oltre la tradizione Francesco De Lellis | La Fonte TV
Secondo gli attivisti/teorici islamisti, una nuova economia morale può essere possibile solo in una società dove tali regole sono non soltanto imposte dall'alto, dalle leggi dello stato, ma interiorizzate attraverso il ritorno alla fede, rinnovata e rivitalizzata attraverso l'educazione e l'attivismo sociale. È per questo che pur non avendo mai avuto accesso al potere per decenni questi movimenti non si sono arresi ma hanno continuato un instancabile lavoro dal basso, sia fornendo servizi là dove il sistema di welfare statale non era più in grado di arrivare, sia portando avanti la loro battaglia sul piano culturale ed educativo.
Ma allora perché, se queste sono le premesse, gli islamisti giunti al potere, in Egitto in particolare, sono visti da chi ha animato quei giorni di piazza Tahrir, come traditori della rivoluzione? Perché, come spesso accade, con il passare del tempo, specialmente negli ultimi venti anni, i Fratelli Musulmani, o almeno i gruppi al vertice, si sono allontanati di molto dalle loro origini. È vero che rappresentano ancora la classe media impoverita dei dipendenti pubblici che non arrivano a fine mese, o gli studenti e i giovani che sanno che non riusciranno mai a trovare un lavoro adeguato alle loro qualifiche, ma è anche vero che molti dei leader più influenti sono oggi molto vicini a potenti circoli economici o sono essi stessi grandi uomini di affari, che spesso hanno beneficiato delle privatizzazioni dell'era Mubarak, acquisendo privilegi a cui non intendono affatto rinunciare. E questo causa non pochi malumori e dissensi all'interno del movimento stesso.
Probabilmente gli interessi più forti prevarranno all'interno del partito, e spetterà alle sinistre, per ora piuttosto frammentate e marginali, e ai movimenti sociali, il compito di riportare i temi dell'equità e della giustizia sull'agenda politica nazionale, contro un'élite che non ha alcun reale interesse a cambiare lo status quo. Tuttavia le idee degli intellettuali che, negli anni '80 soprattutto, hanno dato forma al pensiero economico islamista, dandogli contenuto nelle battaglie quotidiane contro il governo Mubarak, vanno attentamente studiate e prese in considerazione da chi (movimenti di tutto il mondo, anche religiosi) è alla ricerca di una piattaforma comune nella lotta per un'alternativa al sistema economico attuale. La distanza che separa le due sponde, dal punto di vista geografico, religioso, culturale, potrebbe rivelarsi sempre meno incolmabile, e i nostri vicini apparirci un po' alla volta sempre più vicini. ☺
Secondo gli attivisti/teorici islamisti, una nuova economia morale può essere possibile solo in una società dove tali regole sono non soltanto imposte dall'alto, dalle leggi dello stato, ma interiorizzate attraverso il ritorno alla fede, rinnovata e rivitalizzata attraverso l'educazione e l'attivismo sociale. È per questo che pur non avendo mai avuto accesso al potere per decenni questi movimenti non si sono arresi ma hanno continuato un instancabile lavoro dal basso, sia fornendo servizi là dove il sistema di welfare statale non era più in grado di arrivare, sia portando avanti la loro battaglia sul piano culturale ed educativo.
Ma allora perché, se queste sono le premesse, gli islamisti giunti al potere, in Egitto in particolare, sono visti da chi ha animato quei giorni di piazza Tahrir, come traditori della rivoluzione? Perché, come spesso accade, con il passare del tempo, specialmente negli ultimi venti anni, i Fratelli Musulmani, o almeno i gruppi al vertice, si sono allontanati di molto dalle loro origini. È vero che rappresentano ancora la classe media impoverita dei dipendenti pubblici che non arrivano a fine mese, o gli studenti e i giovani che sanno che non riusciranno mai a trovare un lavoro adeguato alle loro qualifiche, ma è anche vero che molti dei leader più influenti sono oggi molto vicini a potenti circoli economici o sono essi stessi grandi uomini di affari, che spesso hanno beneficiato delle privatizzazioni dell'era Mubarak, acquisendo privilegi a cui non intendono affatto rinunciare. E questo causa non pochi malumori e dissensi all'interno del movimento stesso.
Probabilmente gli interessi più forti prevarranno all'interno del partito, e spetterà alle sinistre, per ora piuttosto frammentate e marginali, e ai movimenti sociali, il compito di riportare i temi dell'equità e della giustizia sull'agenda politica nazionale, contro un'élite che non ha alcun reale interesse a cambiare lo status quo. Tuttavia le idee degli intellettuali che, negli anni '80 soprattutto, hanno dato forma al pensiero economico islamista, dandogli contenuto nelle battaglie quotidiane contro il governo Mubarak, vanno attentamente studiate e prese in considerazione da chi (movimenti di tutto il mondo, anche religiosi) è alla ricerca di una piattaforma comune nella lotta per un'alternativa al sistema economico attuale. La distanza che separa le due sponde, dal punto di vista geografico, religioso, culturale, potrebbe rivelarsi sempre meno incolmabile, e i nostri vicini apparirci un po' alla volta sempre più vicini. ☺
Secondo gli attivisti/teorici islamisti, una nuova economia morale può essere possibile solo in una società dove tali regole sono non soltanto imposte dall'alto, dalle leggi dello stato, ma interiorizzate attraverso il ritorno alla fede, rinnovata e rivitalizzata attraverso l'educazione e l'attivismo sociale. È per questo che pur non avendo mai avuto accesso al potere per decenni questi movimenti non si sono arresi ma hanno continuato un instancabile lavoro dal basso, sia fornendo servizi là dove il sistema di welfare statale non era più in grado di arrivare, sia portando avanti la loro battaglia sul piano culturale ed educativo.
Ma allora perché, se queste sono le premesse, gli islamisti giunti al potere, in Egitto in particolare, sono visti da chi ha animato quei giorni di piazza Tahrir, come traditori della rivoluzione? Perché, come spesso accade, con il passare del tempo, specialmente negli ultimi venti anni, i Fratelli Musulmani, o almeno i gruppi al vertice, si sono allontanati di molto dalle loro origini. È vero che rappresentano ancora la classe media impoverita dei dipendenti pubblici che non arrivano a fine mese, o gli studenti e i giovani che sanno che non riusciranno mai a trovare un lavoro adeguato alle loro qualifiche, ma è anche vero che molti dei leader più influenti sono oggi molto vicini a potenti circoli economici o sono essi stessi grandi uomini di affari, che spesso hanno beneficiato delle privatizzazioni dell'era Mubarak, acquisendo privilegi a cui non intendono affatto rinunciare. E questo causa non pochi malumori e dissensi all'interno del movimento stesso.
Probabilmente gli interessi più forti prevarranno all'interno del partito, e spetterà alle sinistre, per ora piuttosto frammentate e marginali, e ai movimenti sociali, il compito di riportare i temi dell'equità e della giustizia sull'agenda politica nazionale, contro un'élite che non ha alcun reale interesse a cambiare lo status quo. Tuttavia le idee degli intellettuali che, negli anni '80 soprattutto, hanno dato forma al pensiero economico islamista, dandogli contenuto nelle battaglie quotidiane contro il governo Mubarak, vanno attentamente studiate e prese in considerazione da chi (movimenti di tutto il mondo, anche religiosi) è alla ricerca di una piattaforma comune nella lotta per un'alternativa al sistema economico attuale. La distanza che separa le due sponde, dal punto di vista geografico, religioso, culturale, potrebbe rivelarsi sempre meno incolmabile, e i nostri vicini apparirci un po' alla volta sempre più vicini. ☺
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