Sarà questo cielo argenteo, questa luce scialba d’autunno inoltrato o il ciliegio che inesorabilmente si sfoglia sotto ai miei occhi a farmi tornare in mente i versi: “Piove e la notte è cupa Qoèlet…”, me li ripetevo nelle notti insonni mentre, da dietro ai vetri, guardavo il livido baluginio di un lampione in attesa di un’altra chiamata. “Amico della verità suprema,/ io lo so perché non ti sei ucciso,/ vano era anche morire…”.
O Qoelèt, figlio di re, enigmatico, controverso e bruciante, davanti a questo letto dove agonizza il mio amore, dove misuro distanze e vicinanze e scandaglio l’esperienza del dolore, penso con te che il senso profondo di tutte le cose sia il nulla: vita e gioia, dolore e morte, una fame di vento; e fatico a capire Dio. Dov’è Jahwe? Non compare mai nel tuo testo il tetragramma di fuoco. Anch’io lo sento assente, lontanissima sponda e faccio mio l’incipit che ritorna incalzante, ossessivo nel tuo dire, che sfonda ogni certezza, distrugge ogni speranza e dispera ogni sapienza: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Ma non voglio cedere al tuo Nulla. Così è sotto il sole. Ma oltre? O Qoèlet!…
Magdala
Sarà questo cielo argenteo, questa luce scialba d’autunno inoltrato o il ciliegio che inesorabilmente si sfoglia sotto ai miei occhi a farmi tornare in mente i versi: “Piove e la notte è cupa Qoèlet…”, me li ripetevo nelle notti insonni mentre, da dietro ai vetri, guardavo il livido baluginio di un lampione in attesa di un’altra chiamata. “Amico della verità suprema,/ io lo so perché non ti sei ucciso,/ vano era anche morire…”.
O Qoelèt, figlio di re, enigmatico, controverso e bruciante, davanti a questo letto dove agonizza il mio amore, dove misuro distanze e vicinanze e scandaglio l’esperienza del dolore, penso con te che il senso profondo di tutte le cose sia il nulla: vita e gioia, dolore e morte, una fame di vento; e fatico a capire Dio. Dov’è Jahwe? Non compare mai nel tuo testo il tetragramma di fuoco. Anch’io lo sento assente, lontanissima sponda e faccio mio l’incipit che ritorna incalzante, ossessivo nel tuo dire, che sfonda ogni certezza, distrugge ogni speranza e dispera ogni sapienza: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Ma non voglio cedere al tuo Nulla. Così è sotto il sole. Ma oltre? O Qoèlet!…
Sarà questo cielo argenteo, questa luce scialba d’autunno inoltrato o il ciliegio che inesorabilmente si sfoglia sotto ai miei occhi a farmi tornare in mente i versi: “Piove e la notte è cupa Qoèlet…”, me li ripetevo nelle notti insonni mentre, da dietro ai vetri, guardavo il livido baluginio di un lampione in attesa di un’altra chiamata. “Amico della verità suprema,/ io lo so perché non ti sei ucciso,/ vano era anche morire…”.
O Qoelèt, figlio di re, enigmatico, controverso e bruciante, davanti a questo letto dove agonizza il mio amore, dove misuro distanze e vicinanze e scandaglio l’esperienza del dolore, penso con te che il senso profondo di tutte le cose sia il nulla: vita e gioia, dolore e morte, una fame di vento; e fatico a capire Dio. Dov’è Jahwe? Non compare mai nel tuo testo il tetragramma di fuoco. Anch’io lo sento assente, lontanissima sponda e faccio mio l’incipit che ritorna incalzante, ossessivo nel tuo dire, che sfonda ogni certezza, distrugge ogni speranza e dispera ogni sapienza: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Ma non voglio cedere al tuo Nulla. Così è sotto il sole. Ma oltre? O Qoèlet!…
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