non basta il trucco di Giovanni Di Stasi | La Fonte TV
Il 27 dicembre del 1963 il Parlamento italiano approvò la Legge Costituzionale n. 3 che inseriva il Molise nell'elenco delle regioni italiane a statuto ordinario.
Sono passati 50 anni dalla nascita della nostra regione e son pochi coloro che sentono il bisogno di festeggiare la ricorrenza. In questi mesi alcuni convegni hanno tentato di ripercorrere le vicende politiche, sociali ed economiche del Molise e ci si prepara alla celebrazione finale. La mia sensazione è quella di assistere ad eventi che hanno il carattere formale e sostanziale di atti dovuti che non svegliano la passione e non impegnano fino in fondo neppure la mente. Si potrebbe obiettare, non senza ragione, che questo è uno stato d'animo molto diffuso al momento in Italia e in Europa, ma possiamo affermare che da noi le cose vanno peggio che altrove.
Volendo citare un dato assai recente e assai significativo si può ricorrere all'ultimo rapporto Svimez secondo il quale il Molise ha perso, negli ultimi 5 anni, il 14% del suo prodotto interno lordo. L'enorme balzo all'indietro certificato da Svimez descrive meglio di mille parole la portata della crisi produttiva, del dramma occupazionale in atto e dell'aumento esponenziale della povertà. A chi soffre nel vivo della propria carne le conseguenze di una tale situazione bisogna dimostrare di conoscere i problemi nei quali siamo sommersi e di saper indicare una strada per superarli.
In un recente convegno che si è tenuto a Termoli, mi sono permesso di sottolineare come, dal punto di vista dello sviluppo socio-economico, il Molise abbia sempre presentato tutti i tratti tipici del mezzogiorno d'Italia e, sebbene negli ultimi decenni del secolo scorso abbia provato ad agganciare la crescita che, partendo dal nord, si andava affermando lungo la dorsale adriatica, è riuscito solo in parte nel suo tentativo. I dati odierni relativi all'andamento fortemente negativo della crescita, alla dotazione infrastrutturale, alla qualità dei servizi pubblici, alla disoccupazione, alle crisi aziendali e ai livelli di povertà ci dicono che, in realtà, è il mezzogiorno d'Italia che sta riagganciando il Molise.
Questo infausto esito è certamente influenzato dalla drammatica crisi globale, europea e nazionale in atto, ma nasce da ragioni endogene che non è il caso di sottovalutare. Prima tra tutte la scarsa attenzione riservata da tutte le classi dirigenti molisane alla necessità di favorire la creazione di un sistema economico strutturato e radicato sul territorio. Procedendo con la schematicità che la circostanza impone, dobbiamo riconoscere che lo sforzo fatto per favorire l'insediamento nel Molise di stabilimenti appartenenti a grandi realtà industriali nazionali ed internazionali ha dato frutti importanti. Con altrettanta onestà dobbiamo però dire che oggi su quegli stabilimenti incombono le incognite derivanti sia dai riassetti societari di imprese come la Fiat, che ha portato molto lontano le sue sedi decisionali, sia la scarsa interazione di quegli stabilimenti con il tessuto produttivo locale. D'altro canto, significative attività industriali del settore agroalimentare e dell'abbigliamento più legate al territorio erano riuscite a raggiungere dimensioni rilevanti, ma la crisi le sta mettendo a dura prova. Alcune di queste vedono la partecipazione della Regione ed hanno assorbito negli anni ingenti risorse pubbliche il cui flusso va interrotto. Resta in piedi un tessuto produttivo agricolo, artigianale e turistico che presenta tratti di grande vivacità accanto ad ampie zone di sofferenza. Ed è questo il campo in cui è non solo possibile ma necessario ed urgente intervenire per far ripartire il Molise su basi solide.
Il traguardo dei cinquanta anni della Regione Molise potrebbe essere una buona occasione per affrontare questi temi con una riflessione corale sul da farsi. Si tratta di decidere se coglierla puntando decisamente sulla democrazia partecipativa per promuovere uno sviluppo sostenibile del territorio. È ora di smetterla con i progetti opachi calati dall'alto e mettere in campo uno sforzo comune per varare iniziative imprenditoriali ancorate al territorio e alla sua cultura materiale e immateriale. Per dare l'esempio abbiamo proposto un contratto di sviluppo denominato “Clean Economy Molise”.
Un progetto che nasce dalla piena consapevolezza del fatto che il Molise sarà sempre più interconnesso con la realtà europea e globale. Per questo la nostra regione dovrà prendere l'abitudine di ispirarsi, nel progettare il suo futuro civile ed economico, alle sfide fondamentali di “Horizon 2020” che parlano di: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’ alimentazione, agricoltura sostenibile e bio-economia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, “verdi” e integrati; azioni climatiche ed efficienza delle risorse (incluse le materie prime). ☺
giovanni.distasi@gmail.com
Il 27 dicembre del 1963 il Parlamento italiano approvò la Legge Costituzionale n. 3 che inseriva il Molise nell'elenco delle regioni italiane a statuto ordinario.
Sono passati 50 anni dalla nascita della nostra regione e son pochi coloro che sentono il bisogno di festeggiare la ricorrenza. In questi mesi alcuni convegni hanno tentato di ripercorrere le vicende politiche, sociali ed economiche del Molise e ci si prepara alla celebrazione finale. La mia sensazione è quella di assistere ad eventi che hanno il carattere formale e sostanziale di atti dovuti che non svegliano la passione e non impegnano fino in fondo neppure la mente. Si potrebbe obiettare, non senza ragione, che questo è uno stato d'animo molto diffuso al momento in Italia e in Europa, ma possiamo affermare che da noi le cose vanno peggio che altrove.
Volendo citare un dato assai recente e assai significativo si può ricorrere all'ultimo rapporto Svimez secondo il quale il Molise ha perso, negli ultimi 5 anni, il 14% del suo prodotto interno lordo. L'enorme balzo all'indietro certificato da Svimez descrive meglio di mille parole la portata della crisi produttiva, del dramma occupazionale in atto e dell'aumento esponenziale della povertà. A chi soffre nel vivo della propria carne le conseguenze di una tale situazione bisogna dimostrare di conoscere i problemi nei quali siamo sommersi e di saper indicare una strada per superarli.
In un recente convegno che si è tenuto a Termoli, mi sono permesso di sottolineare come, dal punto di vista dello sviluppo socio-economico, il Molise abbia sempre presentato tutti i tratti tipici del mezzogiorno d'Italia e, sebbene negli ultimi decenni del secolo scorso abbia provato ad agganciare la crescita che, partendo dal nord, si andava affermando lungo la dorsale adriatica, è riuscito solo in parte nel suo tentativo. I dati odierni relativi all'andamento fortemente negativo della crescita, alla dotazione infrastrutturale, alla qualità dei servizi pubblici, alla disoccupazione, alle crisi aziendali e ai livelli di povertà ci dicono che, in realtà, è il mezzogiorno d'Italia che sta riagganciando il Molise.
Questo infausto esito è certamente influenzato dalla drammatica crisi globale, europea e nazionale in atto, ma nasce da ragioni endogene che non è il caso di sottovalutare. Prima tra tutte la scarsa attenzione riservata da tutte le classi dirigenti molisane alla necessità di favorire la creazione di un sistema economico strutturato e radicato sul territorio. Procedendo con la schematicità che la circostanza impone, dobbiamo riconoscere che lo sforzo fatto per favorire l'insediamento nel Molise di stabilimenti appartenenti a grandi realtà industriali nazionali ed internazionali ha dato frutti importanti. Con altrettanta onestà dobbiamo però dire che oggi su quegli stabilimenti incombono le incognite derivanti sia dai riassetti societari di imprese come la Fiat, che ha portato molto lontano le sue sedi decisionali, sia la scarsa interazione di quegli stabilimenti con il tessuto produttivo locale. D'altro canto, significative attività industriali del settore agroalimentare e dell'abbigliamento più legate al territorio erano riuscite a raggiungere dimensioni rilevanti, ma la crisi le sta mettendo a dura prova. Alcune di queste vedono la partecipazione della Regione ed hanno assorbito negli anni ingenti risorse pubbliche il cui flusso va interrotto. Resta in piedi un tessuto produttivo agricolo, artigianale e turistico che presenta tratti di grande vivacità accanto ad ampie zone di sofferenza. Ed è questo il campo in cui è non solo possibile ma necessario ed urgente intervenire per far ripartire il Molise su basi solide.
Il traguardo dei cinquanta anni della Regione Molise potrebbe essere una buona occasione per affrontare questi temi con una riflessione corale sul da farsi. Si tratta di decidere se coglierla puntando decisamente sulla democrazia partecipativa per promuovere uno sviluppo sostenibile del territorio. È ora di smetterla con i progetti opachi calati dall'alto e mettere in campo uno sforzo comune per varare iniziative imprenditoriali ancorate al territorio e alla sua cultura materiale e immateriale. Per dare l'esempio abbiamo proposto un contratto di sviluppo denominato “Clean Economy Molise”.
Un progetto che nasce dalla piena consapevolezza del fatto che il Molise sarà sempre più interconnesso con la realtà europea e globale. Per questo la nostra regione dovrà prendere l'abitudine di ispirarsi, nel progettare il suo futuro civile ed economico, alle sfide fondamentali di “Horizon 2020” che parlano di: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’ alimentazione, agricoltura sostenibile e bio-economia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, “verdi” e integrati; azioni climatiche ed efficienza delle risorse (incluse le materie prime). ☺
giovanni.distasi@gmail.com
Il 27 dicembre del 1963 il Parlamento italiano approvò la Legge Costituzionale n. 3 che inseriva il Molise nell'elenco delle regioni italiane a statuto ordinario.
Sono passati 50 anni dalla nascita della nostra regione e son pochi coloro che sentono il bisogno di festeggiare la ricorrenza. In questi mesi alcuni convegni hanno tentato di ripercorrere le vicende politiche, sociali ed economiche del Molise e ci si prepara alla celebrazione finale. La mia sensazione è quella di assistere ad eventi che hanno il carattere formale e sostanziale di atti dovuti che non svegliano la passione e non impegnano fino in fondo neppure la mente. Si potrebbe obiettare, non senza ragione, che questo è uno stato d'animo molto diffuso al momento in Italia e in Europa, ma possiamo affermare che da noi le cose vanno peggio che altrove.
Volendo citare un dato assai recente e assai significativo si può ricorrere all'ultimo rapporto Svimez secondo il quale il Molise ha perso, negli ultimi 5 anni, il 14% del suo prodotto interno lordo. L'enorme balzo all'indietro certificato da Svimez descrive meglio di mille parole la portata della crisi produttiva, del dramma occupazionale in atto e dell'aumento esponenziale della povertà. A chi soffre nel vivo della propria carne le conseguenze di una tale situazione bisogna dimostrare di conoscere i problemi nei quali siamo sommersi e di saper indicare una strada per superarli.
In un recente convegno che si è tenuto a Termoli, mi sono permesso di sottolineare come, dal punto di vista dello sviluppo socio-economico, il Molise abbia sempre presentato tutti i tratti tipici del mezzogiorno d'Italia e, sebbene negli ultimi decenni del secolo scorso abbia provato ad agganciare la crescita che, partendo dal nord, si andava affermando lungo la dorsale adriatica, è riuscito solo in parte nel suo tentativo. I dati odierni relativi all'andamento fortemente negativo della crescita, alla dotazione infrastrutturale, alla qualità dei servizi pubblici, alla disoccupazione, alle crisi aziendali e ai livelli di povertà ci dicono che, in realtà, è il mezzogiorno d'Italia che sta riagganciando il Molise.
Questo infausto esito è certamente influenzato dalla drammatica crisi globale, europea e nazionale in atto, ma nasce da ragioni endogene che non è il caso di sottovalutare. Prima tra tutte la scarsa attenzione riservata da tutte le classi dirigenti molisane alla necessità di favorire la creazione di un sistema economico strutturato e radicato sul territorio. Procedendo con la schematicità che la circostanza impone, dobbiamo riconoscere che lo sforzo fatto per favorire l'insediamento nel Molise di stabilimenti appartenenti a grandi realtà industriali nazionali ed internazionali ha dato frutti importanti. Con altrettanta onestà dobbiamo però dire che oggi su quegli stabilimenti incombono le incognite derivanti sia dai riassetti societari di imprese come la Fiat, che ha portato molto lontano le sue sedi decisionali, sia la scarsa interazione di quegli stabilimenti con il tessuto produttivo locale. D'altro canto, significative attività industriali del settore agroalimentare e dell'abbigliamento più legate al territorio erano riuscite a raggiungere dimensioni rilevanti, ma la crisi le sta mettendo a dura prova. Alcune di queste vedono la partecipazione della Regione ed hanno assorbito negli anni ingenti risorse pubbliche il cui flusso va interrotto. Resta in piedi un tessuto produttivo agricolo, artigianale e turistico che presenta tratti di grande vivacità accanto ad ampie zone di sofferenza. Ed è questo il campo in cui è non solo possibile ma necessario ed urgente intervenire per far ripartire il Molise su basi solide.
Il traguardo dei cinquanta anni della Regione Molise potrebbe essere una buona occasione per affrontare questi temi con una riflessione corale sul da farsi. Si tratta di decidere se coglierla puntando decisamente sulla democrazia partecipativa per promuovere uno sviluppo sostenibile del territorio. È ora di smetterla con i progetti opachi calati dall'alto e mettere in campo uno sforzo comune per varare iniziative imprenditoriali ancorate al territorio e alla sua cultura materiale e immateriale. Per dare l'esempio abbiamo proposto un contratto di sviluppo denominato “Clean Economy Molise”.
Un progetto che nasce dalla piena consapevolezza del fatto che il Molise sarà sempre più interconnesso con la realtà europea e globale. Per questo la nostra regione dovrà prendere l'abitudine di ispirarsi, nel progettare il suo futuro civile ed economico, alle sfide fondamentali di “Horizon 2020” che parlano di: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’ alimentazione, agricoltura sostenibile e bio-economia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, “verdi” e integrati; azioni climatiche ed efficienza delle risorse (incluse le materie prime). ☺
giovanni.distasi@gmail.com
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