
Paola borboni
Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.
“Sono la prima attrice del Novecento” amava ripetere con malizia e a ragione: era nata infatti il 1 gennaio del 1900 a Golese di Parma; quindi sicuramente la prima anagraficamente parlando, ma non solo. Non sarà stata forse la più grande della sua epoca (lei giovane, giganteggiavano ancora Eleonora Duse e l’odiata Marta Abba che le aveva rubato la scena nella compagnia teatrale e nel cuore di Pirandello), ma sicuramente è stata la più spregiudicata. I suoi genitori volevano che diventasse una brava maestra, ad esempio, ma certamente lei no. A sedici anni lascia la scuola, e segue la sua aspirazione più grande: fare l’attrice. Mestiere nel 1916 poco edificante per una signorina di buona famiglia.
È avvantaggiata dal fatto che il padre Giuseppe è un impresario teatrale ma la sua non fu una strada spianata, ma un percorso costruito con talento, spregiudicatezza, intelligenza e carattere di ferro. Lavora per nove anni con opere di Shakespeare e sarà prima attrice accanto ad Armando Falconi con cui mette in scena ben trenta commedie italiane e francesi. Nel 1925, mentre il Fascismo esalta la donna quale angelo del focolare e premia le mamme prolifiche, lei ha l’ardire di sfidare la censura andando in scena a seno nudo nello spettacolo teatrale Alga Marina di Carlo Veneziani e si permette, con la sua spregiudicatezza, di osare quello che si faceva solo in avanspettacolo.
Quando deve rappresentare una sirena che esce dall’acqua e quando tutti, vedendola seminuda, gridano allo scandalo, lei replica con la verve polemica che la connotava: “Ipo- criti che non siete altro! Se faccio la sirena, me lo dite come potrei uscire dall’acqua tutta vestita? Che forse le sirene vanno in giro protette da uno scafandro?”
Il pubblico quasi faceva a botte per accaparrarsi un posto in prima fila e Orio Vergani raccontò: “Le repliche di quella commedia mobilitarono più binocoli di quanti ne fossero stati usati in mezzo secolo di prove ippiche a San Siro”. Intanto il padre muore prematuramente e la madre si ritrova oberata da debiti. Paola è costretta a lavorare a ritmi serrati e ad accettare tutto. Ma a lei sta bene tutto ciò: è egocentrica ed esibizionista, ama le sfide e i riflettori, ha un seno perfetto e un corpo perfetto e seduttivo e li esibisce con gusto e malizia. “Mi divertivo a fare un po’ di chiasso, madre natura mi aveva dato la bellezza. E, allora, perché non farne partecipe il pubblico?”. “Ero bella, molto. Ero intelligente, molto. Avevo talento, molto. Ho dato molto fastidio. Però nel 1935 diventa capocomico della Compagnia Pirandelliana e mette in scena ben diciassette opere del drammaturgo siciliano, riuscendo a dare vita a personaggi indimenticabili.
Costruisce una carriera leggendaria passando con disinvoltura da Sofocle a Marco Praga, da Rosso di San Secondo a d’ Annunzio, da Diego Fabbri a George Bernard Shaw, da Garcia Lorca a Ugo Betti, Giuseppe Dessì. Diventa quindi una delle più intense interpreti pirandelliane. Il cinema in realtà non l’attrae più di tanto (anche se ha girato oltre 70 film); da segnalare Sesso matto del 1973, in cui lei appare per quel che è: una vegliarda di settantatré anni desiderata da un bravissimo Giancarlo Giannini il quale, animato da impulsi erotici geriatrici, trascura e tradisce la moglie (una Laura Antonelli di una bellezza solare).
Ma il Teatro resta e resterà fino alla fine il suo vero amore: “Il cinema è un’ operazione commerciale e l’attore resta sempre un po’ marionetta. Mentre il Teatro è vita, è come mangiare, dormire, amare”.
Dal 1954 al 1968 stupisce il pubblico con un suo personale one woman show: portare in scena sette recital, formati da cinque monologhi ciascuno, con un successo incredibile corredato da premi e riconoscimenti prestigiosi.
Ci fu un memorabile compagno di scena che divenne anche compagno di vita, Salvo Randone, più giovane di lei di sei anni, ma più saggio di lei che rimarrà sempre capricciosa. Restano insieme per molti anni. Racconta spesso aneddoti su di lui: uno lo ripeteva spesso e ne rideva anche lei. Salvo Randone, una notte in cui erano in viaggio in treno insieme, e lei aveva la luna di traverso e non la finiva più di litigare, esasperato, approfittò di un rallentamento del treno per buttarsi giù, senza valigia, senza meta, in piena campagna. Le sue liti sono leggendarie: l’alterco più clamoroso avvenne con Rascel con cui nel 1968 lavora al Sistina. Per fargli dispetto, conoscendo la puntualità e la professionalità di lui, arrivava sempre in ritardo. Al culmine di un litigio Rascel, inviperito, le gridò: “Vecchia! Sei vecchia! Vecchia!” e lei: Sono vecchia, sì, ma sono stata giovane e bella. Tu alto, mai!”
Nel 1972 sposa Bruno Villaraggio, in arte Bruno Vilar, uno sconosciuto artista (mimo, poeta e pittore) di trent’anni anni, ossia quarantadue meno di lei. Al matrimonio lei appare vezzosa e maliziosa, lui intimidito e innamoratissimo. La pubblica opinione deride, le riviste di gossip raggiungono tirature record in cui lei, intelligente e autoironica, lo presenta in pubblico non come marito, ma come “il mio futuro vedovo”. Ma il destino le riserva un’atroce messa in scena: il 23 giugno 1978 lei e il marito sono in viaggio. Uno schianto: Bruno muore, lei, a settantotto anni riemerge dalla carcassa accartocciata dell’auto, malconcia, ma Viva. Ha varie fratture, ma sopravvive, seppure con il cuore che le scoppia dal dolore. “Io l’ho sposato perché mi chiudesse gli occhi. La cosa orrenda è che poi è morto lui e io non finirò mai di piangerlo” racconta in un’intervista. È distrutta dentro, ma riemerge, ancora una volta, grazie al Teatro.
A 93 anni va in scena per l’ultima volta con il suo amato Pirandello: Il berretto a sonagli e poi si ritira in una casa di riposo vicino Varese.
Reciterà ancora per gli adorati ospiti di quel ricovero e li delizierà citando le sue celebri battute, come la famosa risposta che diede ad un’impertinente quanto sciocca giornalista, “Signora, i denti sono suoi?” “Certo cara, li ho pagati”.