verità e giustizia
17 Aprile 2010 Share

verità e giustizia

 

“Basta le guerre nel mondo! È il miglior modo di fare la rivoluzione”. Cosi terminava il suo intervento Hebe De Bonafini, l'attivista dei diritti umani e co-fondatrice dell'Associazione Madres de Plaza de Mayo, nel recente incontro tenutosi il 6 dicembre a Campobasso presso l'aula Magna del convitto “Mario Pagano”. Promosso dall'associazione “G. Tedeschi”- nata in memoria del missionario molisano barbaramente assassinato dalla dittatura argentina il 2 febbraio 1976 – l'evento ha ricordato ai cittadini molisani il dramma dei desaparecidos argentini e quello delle loro madri che, da trent'anni, lottano per conoscere la verità ed avere giustizia. In quella che fu definita la “guerra sucia” (ossia il regime di violenza indiscriminata, di persecuzioni, di repressioni illegali, di torture, di sparizioni forzate e di terrorismo di Stato che caratterizzò la dittatura militare argentina del Proceso de Reorganizaciòn Nacional tra il 1976 e il 1983) migliaia di donne, uomini, sacerdoti, sindacalisti, educatori, svanirono nel nulla.

Strappate alle faccende domestiche, le loro madri hanno trasformato il dolore in lotta. Una lotta generata dai figli scomparsi, per i quali non riconoscono la morte. Nelle parole di Hebe de Bonafini “Madri di tutti, senza sceglierne uno. Anche di quelle che non hanno combattuto, come la Santa Madre Chiesa che nonostante fossero stati fatti sparire 150 sacerdoti e 2 vescovi non ha detto niente contro la dittatura. Ci siamo fatti madri anche di questi figli”. Nel “martirio bianco” di una madre e nell'opera silenziosa del missionario molisano Padre Tedeschi può vedersi la “madre di tutte le madri” che, ovunque, sta con gli ultimi, con i poveri, con gli emarginati, con i condannati della terra e che, perseguitata, perde i propri figli in nome di Cristo. Per Don Silvio Piccoli, presente all'evento, è stato “il racconto della sofferenza, non in termini di disperazione ma con speranza”. Le Madres de Plaza de Mayo, continua il sacerdote, “hanno messo a nudo i potenti, mostrando il loro marciume”. Purtroppo, se da tren'anni lottano per la giustizia e per la verità, se gli assassini di quel terribile genocidio restano ancora impuniti, se in altri contesti migliaia di innocenti muoiono per mano di criminali, è segno che i potenti non sono ancora stati spogliati dai troni.

Recentemente hanno avuto luogo le elezioni presidenziali in Guatemala. Il Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchù, prima donna indigena a candidarsi in un paese a prevalenza indigena, non ha superato il primo turno. Attivista dei diritti umani e fondatrice del movimento Winaq (equilibrio e integrità in lingua quichè), alleato alle presidenziali con il partito di centrosinistra Encuentro por Guatemala, ha ottenuto solo il 3% dei voti. Contestualmente, una delle figure più controverse della storia guatemalteca, l'ex presidente Efrain Rios Montt, è stato eletto deputato nel partito del Fronte Repubblicano Guatemalteco. Conosciuto come “il generale” – ex dittatore guatemalteco che con il colpo di stato del 1982 spodestò Fernado Romeo Lucas Garcìa e si autoproclamò presidente – è accusato da diverse associazioni in difesa dei diritti umani di genocidio, di torture, di sparizioni forzate e terrorismo di stato nel periodo del suo governo. La giustizia spagnola vorrebbe processarlo per il genocidio maya ma in virtù della sua condizione di neo-parlamentare è probabile che godrà dell'immunità per i prossimi quattro anni, eludendo cosi l'azione penale. Le ferite di un conflitto armato durato 36 anni (1960-1996), che lasciò sul campo circa 200.000 vittime tra morti e deparecidos, nella maggioranza indigena, sono ancora aperte.

Qualcosa oggi sta cambiando nel continente latinoamericano e, in generale, nel mondo occidentale. Da poco è inizato il processo in Cile per violazione dei diritti umani contro l'ex presidente Alberto Fujimori. È un fatto storico perché, per la prima volta, un ex presidente è chiamato a difendersi di crimini, sequestri, torture nel suo paese e a sottoporsi al giudizio delle sue corti. Del resto, le esemplari condanne di ergastolo emesse dalla Corte di Assise di Roma (14 marzo 2007) verso gli ufficiali argentini che torturarono e uccisero, durante il regime dittatoriale del 1978, gli italo-argentini danno speranza e mostrano come sia necessario ricostruire la verità storica. Verità e giustizia devono ricercarsi affinchè siano di esempio per tutti. Spesso, come è accaduto in Guatemala, la disperazione si associa all'incoscienza di chi ha perso la memoria storica. In questa vive la cultura di un paese. Non nella intelligenza delle classe edotta, nè in quella della classe dominante. Nemmeno in quella della classe dominata, che facilmente dimentica. La cultura di un popolo è nella memoria storica, nella ricerca della verità e nell'affermazione della giustizia di quelle precedentemenmte citate e riconoscibili nella coscienza popolare di quanti credono che “un'altro mondo è possibile”.☺

pinobruno@yahoo.it

 

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