Peppino impastato
9 Aprile 2024
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Peppino impastato

Agli inizi di marzo, mentre avevamo orecchi ed occhi intesi alle prove di avanspettacolo della nostra/nostro presidente del Consiglio e, rapiti dalle sue performance, ripetevamo a mente come si fa una doppia vocina e come si calza un elmetto, ben 797 dei 1.300 studenti del Liceo “Savarino” di Partinico, in provincia di Palermo, hanno votato “no” all’intitolazione della loro scuola a Giuseppe Impastato, il giornalista e militante di Democrazia Proletaria ucciso da Cosa Nostra il 9 maggio del 1978.
Le motivazioni addotte dagli studenti a sostengo del loro voto, che molti ha sbalordito, sono state due, in certa misura contradditorie: l’iter seguito nella denominazione della scuola non avrebbe coinvolto direttamente gli allievi, cioè sarebbe stato mancante sotto il profilo democratico; Giuseppe Impastato sarebbe stato un personaggio “divisivo”, perché politicamente schierato.
Su questa seconda motivazione, che, se non si trattasse di giovanissimi, direi “volgare” al punto da avvilire la nobiltà della prima, mi soffermerei, perché essa solleva un“problema culturale”, come ha sottolineato il fratello di Giuseppe Impastato, Giovanni.
Per cominciare: come è possibile che tanti ragazzi, per di più siciliani, di Giuseppe Impastato (la cui vita è stata poeticamente descritta da Marco Tullio Giordana nel film I cento passi, che gli studenti in genere conoscono ed apprezzano) abbiano colto l’identità partitica meglio che l’ entusiasmo e la fantasia, la forza delle idee, la coerenza e il coraggio nell’opporsi ad un sistema di potere crudele quale è quello mafioso che abitava nella sua stessa famiglia? Ancora: in che modo si è lasciato intendere a questi giovani che l’essere politico, anzi l’essere politico di parte e, guarda il caso, di parte extraparlamentare e di sinistra, possa divenire ragione di sospetto, al punto da azzerare un merito civico altissimo qual è la lotta alla mafia? Infine, stupisce il fatto che degli studenti, evidenziata la lacuna democratica della procedura di intitolazione della loro scuola, abbiano poi stigmatizzato come divisiva l’appartenenza politica di Impastato, dimentichi (o del tutto ignari?) che la democrazia è il luogo per eccellenza dell’ antinomia e delle parti contrapposte, del dialogo e dello scontro/incontro di idee e pareri diversi e che quest’agone incessante solo di tanto in tanto si risolve in sintesi pacificate, per poi rigenerarsi in vista di un miglioramento politico.
Il problema culturale di cui Giovanni Impastato ha parlato interpella dapprima noi adulti e impone di chiederci cosa abbiamo fatto, facciamo e siamo disposti a fare in famiglia, a scuola, sul lavoro, nel tempo libero, affinché il dibattito politico sia incentivato coi giovani e tra i giovani, affinché il silenzio passivo della mente cui troppi media pian piano ci hanno assuefatto sia almeno risicato da uno spazio-tempo di interazione produttiva ed intelligente: la posta in gioco è importante e ne va della salute della nostra democrazia, che in tanto sarà integra in quanto riuscirà a mettersi in discussione e a svolgere continuo esercizio di critica, partigiano per essenza e vitale però.
Mentre Sparta si conservava rigidamente chiusa nelle sue istituzioni di stampo militare e lì restava immobile, l’Atene democratica del V secolo a.C. pullulava di dibattiti politici, ma anche di scultori e oratori e filosofi e poeti, proprio perché i suoi cittadini si interrogavano, ponevano problemi, dialogavano, creavano urti continui all’intelligenza e alla sensibilità e nel conflitto delle parti vivevano la forma perfetta di libertà. Mi viene in mente il teatro classico greco, frutto culturale altissimo della maturità della democrazia Ateniese, luogo collettivo e condiviso di partecipazione politica e spettacolo di contrasti per eccellenza: purificati dal dolore che comporta la contesa tragica o sollevati dalla risata scaturita dall’esagerazione comica, i cittadini della polis proprio a teatro tentavano di tradurre le tensioni interne potenzialmente distruttive in agonismi costruttivi, di ricavare dal caos un kósmos, un ordine politico nuovo e fecondo, perfettamente consapevoli, peraltro, che lo spazio della civiltà, che Aristotele definiva habitat naturale dell’animale-uomo, è un equilibrio sempre effimero, imperfetto e precario, in quanto creazione di quell’uomo che la greca Antigone, magnanima eroina dell’omonima tragedia di Sofocle, descriveva come “l’essere più tremendo di quanti sono al mondo”.
“Epopòipopòipopopòipopòiiòiò” l’onomatopea forse più lunga e meglio riuscita della storia letteraria occidentale è la mimesi del verso dell’upupa che Aristofane, commediografo per antonomasia dell’Atene democratica, inserisce nella sua commedia Gli Uccelli.
A me pare un’imitazione sonora dissacrante e liberatoria del politico di turno che, gonfiando le gote, fa vanto di sé e delle sue opere; anzi ora, ex post, mi sembra di riconoscervi le modulazioni della voce del Peppino Impastato di Marco Tullio Giordana quando, pavoneggiandosi, in un italiano tronfio e malcerto fa il verso al magnate mafioso del suo paese.
A presto.☺

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