Nel santuario del cuore
7 Settembre 2021
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Nel santuario del cuore

“Non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,14-15).

La Prima Lettera di Pietro insieme alla Seconda contengono nel loro indirizzo il nome dell’apostolo deputato da Gesù ad essere la “roccia” su cui poggia l’intero edificio ecclesiale (Mt 16,18): “Pietro, apostolo di Gesù Cristo” (1Pt 1,1) o “Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo” (2Pt 1,1). Egli, in qualità di voce autorevole in mezzo alle comunità cristiane, vuole trasmettere loro la forza per affrontare il non facile cammino della fede in un mondo molto ostile e chiuso alla parola del Vangelo.

In 1Pt 1,1 l’Apostolo si rivolge agli eletti “che vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia”. I cristiani sono considerati degli eletti ma, al tempo stesso, pure degli stranieri, uomini e donne pellegrini, che sono di passaggio su questa terra e vivono da “dispersi” (1Pt 1,1) oppure da popolo in esilio (1Pt 1,17; 2,11), come dice il termine greco paroikía (da cui viene l’italiano “parrocchia”), un popolo incamminato verso la patria celeste. È nei cieli, infatti, che si trova ben custodita l’“eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” (1Pt 1,4).

Pietro pertanto si rivolge a queste comunità aiutandole a vivere le persecuzioni e le varie prove della vita senza smarrire la gioia dell’incontro con Cristo sapendo che, al pari dell’oro, la fede, che è il vero tesoro della vita, viene messa alla prova e purificata con il fuoco (1Pt 1,6-7). Il valore della vita dei cristiani, infatti, non è dato dai beni materiali ma dal sangue prezioso di Cristo (1Pt 1,19) e da quel seme incorruttibile che è la Parola di Dio che rigenera e immette nell’atmosfera dell’amore fraterno (1Pt 1,22-25). Soffrire con Cristo e per Cristo può essere motivo di gioia perché permette di sentirsi più partecipi della sua vita (1Pt 4,13) e permette di fare esperienza dell’inabitazione dello Spirito Santo (1Pt 4,14). Inoltre Pietro, come pure Paolo, ricorda che il male si vince solo con il bene (1Pt 4,13; Rm 12,21).

Poi l’Apostolo che Cristo ha reso pietra per la sua Chiesa utilizza proprio questa immagine per parlare del rapporto tra Cristo e i credenti: Cristo è la “pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4) sulla quale i credenti, anch’essi “pietre vive”, sono stati posti “come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo” (1Pt 2,5). Il popolo dei credenti, salvati per mezzo del battesimo, che è passato dalle tenebre alla luce grazie alla misericordia divina, riceve qui una triplice denominazione “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa” (1Pt 2,9). Questa triade di termini richiama l’alleanza conclusa da Dio con il suo popolo al Sinai (Es 19,5-6) con la quale Egli chiedeva a Israele di custodire la memoria dei benefici passati (specie l’uscita dall’Egitto) e di aprirsi all’ascolto della sua voce.

I credenti sono di certo pellegrini sulla terra, stranieri rispetto alla mentalità di questo mondo, afflitti da prove e persecuzioni, ma sono anche gli eletti di Dio, gli amati, gli irradiatori della luce di Cristo nella storia, coloro che non si destabilizzano dinanzi alle difficoltà. Essi sanno rientrare in se stessi non per evadere dal mondo ma per adorare Cristo nel santuario del proprio cuore. Così, infatti, si diviene suoi tabernacoli ed ostensori ambulanti nella storia, in mezzo ai propri fratelli e sorelle che anelano alla giustizia e alla pace.

Il falso mito dell’eterna giovinezza e della super efficienza ci ha fatto dimenticare che il tempo passa, che noi invecchiamo, che siamo pellegrini su questa terra e abbiamo per meta il cielo. Il cielo non è l’antitesi della terra, ma il luogo dove sono custodite le promesse di Dio che fioriscono sulla terra e spandono in ogni tempo fragranze di benedizioni.  

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