dire la verità
31 Maggio 2010 Share

dire la verità

 

La morte non è nel non potere più comunicare, ma nel non potere più essere compresi… Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

(Pier Paolo Pasolini).

La sensazione complessiva era rappresentata dal titolo della sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo del Corriere della Sera il giorno prima della sua esecuzione sul lungomare di Ostia: “Siamo tutti in pericolo”. Pier Paolo Pasolini ha vissuto sulla sua pelle l'ipocrisia di un mondo che continua a far finta di non vedere, si inebetisce davanti alla televisione e poi parte in quarta per crociate reazionarie. Pier Paolo Pasolini è stato il facile bersaglio, il sodomita scomodo, il filosofo anarchico. Il potere lo ha prima emarginato e poi eliminato perché ne ha avvertito immediatamente il potenziale sovversivo. Con Salò Pasolini aveva posto la parola fine a un certo tipo di cinema, ma anche ad una prospettiva di dialogo con le forme del potere. Ci aveva anche avvertito che ci saremmo trasformati in mostri.

Sul set di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), Pier Paolo Pasolini rilascia una lunga intervista al giornalista Gideon Bachmann per Il Corriere della sera, proprio in un periodo in cui l’opera del grande artista stava suscitando il massimo scalpore. Un documentario di Bertolucci da me rivisto in questi giorni, pone terribili profezie (Pasolini prossimo tuo del 2006 si avvale di ben 50 minuti di materiale completamente inedito). Nonostante le enormi polemiche suscitate dal film Salò, un Pasolini tranquillo, quasi gioioso, si lascia seguire sul set da una piccola troupe che lo coinvolge in una lunga, straordinaria intervista/conversazio- ne.

Inizialmente perplesso, Pasolini trasforma l’intervista in un lungo, quanto lucido e violento attacco alla società che si accompagna alle foto del set, in una sorprendente sovrapposizione tra film e realtà. Le parole di Pasolini, pur pronunciate con compostezza e placidità, sono insieme terribili e profetiche: terribili perché ci si rende conto dell’impossibilità di una via di uscita e della illusione di ogni speranza; profetiche perché la spietata analisi di Pasolini sull’anarchia del potere e le sue forme subdole di presentazione non fa altro che anticipare lo scempio attuale della società occidentale: massificata, schiavizzata dal dio denaro, lobotomizzata da falsi simulacri religiosi, globalizzata nel suo edonismo consumistico, chiusa in un individualismo arido e sterile, ossessionata dall’apparire più che dall’essere. Anche il sesso non è una gioia collettiva o un momento di libertà rivoluzionaria, ma diventa, nelle terribili immagini fotografiche, una forma di potere di una società solo apparentemente libertaria, che concede quello che le conviene, che violenta le coscienze e le costringe a cibarsi di rifiuti escrementizi e veleni. Pasolini esplicita lucidamente questo concetto: “Nel mio film c'è molto sesso, ma questo sesso ha una funzione molto precisa: quella di rappresentare cosa fa il potere del corpo umano: l'annullamento della personalità degli altri, dell'altro. Il sesso è la metafora del rapporto tra potere e coloro che ad esso sono sottoposti”.

 Ci sono momenti molto toccanti nell’intervista: quando Pasolini parla dei giovani con la rabbia di un genitore deluso, con la disperazione di un antropologo che registra la mutazione sociale e culturale, con il rimorso di appartenere a una generazione che forse non è riuscita a trasmettere nulla a quella successiva. Parla dei giovani romani e li rappresenta vittime di un genocidio culturale perpetrato attraverso la televisione, cadaveri di una società piccolo borghese tutta tesa a conformarsi alle direttive della classe dominante. Quando Pasolini afferma che in realtà la rivoluzione in atto negli anni Settanta non è una vera rivoluzione perché non parte dal basso (ma è concessa dall’alto) si avvicina tantissimo alla concezione marcusiana del potere. Ma il potere stesso è anarchico nel totale ribaltamento di principi etici e spirituali a proprio uso e consumo, nei suoi rituali ripetitivi e anestetizzanti, nella sua codificazione sclerotica di leggi e punizioni. Al rapporto contadino-terra si sostituisce quello produttore-consumatore: io sono in quanto consumo. Io esisto quando compro. Anche il Cristianesimo diventa per Pasolini la religione della classe dominante, con i suoi riti.

 È terribile pensare come Pasolini avesse già previsto tutto: la tecnicizzazione della società non accompagnata da un parallelo progresso culturale, la stupidità della mercificazione televisiva e l’enorme potere occulto dei mass media, l’involuzione retrograda innescata dal senso di colpa clericale, la censura violenta di ogni forma di pensiero destabilizzante per la società. Il berlusconismo e il post berlusconismo. Nel 1975 ormai Pasolini è emarginato, ostacolato, censurato non solo dai nemici storici riconosciuti (la destra, il potere clericale, la DC che per Pasolini dovrebbe subire una sorta di processo di Norimberga), ma anche dall’ala pseudointellettuale della sinistra che guarda con imbarazzo questo suo figlio degenere. Ma se si rimane soli, si muore.☺

 ninive@aliceposta.it

 

 

 

 

 

 

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