La notte di stille
11 Dicembre 2023
laFonteTV (3191 articles)
Share

La notte di stille

Il 1° dicembre di ottanta anni fa moriva a Castelnuovo del Volturno (oggi in provincia di Isernia), ucciso dallo scoppio di una mina tedesca, lo scrittore antifascista di origini sarde Giaime Pintor. Si tratta di un episodio purtroppo ancora poco noto della Resistenza che, almeno nella nostra regione, meriterebbe tuttavia una più larga conoscenza.
Uno splendido ritratto di Giaime, che era nato a Roma nel 1919, ci è stato consegnato dal fratello minore Luigi, futuro fondatore del quotidiano “Il Manifesto”, in un bel librino autobiografico dal titolo Servabo. Memoria di fine secolo (Bollati Boringhieri 1991) e, più di recente, dal nipote Carlo Ferrucci, nel romanzo biografico La mina tedesca (Tra le righe libri 2015). Una prodigiosa carriera scolastica e universitaria (si era laureato in legge non ancora ventunenne), accompagnata da una precoce passione per la letteratura, soprattutto tedesca (si ricorda qui solo R. M. Rilke, Poesie, trad. di G. Pintor, Einaudi 1944). Poi il trasferimento da Perugia, dove stava svolgendo il servizio militare, a Torino, per essere insediato nella Commissione di armistizio con la Francia, al posto dello zio, il generale Pietro Pintor, morto in un misterioso incidente aereo. Il breve periodo torinese, se da un lato fu decisivo per i contatti con importanti intellettuali, fra i quali Cesare Pavese, e con la casa editrice Einaudi, di cui fu uno dei più brillanti collaboratori, dall’altro determinò in lui una certa insofferenza per il lavoro diplomatico. Di qui la decisione di lasciare il suo “posto di non-combattimen- to” (Ferrucci, p. 44) e di tornare a Roma all’indomani dell’arresto di Mussolini nel 1943: di quei giorni rimane un suo breve ma lucido saggio, Il colpo di Stato del 25 luglio e alcune pagine e documenti inediti (Einaudi 1974). Dopo aver preso parte alla difesa di Roma nelle ore immediatamente successive al proclama dell’armistizio dell’8 settembre, Giaime raggiunse Brindisi, dove il re Vittorio Emanuele III era precipitosamente e vergognosamente fuggito insieme al figlio Umberto, al capo del governo Badoglio e ai vertici militari (mentre più di 800.000 nostri soldati venivano catturati dai tedeschi e inviati nei lager come Internati Militari Italiani). Ma deluso dal nuovo esercito regio, Pintor preferì disertare e spostarsi a Napoli, per costituire un reparto di volontari che, con l’appoggio di Benedetto Croce, contribuissero di persona alla liberazione del Paese combattendo al fianco degli Alleati. Fallita anche questa breve esperienza, Giaime si arruolò nell’esercito britannico e, dopo alcune settimane di duro addestramento in una caserma di Ischia, il 28 novembre partì a capo di un drappello di cinque uomini per raggiungere i gruppi armati che operavano a sud di Roma – sui quali si veda ora Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav (Cerabona editore 2021). Nel frattempo, aveva recuperato come nome di battaglia il nom de plume con cui firmava i suoi articoli: Stille, dal tedesco “calma, silenzio, pace, tranquillità” (aggettivo reso noto dal titolo di una delle più celebri canzoni sulla “tranquilla, silenziosa” notte “di pace” del Natale: Stille Nacht), quasi a significare che “non c’era più differenza, se mai c’era stata, tra il letterato, anzi, il poeta, e il combattente, anzi, il partigiano” (Ferrucci, p. 215).
Che cosa accadde nella “quieta notte” del 1° dicembre 1943 lo si apprende da quei documenti inediti pubblicati nel 1974 e in particolare dai rapporti degli uomini che erano con lui. Raggiunto a piedi Castelnuovo al Volturno, “punto ritenuto il migliore per il passaggio delle linee” che “dovevano essere superate […] attraverso il gruppo montuoso delle Mainarde”, i volontari attesero le quattro di mattina per quel passaggio, accompagnati da due ufficiali inglesi. Racconta Ciotti, il partigiano che era accanto a Giaime: “Andava- mo curvi molto vicini l’uno all’altro. Stille stava dicendo forte a me e agli altri di fare attenzione alle mine, quando uno di noi due smosse dal terreno un filo teso a trappola: immediatamente una forte esplosione proprio ai piedi di Stille, il quale fu rovesciato indietro di colpo”. Quanto seguì è narrato dal fratello Luigi in Servabo: “viaggiammo per più giorni in un paesaggio dove all’antica povertà si sommava la devastazione. […] Giunti a destinazione non trovammo un solo tumulo dove ce l’aspettavamo ma più d’uno, i corpi di soldati di varie nazionalità e di civili malcapitati. […] Non solo morte violenta, ma subitanea, a giudicare dalle vertebre spezzate. […] Però i contadini del luogo, donne in lutto e ragazzi scalzi, onorarono con bandiere questo ritrovamento e il trasporto in una tomba meno irregolare. Fu per me una malinconica conferma, tra le tante fornite dalla guerra, di quelle virtù popolari che resteranno un mito indistruttibile della mia giovinezza” (p. 37).
Tre giorni prima di morire a soli ventiquattro anni, Giaime si era congedato dal fratello e da tutto quello che aveva amato con la sua ultima lettera, “il documento forse più bello e più alto della Seconda guerra mondiale” secondo Ferruccio Parri, capo partigiano e Presidente del Consiglio da giugno a dicembre 1945. “Non ho mai apprezzato come ora”, scrive fra le altre cose a Luigi, “i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon diplomatico, ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica possibilità aperta e l’accolgo. Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili”.☺

laFonteTV

laFonteTV