoro combatte contro ogni malattia e dolore, ma soprattutto cerca di dare sicurezza perché scopre che la forza che imprigiona tantissimi, fino a farli impazzire, è la paura, la paura di violare i tabù. Un terrore tenuto vivo dagli stregoni, signori della vita e della morte.
Non mancano momenti di scoraggiamento come l’impatto con i cannibali che vanno tra le baracche adibite a ospedale in cerca di carne umana. “Gli indigeni sono pigri, bugiardi e ladri, persino assassini. Ma chi li ha ridotti così? La foresta, gli stregoni, i mercanti di schiavi. Se ce ne andiamo anche noi, gli dice la moglie, anche i migliori torneranno ad essere ladri e assassini”.
La prima guerra mondiale lo vede rimpatriato e prigioniero dei francesi: Ne approfitta per scuotere l’Europa con i suoi concerti e le sue conferenze. Si fa elemosiniere per i suoi malati. Finita la guerra torna in Gabon non più solo; altri cominciano a seguirlo per aiutarlo. Lambaréné non è più uno sperduto villaggio. Nel 1952 gli viene assegnato il premio Nobel per la pace. Einstein lo definisce “il più grande uomo vivente”.
Da vero patriarca, missionario per amore, muore nel 1965 a 90 anni tra i suoi malati.
Ha insegnato agli uomini a volersi bene, lui che è vissuto solo per il suo prossimo più povero e abbandonato. ☺
Albert Schweitzer il 13 ottobre 1905, all’età di trent’anni, spedisce un pacco di lettere a parenti e amici per annunciare che avrebbe intrapreso gli studi di medicina per andare poi a curare i malati del Gabon, in Africa. La reazione è di stupore e molti tentano di dissuaderlo nel vedere troncata una brillante carriera. “Nessuno di loro può capire, annota Schweitzer, che il desiderio di servire il prossimo predicato da Gesù, possa spingere qualcuno a mutare la sua vita. Eppure tutti leggono il vangelo e tutti credono in Gesù Cristo”.
Albert nasce in una famiglia protestante tedesca il 14 gennaio 1875. Il padre, pastore della locale comunità, non gli fa mancare niente. Due esperienze lo segnano irrimediabilmente: la povertà dei suoi coetanei che lo mettono in disparte per cui comincerà a rinunciare a cose anche importanti per essere solidale con chi ha avuto poco o niente dalla vita e l’impatto in città con un monumento che rappresenta un nero forte e dignitoso, ma con gli occhi terrorizzati: “E’ un negro del Gabon, gli dice il padre, il paese più desolato del mondo con la gente più miserabile della terra”.
Mentre sviluppa il suo eccezionale talento musicale che lo porterà a dare concerti in tutta Europa facendo conoscere finalmente Bach, si laurea in teologia prima e filosofia poi a Strasburgo. A 24 anni verrà chiamato ad insegnare nell’università dove da poco si è laureato.
È nella Pentecoste del 1899 che si sente interiormente illuminato a dedicare la vita ai suoi fratelli più disgraziati. Si dà sei anni di tempo per mettere in atto la vocazione maturata e frequentare medicina prima di partire. La sua ragazza alla notizia comprende e decide di fare un corso di infermiera per essergli utilmente a fianco in Africa.
A 38 anni raggiunge così Lambaréné, uno sperduto villaggio del Gabon, mentre il tam-tam annuncia nella foresta che è arrivato l’oganga, lo stregone bianco che curerà le loro malattie.
Già dalla mattina successiva si ritrova accerchiato da una folla di malati: lebbrosi, malarici, affetti da febbre gialla, ulcere, polmoniti. Tutti casi urgenti che attendono l’intervento del medico o la morte.
In mesi di estenuante lavoro combatte contro ogni malattia e dolore, ma soprattutto cerca di dare sicurezza perché scopre che la forza che imprigiona tantissimi, fino a farli impazzire, è la paura, la paura di violare i tabù. Un terrore tenuto vivo dagli stregoni, signori della vita e della morte.
Non mancano momenti di scoraggiamento come l’impatto con i cannibali che vanno tra le baracche adibite a ospedale in cerca di carne umana. “Gli indigeni sono pigri, bugiardi e ladri, persino assassini. Ma chi li ha ridotti così? La foresta, gli stregoni, i mercanti di schiavi. Se ce ne andiamo anche noi, gli dice la moglie, anche i migliori torneranno ad essere ladri e assassini”.
La prima guerra mondiale lo vede rimpatriato e prigioniero dei francesi: Ne approfitta per scuotere l’Europa con i suoi concerti e le sue conferenze. Si fa elemosiniere per i suoi malati. Finita la guerra torna in Gabon non più solo; altri cominciano a seguirlo per aiutarlo. Lambaréné non è più uno sperduto villaggio. Nel 1952 gli viene assegnato il premio Nobel per la pace. Einstein lo definisce “il più grande uomo vivente”.
Da vero patriarca, missionario per amore, muore nel 1965 a 90 anni tra i suoi malati.
Ha insegnato agli uomini a volersi bene, lui che è vissuto solo per il suo prossimo più povero e abbandonato. ☺
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