Si respira da tempo un clima opprimente e soffocante in questa nostra Italia, che di giorno in giorno infesta la nostra vita e fornisce pessimi modelli relazionali alle nuove generazioni. TV e telegiornali ne costituiscono l’alimento quotidiano. E la politica ne fornisce lo spettacolo prevalente. Ma, grazie a qualcuno…, va germogliando una nuova flora discorsiva che speriamo possa tradursi in comportamenti concreti, a partire dalla cultura e dalle prassi applicate in campo economico.
Diamo spazio a questo secondo scenario. Del primo siamo ormai diffusamente saturi, per non dire intossicati e per questo, facendo comunità, decidiamo di andare oltre.
La speranza di un futuro diverso si alimenta con le testimonianze concrete che svolgano funzione di trascinamento.
Il più volte citato Aldo Bonomi, studioso di una società centrata sulla comunità e quindi su una nuova genesi di rapporti sociali, come osa fare abitualmente, utilizza un linguaggio che passa dalla denuncia alla proposta nel definire l’attualità storica come polarizzazione tra l’identità del rancore e l’identità del rapporto. E non esita ad applicare l’analisi dell’attuale panorama storico al campo dell’economia, per coglierne prospettive che diano segnali di futuro ai nostri giorni. Egli sostiene che la cultura del rancore trova il suo modello di comportamento nelle squadre che “non esitano a incendiare un campo rom per perimetrare i propri spazi vitali”; la cultura del rapporto, ancora quasi tutta da costruire, è quella che fa della relazione, del dialogo e della compartecipazione, il modello delle prassi da adottare.
In una recente intervista un altro autorevole esploratore di un mondo diverso da costruire, Stefano Zamagni, pone al centro di un modello di società futura vivibile il concetto di reciprocità: dare agli altri e accogliere in dono da loro il patrimonio di umanità che è presente in ambo le parti. Così si esprime il nostro testimone: “Il principio di reciprocità suona così: ti do (o faccio) qualcosa affinché tu possa a tua volta dare (o fare) qualcosa ad altri o a me”. Altro è il principio dello scambio: “ ti do (o faccio) qualcosa purché tu mi dia in cambio l’equivalente di valore”.
Viene da queste voci il richiamo più volte diffuso su la fonte: disporre il territorio al centro, per conservarne e valorizzarne le opportunità naturali e umane. Tra queste anche le risorse che gli istituti bancari che vi operano e con le quali le fondazioni devono costruire e consolidare un dialogo costante. Fornendo stimoli alla politica perché si apra al dialogo e rinunci alla logica e alle prassi di una programmazione e gestione che escludano i cittadini e l’universo di terzo settore come interlocutori permanenti.
Su questa linea merita di essere portato alla ribalta il “Progetto Policoro” da anni pietra di paragone solidamente installata dalla Caritas italiana nel meridione come un “progetto virtuoso, che parte dall’annuncio del Vangelo e culmina nella capacità di mettersi insieme per realizzare gesti concreti di solidarietà e rapporti di reciprocità”.
È su questa linea che si è svolto a Campobasso un corso di formazione per operatori di comunità nella scorso mese di maggio con lo scopo di dare corpo a iniziative operative che creino concrete opportunità di emancipazione del Sud Italia.
È questo il sentiero di sviluppo di una cultura civile e di impresa sociale che vada oltre il criterio di mercato che pone come unico parametro di riferimento dell’economia il PIL.
Adoperiamoci avviando azioni concrete che si fondino sui criteri più umanizzanti che fanno riferimento al capitale e alla responsabilità sociale, che ci rendano tutti corresponsabili del mondo che si va a costruire e che attivino le buone prassi; ne hanno urgente bisogno di testimonianza le giovani generazioni perché trovino concrete alternative ai fenomeni di bullismo su cui si alimenta una informazione diseducante che si guarda bene dal dare spazio e rilievo alle testimonianze di giovani e meno giovani che, anche in questa società, danno chiari segnali di impegno rivolto a fornire esempi concreti di solidarietà e di salvaguardia e valorizzazione del territorio.☺
le.leone@tiscali.it
Si respira da tempo un clima opprimente e soffocante in questa nostra Italia, che di giorno in giorno infesta la nostra vita e fornisce pessimi modelli relazionali alle nuove generazioni. TV e telegiornali ne costituiscono l’alimento quotidiano. E la politica ne fornisce lo spettacolo prevalente. Ma, grazie a qualcuno…, va germogliando una nuova flora discorsiva che speriamo possa tradursi in comportamenti concreti, a partire dalla cultura e dalle prassi applicate in campo economico.
Diamo spazio a questo secondo scenario. Del primo siamo ormai diffusamente saturi, per non dire intossicati e per questo, facendo comunità, decidiamo di andare oltre.
La speranza di un futuro diverso si alimenta con le testimonianze concrete che svolgano funzione di trascinamento.
Il più volte citato Aldo Bonomi, studioso di una società centrata sulla comunità e quindi su una nuova genesi di rapporti sociali, come osa fare abitualmente, utilizza un linguaggio che passa dalla denuncia alla proposta nel definire l’attualità storica come polarizzazione tra l’identità del rancore e l’identità del rapporto. E non esita ad applicare l’analisi dell’attuale panorama storico al campo dell’economia, per coglierne prospettive che diano segnali di futuro ai nostri giorni. Egli sostiene che la cultura del rancore trova il suo modello di comportamento nelle squadre che “non esitano a incendiare un campo rom per perimetrare i propri spazi vitali”; la cultura del rapporto, ancora quasi tutta da costruire, è quella che fa della relazione, del dialogo e della compartecipazione, il modello delle prassi da adottare.
In una recente intervista un altro autorevole esploratore di un mondo diverso da costruire, Stefano Zamagni, pone al centro di un modello di società futura vivibile il concetto di reciprocità: dare agli altri e accogliere in dono da loro il patrimonio di umanità che è presente in ambo le parti. Così si esprime il nostro testimone: “Il principio di reciprocità suona così: ti do (o faccio) qualcosa affinché tu possa a tua volta dare (o fare) qualcosa ad altri o a me”. Altro è il principio dello scambio: “ ti do (o faccio) qualcosa purché tu mi dia in cambio l’equivalente di valore”.
Viene da queste voci il richiamo più volte diffuso su la fonte: disporre il territorio al centro, per conservarne e valorizzarne le opportunità naturali e umane. Tra queste anche le risorse che gli istituti bancari che vi operano e con le quali le fondazioni devono costruire e consolidare un dialogo costante. Fornendo stimoli alla politica perché si apra al dialogo e rinunci alla logica e alle prassi di una programmazione e gestione che escludano i cittadini e l’universo di terzo settore come interlocutori permanenti.
Su questa linea merita di essere portato alla ribalta il “Progetto Policoro” da anni pietra di paragone solidamente installata dalla Caritas italiana nel meridione come un “progetto virtuoso, che parte dall’annuncio del Vangelo e culmina nella capacità di mettersi insieme per realizzare gesti concreti di solidarietà e rapporti di reciprocità”.
È su questa linea che si è svolto a Campobasso un corso di formazione per operatori di comunità nella scorso mese di maggio con lo scopo di dare corpo a iniziative operative che creino concrete opportunità di emancipazione del Sud Italia.
È questo il sentiero di sviluppo di una cultura civile e di impresa sociale che vada oltre il criterio di mercato che pone come unico parametro di riferimento dell’economia il PIL.
Adoperiamoci avviando azioni concrete che si fondino sui criteri più umanizzanti che fanno riferimento al capitale e alla responsabilità sociale, che ci rendano tutti corresponsabili del mondo che si va a costruire e che attivino le buone prassi; ne hanno urgente bisogno di testimonianza le giovani generazioni perché trovino concrete alternative ai fenomeni di bullismo su cui si alimenta una informazione diseducante che si guarda bene dal dare spazio e rilievo alle testimonianze di giovani e meno giovani che, anche in questa società, danno chiari segnali di impegno rivolto a fornire esempi concreti di solidarietà e di salvaguardia e valorizzazione del territorio.☺
Si respira da tempo un clima opprimente e soffocante in questa nostra Italia, che di giorno in giorno infesta la nostra vita e fornisce pessimi modelli relazionali alle nuove generazioni. TV e telegiornali ne costituiscono l’alimento quotidiano. E la politica ne fornisce lo spettacolo prevalente. Ma, grazie a qualcuno…, va germogliando una nuova flora discorsiva che speriamo possa tradursi in comportamenti concreti, a partire dalla cultura e dalle prassi applicate in campo economico.
Diamo spazio a questo secondo scenario. Del primo siamo ormai diffusamente saturi, per non dire intossicati e per questo, facendo comunità, decidiamo di andare oltre.
La speranza di un futuro diverso si alimenta con le testimonianze concrete che svolgano funzione di trascinamento.
Il più volte citato Aldo Bonomi, studioso di una società centrata sulla comunità e quindi su una nuova genesi di rapporti sociali, come osa fare abitualmente, utilizza un linguaggio che passa dalla denuncia alla proposta nel definire l’attualità storica come polarizzazione tra l’identità del rancore e l’identità del rapporto. E non esita ad applicare l’analisi dell’attuale panorama storico al campo dell’economia, per coglierne prospettive che diano segnali di futuro ai nostri giorni. Egli sostiene che la cultura del rancore trova il suo modello di comportamento nelle squadre che “non esitano a incendiare un campo rom per perimetrare i propri spazi vitali”; la cultura del rapporto, ancora quasi tutta da costruire, è quella che fa della relazione, del dialogo e della compartecipazione, il modello delle prassi da adottare.
In una recente intervista un altro autorevole esploratore di un mondo diverso da costruire, Stefano Zamagni, pone al centro di un modello di società futura vivibile il concetto di reciprocità: dare agli altri e accogliere in dono da loro il patrimonio di umanità che è presente in ambo le parti. Così si esprime il nostro testimone: “Il principio di reciprocità suona così: ti do (o faccio) qualcosa affinché tu possa a tua volta dare (o fare) qualcosa ad altri o a me”. Altro è il principio dello scambio: “ ti do (o faccio) qualcosa purché tu mi dia in cambio l’equivalente di valore”.
Viene da queste voci il richiamo più volte diffuso su la fonte: disporre il territorio al centro, per conservarne e valorizzarne le opportunità naturali e umane. Tra queste anche le risorse che gli istituti bancari che vi operano e con le quali le fondazioni devono costruire e consolidare un dialogo costante. Fornendo stimoli alla politica perché si apra al dialogo e rinunci alla logica e alle prassi di una programmazione e gestione che escludano i cittadini e l’universo di terzo settore come interlocutori permanenti.
Su questa linea merita di essere portato alla ribalta il “Progetto Policoro” da anni pietra di paragone solidamente installata dalla Caritas italiana nel meridione come un “progetto virtuoso, che parte dall’annuncio del Vangelo e culmina nella capacità di mettersi insieme per realizzare gesti concreti di solidarietà e rapporti di reciprocità”.
È su questa linea che si è svolto a Campobasso un corso di formazione per operatori di comunità nella scorso mese di maggio con lo scopo di dare corpo a iniziative operative che creino concrete opportunità di emancipazione del Sud Italia.
È questo il sentiero di sviluppo di una cultura civile e di impresa sociale che vada oltre il criterio di mercato che pone come unico parametro di riferimento dell’economia il PIL.
Adoperiamoci avviando azioni concrete che si fondino sui criteri più umanizzanti che fanno riferimento al capitale e alla responsabilità sociale, che ci rendano tutti corresponsabili del mondo che si va a costruire e che attivino le buone prassi; ne hanno urgente bisogno di testimonianza le giovani generazioni perché trovino concrete alternative ai fenomeni di bullismo su cui si alimenta una informazione diseducante che si guarda bene dal dare spazio e rilievo alle testimonianze di giovani e meno giovani che, anche in questa società, danno chiari segnali di impegno rivolto a fornire esempi concreti di solidarietà e di salvaguardia e valorizzazione del territorio.☺
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