Oligarchia e democrazia
3 Dicembre 2014 Share

Oligarchia e democrazia

Anni fa, quando da un pezzo avevo dato inizio alla mia attività di docente, ho letto un testo di storia – L’Italia,oggi – di King e Okey, che sviluppava la tesi secondo la quale – già all’inizio del XX secolo – uno dei fattori non secondari del degrado della democrazia in Italia era il decadimento dei partiti politici. Queste organizzazioni, dicevano i due autori, avevano abdicato ai progetti di cambiamento della società, tese, com’erano, a conseguire privilegi, a occupare cariche pubbliche, chiudendosi in una torre d’avorio e non riuscendo più a capire quanto scaturisse dalla società civile.

Il testo L’Italia, oggi descriveva accadimenti dei primissimi anni del  Novecento, tracciando un quadro dell’Italia liberale, quella dei galantuomini e dei notabili, dell’assenza del suffragio universale, della condizione delle donne che non avevano alcun diritto politico e erano succube della cultura maschilista. Di conseguenza, i due autori delineavano una Italia completamente differente da quella di oggi. Tuttavia, proprio per questa ragione, fa un certo effetto pensare all’attuale situazione politica italiana (simile per molti versi anche a quella di altri paesi della UE), nella quale la corruzione riguarda non solo il ceto economico/finanziario e la classe politica e dirigente  (la cosiddetta Casta), ma anche  l’intero tessuto sociale nel quale si sono dissolti quei principi di etica laica che debbono contraddistinguere una società civile. Qui da noi la “massa grigia” – cioè una percentuale consistente della società civile – è complice della degradazione etica con il suo silenzio e con il suo far finta di non vedere né di sentire… I partiti non esistono quasi più e al loro posto ci sono “capipopolo” o leader di modesto spessore culturale, che, come quelli del primo Novecento italiano, pensano solo al proprio successo personale, ad occupare posti di prestigio, a nascondere la loro inconsistenza culturale e civile col chiacchiericcio indigesto ai più e con il loro fare le “ammuine”, come a Napoli suole dirsi. Il giovane presidente del consiglio ne è una riprova esemplare e poco originale (rispetto a chi lo ha preceduto, come l’unto del Signore).

Sembra che il tempo non sia  trascorso, ma non è così, perché il XX secolo è stato pieno di terribili tragedie che hanno provocato morte e  distruzione, alimentando odio e laceranti divisioni fra il Nord e il Sud  del mondo e tra le diverse visioni ideologiche. Dalla lotta al fascismo, dalla promulgazione della Carta Costituzionale nel 1948 ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti e purtroppo stiamo assistendo, non sempre coscientemente, alla deriva della democrazia. Quali le cause? Sono molteplici, ma per rimanere nel solco di una ragionevole sintesi ne accenniamo solo qualcuna.  Da un lato si è affermata in Italia una oligarchia, frutto e conseguenza dell’affermazione dell’idea neoliberista che considera il denaro non un mezzo ma un fine (il denaro produce denaro e non più lavoro, benessere, salvaguardia delle persone e dell’ambiente). In effetti, l’oscuro oggetto del desiderio del ceto oligarchico è costituito dal denaro e dal potere che ne consegue. Il denaro alimenta il potere, questo apre la strada al denaro; l’uno accresce l’altro in una spirale che schiaccia tutti gli altri segmenti sociali. Nelle mani del ceto oligarchico la politica non è più lo strumento per rovesciare i rapporti di classe, per promuovere la cultura, per fare riforme condivise, come all’epoca della scrittura della Carta Costituzionale.

È proprio  dell’oligarchia far soggiacere la politica  all’accrescimento del successo castale e all’apertura di baratri sociali sempre più profondi e divaricanti fra le classi sociali della nostra comunità nazionale. Soprattutto le fasce più deboli, il demos, il popolo, sono escluse dall’essere rappresentate nei vari Parlamenti e quindi verificano la totale assenza di democrazia. Infatti, la nostra società ha una legge elettorale maggioritaria, che esclude la parte più povera della popolazione, e questa non è una società democratica. L’oligarchia – la nostra classe politica – è collusa con le banche ed è condizionata dalla finanza internazionale.

Da un altro lato, l’Italia (ma anche il resto dei paesi che compongono la UE) ha perso la sua autonomia nazionale, cedendo alle lusinghe di una Unione Europea che dal mercato e dalla finanza ha sempre sostenuto di voler modificare il suo percorso in uno democratico, autenticamente partecipato dalla società civile nelle sue forme organizzative.

Ma non è stato così né è così oggi, come stanno a dimostrare con amarezza le politiche di austerità, il pareggio di bilancio, la spending review, l’evasione fiscale diffusa, la burocratizzazione filistea dell’amministrazione, l’inefficienza dell’apparato giudiziario anche determinata dalla promulgazione di leggi chiaramente incostituzionali quali quelle ad personam o ad nobilitatem collegiumque (cioè, la casta e le corporazioni di vario orientamento!). Inoltre, non dimentichiamo anche lo spreco delle risorse pubbliche, come pure non  dobbiamo  passare sotto silenzio il fatto che il lavoro è dato in pasto ad un mercato dove non ci sono norme certe, che così finiscono con lo schiavizzare  i lavoratori. Poi, emergono la frammentazione feudale del ceto politico, il disinteresse delittuoso e scellerato per la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente e del territorio, che si sta letteralmente sgretolando e distruggendo, come le cronache delle alluvioni di questi giorni testimoniano dalla Liguria alla Toscana e ad altre regioni d’Italia.

All’interno di questo quadro si è affermato quell’atteggiamento irrazionale e assurdo dell’essere tutti d’accordo sulle questioni fondamentali.  Ma questo atteggiamento nega non solo la funzione ma anche la presenza di ogni critica, per cui il conflitto delle idee, che è stato una conquista ed un punto di forza della democrazia,  viene visto come un  ostacolo per il manovratore, ieri Berlusconi e i professori tecnici (Monti, Fornero, Letta), oggi l’ex sindaco di Firenze, Renzi, elemento di spicco e punto di riferimento di ampi settori  dell’apparato finanziario ed economico italiano. Nello stesso tempo i meccanismi elettorali – il maggioritario e l’abolizione del proporzionale – indeboliscono la democrazia, emarginando oltre ogni misura il popolo, il demos, da cui è scaturita la parola democrazia.

Di qui, la democrazia non esiste più nel nostro paese, come pure non ha più consistenza nella UE. Che fare? Che ruolo e che funzione possono ancora svolgere gli intellettuali, ammesso che abbiano la volontà e la capacità di far sentire nuovamente (come è naturale che sia!) la propria voce?

Di questo vogliamo scrivere fin dalle prossime occasioni. ☺

 

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