paralisi   di Dario Carlone
30 Ottobre 2013 Share

paralisi di Dario Carlone

 

Stando  a quello che ci hanno raccontato i media, sembra essersi risolta proprio sul finale la drammatica situazione che vedeva l’economia degli Stati Uniti d’America subire un nuovo contraccolpo. Com’è d’abitudine nel mondo anglosassone la trattativa tra i partiti politici rappresentati in Congresso ha ottenuto grande risalto ed è stata portata a conoscenza dell’opinione pubblica.

Il nostro vocabolario in campo economico si è arricchito quindi di un nuovo termine: shutdown [pronuncia: sciat-daun], per indicare in sintesi la sospensione di alcuni servizi pubblici erogati dall’amministrazione federale, a causa di una mancata copertura finanziaria. In altre parole, si è speso troppo, non ci sono i fondi necessari, il servizio è sospeso! Niente di più semplice in una nazione in cui il pragmatismo regna sovrano. Di riflesso però bisogna notare che buona parte dei fondi pubblici sono stati impiegati per finanziare la riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Obama: per i suoi avversari politici quindi è stato facile chiedere di cancellarla per risparmiare. Un compromesso è stato raggiunto e temporaneamente ha scongiurato lo shutdown.

Obamacare [pronuncia: Obamacher] – dal nome dell’attuale presidente USA – è l’appellativo con cui vengono indicati quei provvedimenti che cercano di tutelare le persone più svantaggiate, i poveri e gli anziani soprattutto, che in un paese come gli Stati Uniti vengono lasciati a se stessi quando non prendono più parte al mondo produttivo, non posseggono più i requisiti per lavorare, non hanno una assistenza privata, magari faticosamente costruita con il loro lavoro. Niente di più semplice, agli occhi di una classe dirigente insensibile e cinica, che tagliare su chi ha poco o per nulla voce in capitolo!

Linguisticamente shutdown è sia verbo, col significato di disattivare, mettere fuori servizio, che sostantivo; in questa seconda accezione sta ad indicare proprio l’interruzione di un lavoro, la cessazione di un’attività, in maniera irreversibile, senza ripensamenti o rinvii. Nella mentalità americana, in cui il più delle volte ciò che è corrisponde a ciò che appare, il vocabolo suona come “parola definitiva”, ultimo traguardo, condanna senza appello! È facile dedurne che accettare un simile stato di cose non sia stato affatto semplice: la pressione dell’opinione pubblica, di quella statunitense in primo luogo, e successivamente di quella mondiale, è stata rilevante per convincere i responsabili delle decisioni da prendere ad evitare questo scelta irreparabile.

Interruzione, cessazione,  parole che traducono shutdown nella realtà italiana, purtroppo non ci sono estranee. Quotidianamente possiamo avvertire i pesanti effetti di quella che viene ormai chiamata genericamente “crisi”, che rappresenta una (legittima?) giustificazione per condizioni di vita sempre meno sostenibili, che maschera situazioni drammatiche ormai non soltanto temporanee.

Precariato, emergenza abitativa, disoccupazione crescente sono solo alcune delle voci “italiane” recenti per tradurre shutdown. Che dire ancora di quella “interruzione” forzata che undici anni fa ha paralizzato un’area della nostra regione? Un autentico processo di ripresa è stato mai avviato? ☺

dario.carlone@tiscali.it

                                                                                                    

 

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