onesto e coerente
18 Aprile 2010 Share

onesto e coerente

 

Una delle questioni più acute che si pongono nella società liquida, come la definiscono i moderni esperti di sociologia, è quella degli esempi concreti di vita vissuta, di scelte praticate e di comportamenti, umani e politici, onesti e coerenti. Basta soffermarsi su alcune presenze alla manifestazione di Roma in favore della famiglia, per scorgere l’incoerenza che assurge a stile di vita. Ormai non si avverte più quel minimo senso di vergogna che dovrebbe indurre esponenti politici di primo piano che sono alla seconda o alla terza famiglia di non vestire i panni di Giovanna D’Arco a tutela della santità del vincolo matrimoniale come recita Papa Ratzinger.

Per queste ragioni ritengo utile proporre alla conoscenza dei più giovani l’esempio di un uomo semplice che ci ha lasciato da poco. Una persona normale che ha saputo attraversare l’esistenza terrena in modo nitido, con i propri ideali, senza chinare la testa ma scontandone le conseguenze con linearità e compostezza. Giuseppe Di Maria, perse il padre in un infortunio sul lavoro, negli anni del fascismo quando non prestare cure adeguate ad un uomo ferito non contemplava colpe, specie se a portarne anche moralmente il peso erano gli esponenti più potenti del luogo. Fin da giovane si distinse per l’impegno politico militante e fu tra i primi a prendere la tessera del Partito Comunista già nel 1944. Organizzò insieme ad altri la sezione e la Camera del Lavoro nel suo comune a Gambatesa. A fianco dei braccianti e dei piccoli contadini che si scontravano con i proprietari terrieri. Con gli operai dell’edilizia. A servizio di chi rimaneva indietro, di chi aveva problemi e dei tanti che subivano in quegli anni ogni sorta di angheria. Non aveva ancora trentanni quando nel 1952, da segretario della Camera del Lavoro Comunale proclamò lo sciopero generale in difesa della democrazia. In pratica una lista di sinistra aveva vinto le elezioni a Gambatesa ma un transfuga passò alla Democrazia Cristiana che era uscita sconfitta dal voto popolare e si determinò uno dei primi ribaltoni molisani con la DC che elesse il sindaco. Per giorni, in gran segreto, si era organizzato lo sciopero, ma la notte antecedente qualcuno parlò e all’indomani giunsero sul posto una moltitudine di carabinieri. Una grande folla protestava composta e in silenzio contro la frode elettorale ma Giuseppe venne arrestato e portato in carcere a Riccia. Nei giorni successivi il partito inviò uno dei più bravi avvocati dell’epoca, un socialista, Pistilli, che riuscì a far scarcerare Peppe, da tutti chiamato Baffone.

Il potere mal tollera chi gli si mette contro e in un’epoca in cui quando giungeva a Gambatesa l’Onorevole Sedati c’era la fila per baciargli la mano, Giuseppe Di Maria aveva precluse tutte le strade. Ma lui preferì emigrare e non piegò la testa. Tornato al paese, rimise in piedi il partito e il sindacato, instancabile e determinato come sempre. Pronto a dar fiducia alle fasce popolari più deboli, a organizzarle per ottenere rispetto, per essere considerati uomini al pari degli altri. I potenti di sempre non apprezzarono questo sforzo e si adoperarono per costruire difficoltà crescenti così che l’esempio dei diritti che ti spettano, del giusto salario, della parità di trattamento nelle assunzioni e nei concorsi pubblici non si diffondesse tra i cittadini. Ne andava della loro sopravvivenza fondata spesso sull’arbitrio, sulla discrezionalità, sulla concessione e sul favore altro che pari opportunità, giustizia sociale, dignità umana e legalità. Quindi di nuovo insieme a altre persone l’unica via che rimaneva era quella di andarsene. Scelse Faenza dove c’è un consistente gruppo di Gambatesa e dov’è rimasta parte della famiglia e dei figli. Lui è invece tornato ancora una volta ed ha avuto la forza di ricominciare a battersi, di continuare a lottare nel solco degli ideali di sempre dell’emancipazione umana e del progresso. E non l’ha fermato nessuno, in piazza, tra la gente, fino all’ultima sera in un letto d’ospedale al Cardarelli, benché operato di un male incurabile, incoraggiava gli infermieri a lottare in difesa di una sanità pubblica, giusta ed efficiente. Peppe Baffone non poteva scordare i tempi in cui i poveri non si potevano curare e si moriva per mancanza di medicine e di assistenza. Ha avuto la forza fino all’estremo respiro di lottare per i suoi ideali con coerenza e onestà, e ha mantenuto questa espressione di uomo fiero e libero anche da morto.

Questo pensavo mentre mi sfilavo il distintivo della CGIL dalla giacca per appuntarlo alla sua come a fargli portare con sé anche una parte importante della storia della sua vita. Ed il messaggio del ricordo di un’esistenza così travagliata, ma limpida, coerente ed onesta, ci aiuta a non far confusione nei giudizi. Non siamo tutti uguali. C’è chi si prostra ai piedi dei potenti, chi si vende al miglior offerente e chi pur di acciuffare qualche briciola di sottogoverno si prostituisce. E c’è l’esempio di Giuseppe Di Maria che non si è mai piegato, è rimasto fedele ai suoi ideali preferendo emigrare e portar fuori i propri figli, ma non si è mai genuflesso ai quaquaraquà locali.

Ciao Baffone e speriamo di aver la tua stessa forza d’animo di fronte alle difficoltà della vita. ☺

 

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