no nuke
24 Febbraio 2010 Share

no nuke

Quello che è accaduto in Molise nell’ultima settimana di settembre ha dell’incredibile. Tutte le diocesi molisane, CGIL, Libera, Confcooperative, Fondazione Lorenzo Milani, associazioni, cooperative, rete degli studenti, insieme per quella che si preannuncia la prossima vertenza sociale nazionale: il nucleare civile. All’indomani della notizia apparsa su Avvenire e Manifesto (22 settembre), dei ricorsi alla consulta di alcune regioni italiane, per incostituzionalità delle legge 99/2009 che considera la materia “localizzazione siti nucleari” di esclusiva competenza statale, in contrasto con quanto stabilito dall’art.117 della Costituzione che statuisce la materia “produzione, trasporto e distribuzione  nazionale dell’energia” di legislazione concorrente Stato-Regioni, le diocesi  lanciano un appello contro il nucleare nel Molise: la regione esca dal silenzio e si svegli.

Il comunicato della diocesi di Campobasso riporta: “Le diocesi molisane, la CGIL e numerose associazioni di cittadini, nonché alcuni giornali periodici hanno firmato un appello che denuncia l’indifferenza e il silenzio della Regione Molise di fronte alla minaccia di un insediamento nucleare nel nostro territorio, che potrebbe essere deciso dal governo nazionale anche senza consultare le popolazioni interessate, data la “militarizzazione” della procedura d’insediamento degli impianti. Il Molise – sollecitato da Legambiente, Greenpeace e WWF come ogni altra regione – tace. Silenzio ancor più grave alla luce (anzi, all’ombra) della decisione di cancellare le norme che pongono limiti alla proliferazione indiscriminata e selvaggia dell’eolico”. L’appello auspica quindi, dalla regione Molise, “maggiore impegno in benefici per la diffusione delle energie rinnovabili che salvaguardino il creato e le future generazioni”. L’appello – che contiene anche alcune domande dirette ed esplicite alla Regione Molise – si conclude così “Il Molise è, di fatto, terra di conquista senza diritto né di parola né di difesa della propria terra, del proprio ambiente e del proprio futuro! Attendiamo risposte chiare circa le posizioni assunte e assumibili dal governo regionale, non a parole, ma in atti politici, legali e amministrativi miranti solo ad una giusta e doverosa tutela delle genti e del territorio Molisano”.

L’appello scatena i quotidiani locali che titolano “I vescovi all’attacco delle regioni” ed il preannunciato consiglio regionale previsto per il 1 ottobre viene anticipato in seduta straordinaria e monotematica sul nucleare. Alla fine, anche contro il parere del presidente Iorio (Pdl), il consiglio vota il sì al ricorso. È un risultato senza precedenti che va ascritto a quanti hanno lanciato appelli e presentato proposte, ma è anche il risultato di una società civile (diocesi ed associazioni) che hanno saputo riattivare e quasi obbligare i consiglieri regionali ad esporsi. Ma il presidente Iorio, incredibile ma vero, non presenta il ricorso. Da che parte sta il presidente della regione? Non ascolta il suo popolo? Non ascolta il consiglio regionale? Può permettersi di fare ciò che vuole nella regione in cui risulta eletto il deputato Silvio Berlusconi? In un comunicato stampa del 2 ottobre la pastorale sociale della diocesi di Termoli, Il ponte, La Fonte, la Fondazione Milani, Libera e il forum dei movimenti sociali molisani, nato dal contro vertice del G8 di Bonefro, spiega che la scelta del consiglio regionale è un risultato strepitoso, soprattutto e nonostante la contrarietà del presidente Iorio, ma che lo stesso si permette di non ottemperare. Inoltre si fa notare che non basta dire no nel Molise, occorre dire no all’errore nucleare.

Resta un fatto storico. La chiesa locale, promotrice e parte integrante della società civile, ha aperto una vertenza nucleare ponendo una importante questione di metodo: può lo Stato decidere da solo quali potranno essere i siti delle centrali nucleari senza ascoltare la popolazione locale? Ma perché la chiesa si permette di esprimersi così chiaramente? Cosa dice il magistero in proposito ovvero il compendio della dottrina sociale della chiesa? Laddove c’è l’esigenza di prendere decisioni difficili in condizioni di incertezza scientifica e in presenza di rischi occorre applicare il “principio di precauzione”. Esso non viene presentato “come una regola da applicare”, ma come “un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza”: ogni decisione deve essere presa in modo per quanto possibile trasparente e deve essere provvisoria e modificabile in base  a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte”. Si tratta, cioè, di un’istanza cautelativa, che si affianca peraltro anche all’esigenza di “promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite”. Un particolare impegno della ricerca scientifica viene poi auspicato in relazione alle risorse energetiche: occorrerà continuare ad “identificare nuove fonti energetiche” ed a “sviluppare quelle alternative”; per quanto riguarda l’energia nucleare, invece, si sottolinea soprattutto l’esigenza di “elevare i livelli di sicurezza” (470). Quindi, nel dubbio applicare il principio di precauzione: equità, solidarietà intergenerazionale, processi decisionali trasparenti (c’è già stato il referendum con la schiacciante vittoria del no al nucleare), porre le risorse energetiche al servizio di tutta l’umanità e soprattutto le decisioni devono avere il carattere della modificabilità, in base a nuove conoscenze, e provvisorietà, ovvero tutto quello che queste centrali non sono.

Considero questa posizione strategica perché non entra solo nel merito (produrre energia deve essere sicuro ed al servizio di tutti), ma nel metodo (ascoltare la popolazione). Ricordo che l’esperienza della turbogas di Termoli (CB) si inceppò proprio perché le tesi scientifiche erano contrastanti. Occorre informare perché il nucleare se lo conosci lo eviti (come efficacemente ricorda Marco Bersani nel suo ultimo libro – edizioni Alegre), ma occorre non insistere con la sola finalità di sconfiggere la tesi opposta perché si incontrerà sempre una comunità scientifica a favore, che infondendo il dubbio nell’opinione pubblica, confuterà le tesi No Nuke.

Le regioni  che hanno impugnato di fronte alla Corte Costituzionale la Legge 99/2009 sono state undici: Calabria, Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Umbria, Puglia, Campania e Basilicata. Ora che undici Regioni, ovvero il 56 per cento del territorio italiano, hanno detto formalmente “no” al nucleare, il nostro governo ha una sola scelta: fare marcia indietro pena un probabile nuovo scontro con la consulta! Le sentinelle stanno crescendo. ☺

adelellis@virgilio.it

eoc

eoc