Olimpiadi crocevia di pace?
15 Febbraio 2018
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Olimpiadi crocevia di pace?

Se la pace recherà le insegne dei cinque cerchi olimpici, i giochi invernali in terra coreana saranno ricordati a lungo nella memoria di ognuno di noi oltre che nelle pagine dei libri di storia delle scuole. Questo, nonostante i luoghi, i popoli e le vicende ci appaiano così distanti dalle nostre orbite giornaliere, non soltanto per la terzietà del continente europeo rispetto alla vicenda, ma anche per la nostra non diretta appartenenza all’area di criticità del possibile conflitto.

In queste righe, la summa di una contesa che sta mettendo in contrapposizione la penisola coreana all’America, la Corea del Nord agli Stati Uniti, Kim Jong-Un contro Trump, la cui recrudescenza di argomenti oltre che di idee concrete da parte di questi ultimi sta riscontrando un sensibile innalzamento dei toni.

In mezzo ai due contendenti, protagonisti consapevoli di una lotta impari in partenza, la piccola isola di Guam, i cui indigeni avrebbero fatto volentieri a meno di passare agli onori della cronaca quale obiettivo missilistico dichiarato dal regime di Pyongyang, da cui dista solo 3.400 km. Gli sventurati chamorro sono coinvolti inconsapevolmente nell’arbitrato a causa dello status di territorio non incorporato degli Stati Uniti d’America, pur se collocati in mezzo all’Oceano Pacifico e perciò molto più a tiro dalla Corea rispetto alle coste degli yankees.

Crocevia di questi scenari geopolitici saranno le Olimpiadi invernali che si terranno dal 9 febbraio nella contea di Pyeongchang, situata nella Corea del Sud, una manifestazione che si annuncia quale auspicio di dialogo vero in primis tra i cugini del Nord e del Sud e successivamente di un processo di normalizzazione dello stato guidato autoritariamente da Kim Jong-Un. Stati divisi idealmente e non solo da un parallelo, il 38°, che fu il crocevia di una guerra fratricida sanguinosa fra il regime di Kim Il-Sung, nonno dell’attuale dittatore e la Corea del Sud del presidente Syngman Rhee, appoggiato dagli Usa. Curiosità: il parallelo in questione attraversa anche il nostro paese lungo il Mar Jonio.

Il confine, teatro bellico tra il ’50 ed il ’53 nel secolo scorso, segnò il limite presso cui si arrestò lo scontro fratricida tra il Nord ed il Sud, ma che proseguì con battaglie di posizione e sanguinose perdite fino al giorno del precario Armistizio di Panmunjeon che stabilizzò la situazione. Ed è proprio il nome di questo borgo di poche anime che è tornato ad essere solo qualche giorno fa il punto di incontro tra le delegazioni di Seul e Pyongyang. Il villaggio rappresenta l’unico punto di contatto fra i due stati in quanto zona demilitarizzata del confine più armato del mondo con i suoi 248 km di lunghezza e quattro di larghezza di mine, torri di osservazione e barriere.

Le basi per l’incontro sono state create dalla proposta di Kim Jong-Un di inviare una delegazione olimpica ai prossimi giochi, ma la notizia è che con discreti margini di certezza gareggerà una squadra comune di pattinaggio artistico che unirebbe per la prima volta dopo più di mezzo secolo due realtà contrapposte, due modelli agli antipodi, due visioni separate, due blocchi, in quella che è una riedizione ad anni di distanza della cortina di ferro tra il blocco dei paesi del Patto Atlantico e quelli del Patto di Varsavia.

Il Sud, con Seul capitale, una metropoli dai tratti della conurbazione in stile nipponico, figlia dell’influenza americana del modello a stelle e strisce, con un prodotto interno lordo a doppia cifra ed un know-how che ne fa una Silicon Valley asiatica al pari di Mumbay. Il Nord, cha ha stoppato il tasto del progresso ai tempi della Guerra Fredda, con una capitale, Pyongyang, che rappresenta lo specchio di ciò che il paese non è: una finta ostentazione di un benessere confinato entro le poche miglia dei quartieri centrali, mentre il resto del paese vive un sottosviluppo figlio della chiusura da parte del dittatore a qualsiasi dialogo con l’estero.

Se il disgelo olimpico porterà i suoi frutti sarà lecito saperlo solo nei mesi a venire, ma una risposta in tempi celeri è attesa già nel breve, poiché una condizione alla riapertura del dialogo è stata esplicitamente chiesta da Seul nel ridiscutere del ricongiungimento delle famiglie spaccate in due dal confine stabilito al termine della guerra, una sorte che toccò a milioni di persone, molte delle quali morte senza poter riabbracciare i propri cari, che vivono nei ricordi dei vivi soltanto nelle vecchie foto ormai ingiallite.

La speranza è che questa sia la volta buona e che i tempi siano maturi affinché sport e diplomazia vadano a braccetto, evitando la rievocazione di dolorosi precedenti storici, tra cui il terribile attentato perpetrato dal Nord durante le Olimpiadi estive di Seul del 1988, quando venne lanciato un missile su un jet della Korean Airlines, causando oltre cento morti. Un episodio non dissimile, ma meno sanguinoso si verificò invece durante i mondiali di calcio organizzati in Corea del Sud e Giappone nel 2002, quando un attacco via mare uccise diversi marinai durante una partita della nazionale sudcoreana.

Su questa pace armata incombe l’incubo nucleare, ma se la speranza di distensione può passare anche attraverso dei momenti sportivi, si potrebbe immaginare una sorta di processo di autodeterminazione pacifico. Nel momento in cui i due contendenti giungono ad un dialogo positivo, l’auspicio è che non vi siano ingerenze terze provenienti da oltre oceano, che con toni fuori luogo ed azioni spropositate porterebbero alla rottura di questo sottile filo di speranza intessuto a Panmunjon. ☺

 

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