Paesaggi migranti
10 Ottobre 2025
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Paesaggi migranti

Paesaggi migranti significa che c’è un rapporto tra gli spostamenti umani e i processi di formazione e di gestione del paesaggio. Si tratta di una relazione particolarmente significativa in un Paese come il nostro. L’Italia, infatti, è come la prua di una nave ancorata nel Mediterraneo, che non è solo un mare ma anche, nel bene e nel male, uno spazio di vita e incrocio di civiltà. Visti nella lunga linea della storia, gli italiani sono tutti figli di migranti: greci, fenici, arabi, africani e dal nord goti, longobardi, franchi, normanni… Poi è venuto il tempo dell’ emigrazione, infine è tornato quello dell’ immigrazione. Così prende forma ed evolve la società, in continuo divenire, come l’identità, che non è un dato ma un processo sempre in atto, un continuo mutamento di orizzonti, anche quando non ce ne rendiamo conto perché preferiamo il rassicurante sentimento di un presente senza storia.
Le migrazioni umane hanno sempre interagito coi territori, e lo scambio di culture ha influito sulla forma da questi assunta nelle diverse epoche. La questione migrante è centrale nel nostro tempo, sia in ambito urbano che rurale, e richiede politiche di responsabilità, di integrazione e di coesione, tese sia ad assicurare i diritti dei lavoratori, sia a favorire un equilibrato sviluppo sociale e culturale. Nei territori rurali il fenomeno migratorio ha rappresentato storicamente fasi alterne di abbandono e di popolamento e in tale ottica esso può ancora essere considerato come una opportunità di rigenerazione delle aree interne, delle campagne e dei paesi marginalizzati.
Tali tematiche, in relazione ai loro effetti paesaggistici, sono stati al centro del programma della XVI edizione della Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni” che si svolge ogni estate all’Istituto “Alcide Cervi”, in convenzione con quindici università, tra cui l’Università degli Studi del Molise. Ora le lezioni dei docenti e i contributi degli allievi di questa Scuola sono raccolti e pubblicati nel libro che porta lo stesso titolo – Paesaggi migranti – e che nell’insieme mostra come il paesaggio sia il farsi della società nel territorio, specchio delle componenti naturali, delle dinamiche e delle inquietudini antropiche. Come queste dinamiche storiche, geografiche, sociali ed economiche incidono sul paesaggio? L’agricoltura, come sappiamo, gioca un ruolo decisivo nella costruzione del paesaggio. Buona parte del volume riguarda i movimenti migratori in questo settore così rilevante. La seconda domanda alla quale si cerca di rispondere è: quanto e come le migrazioni, in particolare il lavoro dei migranti, si riflettono nelle traiettorie di un settore come quello agricolo, che è primariamente collegato alla produzione di cibo? Muovendo da questi interrogativi, il libro prende in esame i più significativi flussi migratori che sul lungo periodo hanno interessato le campagne italiane, tradottisi sia in fenomeni di abbandono che, viceversa, in processi di neopopolamento e/o di ritorno, osservando come il paesaggio si sia trasformato anche in relazione ad essi. Non solo il paesaggio agrario in senso stretto, ma anche il paesaggio sociale, quello del lavoro e degli stili di vita, il paesaggio culturale.
Il paesaggio ci appare, allora, come una cinematica dei fatti economici e sociali nella quale le migrazioni hanno svolto un’azione rilevante, mutando di tempo in tempo sia i paesaggi di partenza che quelli di arrivo. Esse hanno sempre interagito coi territori di partenza e con quelli di arrivo, contribuendo al processo di costruzione e di trasformazione del paesaggio. Le campagne, in particolare, hanno ricevuto tracce significative e talvolta indelebili grazie all’insediamento di lavoratori agricoli provenienti da altre regioni del mondo: il loro arrivo o il loro passaggio ha influito sugli indirizzi produttivi, le tecniche, le strutture sociali e l’universo culturale dell’agricoltura italiana, delle campagne e dei paesi. Fenomeni di questo genere sono riscontrabili nelle diverse epoche storiche, dall’antichità all’età contemporanea: dagli arabi in Sicilia agli albanesi e ai croati nelle regioni adriatiche, fino agli indiani sick nella pianura Padana e ai lavoratori africani nei campi ortofrutticoli del centro-sud. Che cos’è il Mediterraneo? Si chiedeva Fernand Braudel. “Mille cose insieme – rispondeva – non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi… non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. In pratica un crogiuolo etnico-culturale.
Il paesaggio, il suo processo di formazione e le sue trasformazioni poggiano su tanti elementi. Quest’opera dimostra che uno di questi, da non trascurare, è costituito proprio dai movimenti umani, dalla mobilità su lunghe e meno lunghe distanze, dalle necessità e dai travagli di popoli e persone che nel corso dei millenni e dei secoli hanno fatto sì che il paesaggio ci appaia, infine, anche come un frutto interculturale. Così è stato, così è, così sarà. Il paesaggio non è un dato, ma un processo, ci ricordava Emilio Sereni. E così è anche per l’agricoltura, l’ alimentazione, l’identità, delle quali il paesaggio è espressione: un processo vivo e dunque mutevole, di genti vive che in relazione con la natura lavorano e lottano, per usare un linguaggio sereniano e gramsciano. Sta a noi, a tutti noi, dalla scuola all’università e alla politica, dal mondo della cultura alla società nel suo insieme, comprenderlo e governarlo.☺

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