omicidi del lavoro
14 Aprile 2010 Share

omicidi del lavoro

 

Figlio del precariato è certamente il fenomeno delle cd. “Morti Bianche”, cioè quei decessi che si verificano per causa imputabile allo svolgimento di una attività lavorativa. A partire dagli anni '60 si è adottato il termine “omicidi del lavoro”, per indicare con nettezza le responsabilità dirette dei sistemi di produzione delle economie industrializzate rispetto alle scarse condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, causa diretta di migliaia di morti che si verificano ogni anno nel mondo, specialmente nel settore edilizio, nelle miniere e nel settore siderurgico. Il fenomeno non è certo solo italiano, infatti in tutto il mondo si parla di circa 2 milioni di morti sul lavoro. L'Italia si è attestata a 1260 (nel 2007), risultando essere la nazione europea con la più alta incidenza del fenomeno (secondo rapporto sulla «tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inappliccate e diritti negati» a cura dell'ANMIL ). Inoltre, nonostante un trend in costante discesa, il nostro Paese  è sotto la media europea, che ha visto la diminuzione delle morti bianche del 29,41% a differenza del nostrano 25,49%. Non basta. Gli incidenti sul lavoro (non necessariamente mortali) nel mondo sono circa 270 milioni all'anno, di cui 700mila solo in Italia.

La recente tragedia di Mineo, poi, con i suoi 6 caduti l'11 giugno 2008, ha destato l'attenzione, nuovamente, sul fenomeno dopo le stragi di Molfetta, Castiglione in Teverina e Torino. Un'attenzione che alcune forze politiche hanno poco, essendo schierate, come sono, a difesa del “padrone” e che altre forze (“ma anche”) rischiano di dimenticare, dopo averle avute nel DNA per molti decenni. Come se l'apparente trionfo del capitalismo di matrice neo-conservatrice abbia fatto dimenticare l'esistenza di conflitti sociali, classi deboli, sfruttamenti (ogni anno muoiono 12.000 bambini nel mondo, una strage nella strage dimenticata), guerre per interesse e tutto quanto sia contrario ad un'etica sociale non esista più, magicamente curato dal “libero mercato” (bisogna anche vedere quanto libero, se si tiene presente che molti, moltissimi imprenditori, non ultimo l'ex presidente di Confindustria, ma anche l'ex patron di Parmalat, hanno fatto i capitalisti con i soldi nostri).

Così, mentre in Parlamento ci si lascia abbindolare, tranne rare e, per fortuna, molisane eccezioni, dal fachiro di Arcore e dal suo entourage, la gente, anziché viverci, col lavoro ci muore.

Una vergogna che a volte prescinde dalla natura, oggettivamente rischiosa, di alcuni lavori. Ad esempio 180,3 incidenti mortali nell'anno su 100.000 posti di lavoro si verificano tra i pescatori, categoria che è al secondo posto assoluto come tasso di mortalità (fonte wikipedia).

Una vergogna che è alimentata senza alcun dubbio dalla recrudescenza del precariato (evento al quale non è estraneo il centrosinistra con la “legge Treu”) eletto a sistema principe, almeno nei fatti, dalla “legge Maroni” (che con il tradizionale buon gusto l'allora Presidente del Consiglio ha attribuito a Marco Biagi, tanto per dare una patente di martirio ad una norma che andrebbe, invece, cassata nell'acido affinché non ne resti traccia alcuna nel nostro ordinamento).

Una vergogna alla quale non è immune l'impreparazione anche degli imprenditori, soprattutto quelli medio-piccoli (quelli, cioè, che lavorano sul serio vicino ai loro operai), che non a caso spesso muoiono insieme ai lavoratori, ai quali non hanno mai impartito nozioni sulla sicurezza in quanto, più volte, le hanno “colpevol- mente”, a loro volta, ignorate. Ovvio che, invece, il “grande” imprenditore questo rischio non lo correrà mai, stante l'immane distanza tra l'ufficio di un Amministratore Delegato ed un altoforno con gli estintori scarichi, e non si parla, chiaro, di distanze solo fisiche.

Ovviamente questo non esime i lavoratori dal pretendere (una sorta di diritto-dovere) che tutti gli accorgimenti necessari, affinché il rischio infortuni o morte sia ridotto o auspicabilmente azzerato, siano adottati e rispettati.

Altrettanto ovvio, però, deve essere il principio che sulla sicurezza non si risparmia (concetto che gli imprenditori a volte digeriscono con estrema difficoltà, quando lo digeriscono) così come non è logico lavorare con apparecchiature obsolete o in locali fatiscenti, o in condizioni di estremo rischio non ineliminabile. Sarebbe certamente un bel colpo di spugna sulle percentuali che vedono l'Italia leader in Europa in una delle graduatorie più squalificanti. Per maggiori informazioni è possibile anche consultare il sito www.mortibianche.it che contiene anche interessanti consigli in materia di Igiene e Sicurezza del Lavoro, Valutazione dei Rischi per la Salute e la Sicurezza, Riduzione dei Rischi, Programmazione e Prevenzione, Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza e tutto quanto attiene alla migliore applicazione possibile del D.Leg.vo 626/94.

Anche perché la vita è unica e non vale mai un posto di lavoro! ☺

marx73@virgilio.it 

 

 

 

 

 

 

eoc

eoc