Metafora materna e comunità terapeutica + posta
30 Luglio 2016
La Fonte (351 articles)
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Metafora materna e comunità terapeutica + posta

Concludiamo con questo articolo quanto accennato nel numero di giugno, dove abbiamo discusso della cura come accoglienza e sostegno e di quanto tali attributi possano rientrare nella categoria del Materno; il contributo attuale vuole porre in questione la rigidità con cui il fattore materno viene talvolta considerato. Nello specifico, potremmo dire che non è possibile pensare ad una cura in termini di esclusiva accoglienza e affiliazione, per una serie di motivi tecnici. In primo luogo, la disponibilità acritica verso una accoglienza emotivamente carica oscura le possibilità di creare un contesto di pensiero intorno al lavoro terapeutico, che è effettivamente caratterizzato da quelle cornici che inquadrano e dispiegano l’emotività dentro un processo di attribuzione di senso. In secondo luogo, è facile intuire come una presa in carico totalizzante rappresenti il risvolto osceno di un sistema di potere che facilmente scivola in derive autoritarie e centralistiche: come a dire, se non ti curerò con il mio amore indissolubile, sarà con la coercizione che ti piegherò (in fondo si tratta della stessa cosa). Da un punto di vista terapeutico, bisogna poi considerare quanto la simbiosi con la figura materna (che, ricordiamo, non sempre si identifica con la madre o con la donna) è uno dei fattori che più pesano nella genesi di quadri patologici o problematici; non è opportuno entrare in questo contesto nella letteratura specialistica, ma è possibile affermare con buona certezza che un legame non mediato tra madre e bambino rappresenti un elemento che predispone il bambino e la relazione ad una degenerazione che può sfociare nella patologia.

Detto ciò, sembra impossibile aggirare un problema di questa portata operando in una comunità terapeutica; non si può accondiscendere alla tendenza romantica che descrive la relazione come naturalmente terapeutica quando riesce a corrispondere all’idea di un risarcimento da donare al paziente in virtù delle carenze emotive e relazionali subìte. Fare accoglienza e cura significa, al contrario, saper valutare e temperare le tendenze assistenzialistiche, il volontarismo romantico, la tecnica e la teoria, sviscerando quelle che sono vere e proprie malattie istituzionali, che prendono la forma di un eccesso di regolamentazione-controllo/presa in carico emotiva o – al vertice opposto – dell’intellettualismo-tecnicismo.

In definiva, la retorica dei diritti umani e della compassione – che ha come controaltare quella del rifiuto e della rigidità identitaria – può e deve essere stemperata dall’etica individuale e istituzionale, che sola permette di coniugare universalità del lavoro terapeutico e attenzione per le differenze soggettive.

Alessandro Prezioso

 

 

Lettera d’amore di Sylvia Plath

 

La poesia della Plath mi ha dato modo di riflettere su alcuni momenti oscuri dell’autrice. Leggendo le sue parole, che forse tanti conoscono, credo che anche voi abbiate fatto le mie stesse considerazioni.

Se fossi uno psicologo capirei subito leggendo le frasi e le immaginazioni che questa autrice descrive, l’essere stata vittima della malattia che colpisce la maggior parte delle persone oggi, ossia la depressione e la solitudine. Nella sue descrizioni parla di una presunta morte anche se viva. Poi si accorge che con un piccolo gesto, perché lei s’ immedesima in un sasso, riesce a rivedere la luce, l’aria e il brillio delle stelle. Tutto questo che lei vede, non è immaginazione, ma è parte della sua esistenza ed è una concreta realtà.

Dando senso alle parole che leggiamo, ci immedesimiamo nelle storie degli altri. Le esperienze non sono uguali, sia quelle positive che le negative. Sentirsi vivi dipende sia da noi che da quelli che ci circondano e che credono in noi. Basta un piccolo gesto, una piccola frase per farci capire che tutto non è finito, anzi, è l’inizio di una nuova vita, di nuove esperienze e di tutto ciò che la vita ci può offrire. Perché se la vita è un dono, bisogna dargli il giusto valore. La vita è una cosa preziosa, ha un inizio ma anche una fine, quindi bisogna difenderla e curarla. Come si proteggerebbe un bambino piccolo e tenero.

Se qualcuno oggi mi chiedesse di cambiare la mia vita direi di no perché anche io ho conosciuto il passato, freddo, oscuro e i brutti pensieri. Ora vedo la luce, il calore, l’amore che si contraccambia con persone che ti stanno accanto e che ti hanno conosciuto. Nella stessa realtà ora vedo molto di più e non sono più miope… vedo sia là che lì.

Giuseppe Cristallo

 

Una giornata al mare

 

E’ arrivata quasi l’estate, e già si pensa di andare sulla spiaggia. Il sole e gli uccelli ci chiamano per andare al mare e nuotare nell’acqua. Io mi chiamo Nicola e al mare vado con i miei compagni di gruppo, insieme con gli operatori: ci divertiamo a rilassarci sulla spiaggia sotto l’ombrellone. Durante l’estate di qualche anno fa, abbiamo trascorso una vacanza di quattro giorni, tutti insieme, a Metaponto. Siamo stati anche a visitare i sassi di Matera. Io in questa vacanza, sono stato bene, quello che mi è piaciuto particolarmente è dormire nei bungalow. Poi la sera andavamo a passeggiare, lungo i lidi c’era animazione e abbiamo fatto anche il karaoke. Io amo molto la montagna, però il mare di più perché è bello stare insieme e farsi una passeggiata sulla spiaggia. Il mare più vicino si trova a Termoli dove si pesca tanto buon pesce, c’è anche un porticciolo turistico e quello di imbarcazione per le isole Tremiti. Io penso che sia bello trascorrere una giornata al mare tutti insieme.

Nicola Spadaccini

 

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