maverick: perché no
15 Febbraio 2023
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maverick: perché no

Parlare di energia rinnovabile in tempi di guerra e di emergenza climatica non è semplice, immersi come siamo in una melassa di negazione da un lato e di esaltazione acritica dall’altra. Per aver espresso contrarietà al progetto in questione la Rete della Sinistra è stata tacciata di sindrome NIMBY nientemeno che sulle pagine del Sole 24 Ore.

La sindrome NIMBY (Not in my backyard, non nel mio giardino) è notoriamente lo spauracchio con cui vengono dileggiati coloro che si oppongono all’uso sconsiderato del proprio territorio; ricordo che venne usata contro i comitati che si opponevano alla turbogas a Termoli vent’anni fa. In pratica si accusa chiunque osi discutere insediamenti non necessari e potenzialmente pericolosi di essere il solito radical chic che contesta la modernità e la accetta purché venga attuata lontano dal suo pezzettino di terra.

Vediamo allora di chiarire il nostro no, che non riguarda ovviamente l’energia eolica in sé, ma questa proposta specifica.

Riassumo brevemente i punti fermi di questo impianto: concessione demaniale marittima per 40 anni di una superficie di 295 km, con installazione di 120 aerogeneratori flottanti, ognuno della potenza di 15 MW, per un’altezza totale di 280 metri (un grattacielo di 56 piani). Torri situate a 25 chilometri dalla costa, dunque visibilissime, poco più lontane della piattaforma Rospo Mare che tutti vediamo benissimo dal mare e che è 7 volte meno alta.

Aerogeneratori collegati da cavidotti posati sul fondale che, dopo essere arrivati a due stazioni elettriche, approdano presso un canale di bonifica a nord della foce del Biferno, in zona ad altissimo rischio alluvionale. Parte dei KW prodotti dovrebbero alimentare una megaindustria di produzione di idrogeno nel Nucleo Industriale di Termoli.

I punti oscuri sono molteplici, e in essi risiedono le ragioni della nostra posizione contraria: in primo luogo, l’assoluta mancanza di coinvolgimento degli abitanti del luogo e di qualsiasi informazione oggettiva, come sempre accade in queste terre.

Poi la durata eccessiva della concessione (40 anni, quando la vita utile delle pale è di 20); la mancanza di ristoro fiscale per il comune (gli impianti sono collocati per tre quarti fuori dalle acque territoriali); l’ occupazione dell’intero orizzonte marino del Molise, con visibilità dalla costa di tutti gli aerogeneratori sia di giorno che di notte; la potenza mostruosa generata (la nostra piccola regione dovrebbe sacrificare le sue coste per produrre l’energia sufficiente a due milioni di famiglie, quasi l’8% del fabbisogno totale dell’Italia); il pesante vincolo alla navigazione e alla pesca; i danni alle attività turistico-balneari, condizionate dalla vista costante di una selva di pali al posto di un libero orizzonte marino; la presenza  del sito di produzione idrogeno, estremamente infiammabile e ad alto rischio, in un Nucleo Industriale già contenente tre impianti sottoposti a legge Seveso.

Ma soprattutto sono insostenibili e inaccettabili l’ enorme consumo di acqua necessaria all’idrolisi dell’ idrogeno e la scarsissima trasparenza che circonda la società che metterebbe in campo la realizzazione dell’impianto. Anzi le due società, che non risultano avere dipendenti, né capitali sufficienti, né competenza tecnica, dato che il loro amministratore delegato, nonché unico dipendente, risulta essere un consulente d’impresa. Per di più la sede legale potrebbe non corrispondere ad una sede fisica, e coincide stranamente con lo stabile dove ha sede uno studio legale di affari tra i più grandi del mondo.

Mi sembra di rivedere film già visti: soprattutto la scelta di un territorio perché considerato poco reattivo socialmente e prontissimo a lasciarsi abbindolare dalle promesse rosee di “sviluppo” e “modernità”. A questo si aggiunge purtroppo il ricatto energetico attivato dalle vergognose speculazioni nate dalla guerra in Ucraina e accresciuto a dismisura dalla solita nenia sulla fame di energia, la crescita infinita e gli “ambienta- listi” cattivi che vogliono tornare al carretto e alla candela.

Dunque sì alle rinnovabili, che dovrebbero essere già il nostro presente: ma solo dopo aver ridotto progressivamente e irreversibilmente il ricorso alle fossili e aver mappato il nostro territorio per stabilire dove e cosa si può installare. Cosa che chiediamo da vent’anni e che ancora non risulta effettuata.

Per inciso ricordo che già nel 2003 il dottor Iannantuono dell’ENEA aveva redatto una accurata analisi dei nostri suoli identificando ampie zone dove si potevano realizzare impianti eolici evitando di deturpare, come è puntualmente avvenuto, territorio, siti protetti e zone archeologiche.

Quindi sì all’eolico in mare, ma non con queste dimensioni; sì al fotovoltaico, ma non sulle terre coltivabili; e soprattutto sì alle comunità energetiche, che toglierebbero potere ai ricatti fossili di ENI ed ENEL. E sì, una buona volta, all’informazione accurata e indipendente e al coinvolgimento totale dei cittadini come portatori di diritti. Finalmente.☺

 

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