
Mezzo secolo fa…
di Christiane Barckhausen-Canale
Ricordo che era martedì. A Berlino, capitale della Repubblica Democratica Tedesca, il mese di settembre cominciò con temperature più basse del normale. O era solo una nostra impressione? Solo due settimane prima, questa città, o questa parte della città, era stata piena di giovani venuti da tutto il mondo per celebrare un Festival della Gioventù che riuniva asiatici, africani, latinoamericani, australiani ed europei, uniti dal desiderio di costruire un mondo di pace e di solidarietà fra i popoli. Avevamo accolto, emozionati, i giovani che venivano dal Vietnam, dove era in corso una guerra nella quale erano coinvolti, dal 1965, gli Stati Uniti d’America. Avevamo ballato le danze folcloristiche di molti paesi lontani, ed avevamo cantato assieme ai gruppi Quilapayún e Inti Illimani le canzoni che ci parlavano del Cile che aveva deciso, mediante elezioni libere e democratiche, di costruire una società socialista. Ma un giorno a fine agosto, come per magía, tutti questi giovani erano partiti per i loro Paesi ed avevano lasciato noi berlinesi con una sensazione di solitudine.
In quel Festival, io avevo lavorato come traduttrice per diversi rappresentanti del Cile, per esempio per Gladys Marin, dirigente della Gioventù Comunista, ma anche per i cantanti del “Quila” e degli “Inti”. Ed ancora nei primi giorni di quel settembre, che ci pareva più freddo del normale, la mia amica Renata, che condivideva l’appartamento con me, ed io cercavamo di ricostruire l’atmosfera di agosto, ascoltando tutti i giorni esclusivamente i dischi con le canzoni del Cile Nuovo.
Quel martedì di settembre ero andata, di mattina presto, a comprare vestiti di primavera, perche il giovedì della stessa settimana dovevo prendere l’aereo per l’America Latina, per Santiago del Cile. Ed in Cile era primavera.
Da sei mesi, due cineasti del mio paese stavano filmando in Cile la nascita di una nuova società e la lotta furiosa dei rappresentanti della vecchia società per impedire questa nascita. Da marzo, mi arrivavano a casa, ogni tre, quattro giorni, i nastri magnetici con le registrazioni effettuate dai cineasti. Traducevo la banda sonora del film che Haynowski e Scheumann, i cineasti, dovevano finire una volta ritornati dal Cile. Così, ascoltando e traducendo in tedesco tutto quello che loro avevano registrato, avevo avuto da mesi la sensazione di vivere in Cile, avevo vissuto a Santiago, il putsch fallito di un gruppetto di militari contro il governo di Salvador Allende, avevo vissuto la mancanza di alimenti, provocata dallo sciopero dei trasportatori, avevo conosciuto i rappresentanti dei partiti più reazionari del Cile, ma anche decine e decine di operai, contadini, giovani, vecchi, bambini cileni che sognavano un paese nuovo.
Ma tre giorni prima di quel martedì di settembre mi avevano informato che il traduttore dei due cineasti si era ammalato e che io dovevo volare in Cile fra cinque giorni per lavorare come traduttrice “sul campo”, ma prima dovevo finire di tradurre l’ultimo nastro che mi era arrivato a casa.
Ed era proprio questo che volevo fare quel martedì, dopo aver comprato i vestiti primaverili. Su quel nastro c’erano le registrazioni fatte durante una manifestazione, svoltasi sette giorni prima, a Santiago, per festeggiare il terzo anniversario della vittoria elettorale di Salvador Allende come presidente della Repubblica. Sentivo le grida dei manifestanti, sentivo la parola venceremos e la canzone El pueblo unido gridate e cantate da decine di migliaia di persone, ed avevo la sensazione di vivere una primavera invece dell’autunno berlinese.
Nel pomeriggio volevo fare una pausa, e, per la prima volta in due settimane, Renata ed io decidemmo di non ascoltare i dischi cileni, ma la radio. Da noi erano le 16.00, a Santiago le 10.00 del mattino. E la prima notizia che diede la radio tedesca a quell’ora, diceva: “Dalle 9 del mattino, a Santiago del Cile, dei caccia Hawker Hunter hanno cominciato a bombardare il palazzo della Moneda, sede del governo cileno. Il presidente Salvador Allende si è asserragliato nel palazzo e ha rifiutato l’offerta dei golpisti militari di lasciare il paese e di salvare così la sua vita…”.
Tutti sappiamo come finì quel giorno in Cile, tutti sappiamo della morte di Allende e di migliaia di cileni, sappiamo dei desaparecidos, sappiamo del ruolo giocato dagli USA e di Henry Kissinger, e sappiamo che la dittatura militare, nata quell’11 settembre 1973, durò 17 anni.
In questi giorni, un altro candidato democratico latinoamericano ha vinto le elezioni. In Guatemala, paese che ha sofferto nel secolo scorso l’intervento degli USA e soprattutto della United Fruit Company (quella che ha venduto le banane a noi europei) ha giurato come presidente: Bernardo Arevalo. Stiamo attenti… non permettiamo che la storia si ripeta…☺