Cronache di un Erasmus poco convenzionale
6 Settembre 2016
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Cronache di un Erasmus poco convenzionale

1 puntata: Should I stay o should I go?

Tornando con la memoria all’estate precedente, al mio primo anno di università, assieme all’euforia e all’eccitazione per la prospettiva di una nuova vita e a tutte le critiche annesse e connesse alla scelta di iscrivermi alla facoltà di Lettere, mi vengono in mente i tanti discorsi e consigli che le persone più grandi di me ci tenevano a darmi. Uno dei più quotati era quello di partire per l’Erasmus, all’epoca solo una strana e simpatica parola priva di senso.

– Devi assolutamente andare in Erasmus! –

– Fidati, andare all’estero durante gli anni dell’università è la cosa migliore che possa capitarti! – 14159961_1200950999928032_874286114_n

Ma si sa, la maggior parte delle volte i suggerimenti degli altri lasciano il tempo che trovano. Tu annuisci, sorridi, saluti e dopo due minuti hai dimenticato tutto, sicuro che possano bastare le tue gambe e le tue convinzioni per realizzarti. Poi gli anni passano e le manie di grandezza e la certezza di conquistare il mondo che avevi all’inizio svaniscono, fagocitate dalla routine quotidiana di lezioni e serate tra nuovi amici.  Ed ecco che la triennale ormai è finita e inizi la magistrale sempre meno convinta di quel che stai facendo. Però a un certo punto capita che tutti i tuoi amici decidano di partire, per dove non si sa, poco importa: basta andare. Così ti ritrovi a far domanda anche tu, un po’ per gioco un po’ perché ti dici ‘va beh, tanto non ho nulla da perdere’. Tanto poi si tratta di due, massimo tre mesi perché è un Erasmus Traineeships (per i profani, come lo ero io prima di incappare casualmente nell’apposita pagina dell’università, si tratta di un bando particolare di Erasmus che dà agli studenti la possibilità di svolgere un tirocinio formativo all’estero). Allora inizi a mandare mail in giro per l’Europa (ovviamente le destinazioni standard proposte dalla tua università non ti interessano affatto e quindi vuoi cercarne una per conto tuo): prendi di punta tutti gli Istituti Italiani di Cultura possibili, scrivi a destra e a manca – dal Nord Europa fino in Turchia – ma ottieni solo risposte vaghe e poco incoraggianti. Infine, dopo centinaia di mail, il colpo di fortuna. La capa di una piccola scuola privata di lingua italiana ad Amsterdam ti risponde che sì puoi andare, e non solo! Tutto questo insieme alla tua migliore amica perché di tirocinanti, guarda un po’, ne servono proprio due.

Non resta che far domanda, districarsi attraverso la lunga e noiosa trafila burocratica, cercare di non affogare tra documenti, fotocopie e file di persone impazienti nei vari uffici della tua università. E anche fare il test per la borsa, aspettare i risultati, dimenticare di stare aspettando i risultati e bla bla bla…alla fine ecco, sei su quella lista. Puoi partire.

14171809_1200951106594688_558469826_nRagiono su queste cose a un anno di distanza, l’estate scorsa proprio in questi giorni stavo iniziando a fare la valigia e soprattutto – con enorme ritardo – impazzivo cercando di trovare un appartamento ad Amsterdam. Mentre scrivo si accalcano centinaia di ricordi, quasi troppi per esser stata via poco più di due mesi, ma mi viene da sorridere ripensando a tutto quello che ho vissuto lì, anche se in un lasso di tempo così breve. E allora sì, avevano proprio ragione quelli che tra i tanti consigli possibili mi suggerirono di partire per l’Erasmus, perché sono proprio felice di averlo fatto.

…continua…

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